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A Ramallah come a New York l’arte urla sui muri i problemi della nostra società

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Una delle costruzioni più controverse e più discusse al mondo è senza dubbio il muro eretto dal governo Israeliano in Cisgiordania, la cui motivazione ufficiale è quella di difendere la popolazione che risiede nei territori occupati dagli attacchi terroristici dei Palestinesi. Senza entrare troppo nel merito della questione stiamo parlando di una vera e propria barriera geografica artificiale lunga ben 700 chilometri costituita da enormi blocchi di cemento alti fino a 8 metri.

Ebbene, questo “monumento” che si è conquistato una marea di appellativi non proprio felici come “muro della vergogna”, “muro dell’annessione”, “muro dell’apartheid” o “muro della separazione razziale” è diventato involontariamente uno dei simboli della questione Israelo-Palestinese universalmente riconosciuti attirando su di se l’attenzione di numerosissimi artisti legati al mondo street art che hanno cominciato ad usare questi blocchi di cemento come tela su cui lanciare i propri messaggi a favore della causa palestinese e più in generale a favore della pace. Involontariamente e paradossalmente quello che è l’ emblema degli irrisolti conflitti tra popoli è diventato in poco tempo il principale veicolo e cassa di risonanza dei messaggi di pace provenienti da ogni parte del mondo.

Il primo importante artista che ha saputo scorgere la potenza evocativa di questo muro riportando all’attenzione delle generazioni occidentali più giovani la questione in Medio Oriente è stato senza dubbio Banksy intervenuto più volte lungo i blocchi di questa barriera lasciando alcuni dei suoi pezzi migliori. Con lui numerosissimi altri street artist occidentali e non, capita l’importanza dell’essere presenti sul muro, sono accorsi per unirsi a questa sorta di collettiva internazionale a favore della pace in Medio Oriente.

C’è da dire che il fenomeno della street art sin dalla sua nascita ha trovato nelle istanze sociali più forti e sentite la sua principale fonte d’ispirazione e carica creativa. A New York negli anni settanta ed ottanta i graffiti erano infatti la testimonianza visiva di una parte della popolazione marginalizzata e dimenticata che rivendicava un suo ruolo nella società attraverso il “bombardamento” di muri, vagoni e di ogni superficie utile degli spazi urbani pur di lanciare il proprio messaggio.

Parallelamente sul muro in Cisgiordania ma più in generale sui muri delle principali città arabe si costruisce sia la propaganda politica del movimento estremista di Hamas sia le istanze di pace e liberazione da parte della popolazione. A testimonianza di quanto importante e simbolicamente potente sia diventato il muro sul piano mediatico internazionale vi segnalo l’interessante storia di Yousef Nijim un giovane di ventiquattro anni, palestinese, che trascrive i messaggi di chiunque nel mondo voglia esprimere la propria vicinanza alla causa Palestinese scrivendo direttamente sul muro il testo che gli invierete tramite il sito www.sendamessage.nl.

In cambio di un piccolo compenso di 30 euro. L’iniziativa è partita grazie all’idea di un gruppo di creativi olandesi che con la collaborazione di alcune ONG con sede a Ramallah hanno lanciato questa iniziativa i cui ricavi vengono utilizzati in parte per finanziare alcuni progetti di sviluppo e cooperazione locali.

L’obiettivo di questo particolare servizio di messaggistica è quello di far sentire più vicina alla popolazione Palestinese la voce di tutte le persone che nel mondo appoggiano la loro annosa questione. I muri e l’arte ancora una volta si riappropriano di un’autentica funzione sociale volta a conquistare l’attenzione della gente su problemi e questioni che probabilmente neppure gli organi di informazione e media tradizionali sarebbero stati in grado di assicurare.

Dimitri Grassi

scritto da

Questo è il suo articolo n°319

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