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A proposito di Huang Yong Ping, cinesi ed animali morti

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C’è una piccola caratteristica del mondo dell’arte contemporanea che quasi passa inosservata in mezzo a tutto il casino di cose incomprensibili che le gira intorno. Questa cosa sono i cinesi.

I cinesi sono bravissimi. Sono delicati, eleganti, profondi. Sono come una cannonata contro quell’immagine di nani inespressivi e vestiti da meccanico che domina la rappresentazione del loro popolo nell’immaginario culturale occidentale. E una delle ragioni per cui sono bravi, secondo me, è che ai cinesi non gliene frega un beneamato della contraddizione tra lo sguazzare nelle spregiudicate logiche del mercato dell’arte e la pretesa purezza virginale della propria sensibilità. E’ una cosa con cui riescono a convivere, tranquillamente.

Faccio queste poche considerazioni per parlare della notevole esposizione di Huang Yong Ping, appena vista al Maxxi di Roma. Ecco, Huang espone opere che ruotano principalmente intorno alla religione e alla sue diverse declinazioni. E non importa se un cinese (ok, uno di origini cinesi) che parla di Nuovo Testamento è, in realtà, un po’ come una puntata di ‘Un Posto al Sole’ sceneggiata da Umberto Eco. In entrambi i casi, fin tanto che non te ne accorgi e ti godi lo spettacolo, in fondo non c’è niente che non vada davvero.

Altre due cose che Un Posto al Sole e i cinesi dell’arte contemporanea hanno in comune: una forte attitudine alla spettacolarizzazione, ed un sacco di animali tassidermizzati.

Parlare davvero delle opere in mostra resta troppo complicato. Huang mescola immagini di origine religiosa, politica, ambientale, culturale in senso ampio fondendole in un’unica, potente ed arcaica forma di condizionamento mentale. Da sempre ci dominano forme diverse che provengono dalla stessa fonte, da sempre le nostre teste appartengono ad idoli collettivi.

Quella di Huang è, semplicemente, un’esposizione di ribrezzo, di impotenza, di oppressione, oscurantismo, pietà. Il tutto condito da un sacco di animali morti, oramai tecnica prediletta di chiunque voglia parlare di vita senza ottimismo (gli animali sembrano vivi, ma sono morti) ma con un sacco di mistero (gli animali sembrano proprio vivi, ma sono morti).

Direi, anzi, che un buon punto di partenza per apprezzare la mostra è che, qualsiasi cosa voglia dire, Huang Yong Ping tratta di religione, di tradizioni, di culture millenarie e del nostro rapporto con esse e, per fare ciò, ci rappresenta come animali (spesso senza testa). Ripeto: animali, e pure senza testa (al massimo, cammelli inginocchiati).

Eccola, un’altra cosa sui cinesi dell’arte: a forza di vivere in massa, sembra abbiano imparato come farsi capire.

Huang Yong Ping | wiki

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

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