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Alighiero&Boetti, mettere l’arte al mondo

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Al Madre, museo tanto discusso per la dimenticanza nella mostra Urban Superstar Show degli artisti partenopei, espone fino al 11 maggio Alighiero Boetti. La mostra curata da Achille Bonito Oliva, si apre con una gigantografia dell’artista che con entrambe le mani, specularmente, scrive “Oggi venerdì ventisette marzo millenovecentosettanta”. Le opere sono esposte a ritroso. La costante del museo (sempre la stessa) è il bianco accecante che con troppa asetticità ospita, con un distacco di texture e luci, chiunque sia l’artista che espone.
Come ormai raramente accade, le opere esposte sono tantissime, diverse temporalmente, concettualmente per materiali e tecniche impiegate. Si percepisce subito che si è davanti ad un’artista poliedrico e di spessore. Non ci sono spiegazioni su quello che vediamo, è l’artista con le sue volontà che ci guida, non si spiega sempre, ci fa solo partecipi delle sue scelte. Opera chiave della mostra, sottovalutata per collocazione, è la cartolina fotomontaggio Gemelli (1968) dove Boetti è ritratto tenendo per mano se stesso, qui attua per la prima volta lo sdoppiamento,diventando Alighiero&Boetti.

Ha sempre lavorato su concetti opposti, sulla coesistenza della differenza, “Alighiero e Boetti, ordine e disordine, sale e zucchero, geopolitica e confine, classificazione e indeterminazione, scrittura e numero, trama e intervallo, regola e imprevisto,modulare e manuale, organico e geometrico, lineare e circolare, concavo e convesso, per cui le entrate e le uscite coincidono.” (Achille Bonito Oliva).
C’è un’intera sala dove sono ricalcate a matita Copertine (1984) di giornali dell’epoca, una sala con pagine quadrettate base di disegni geometrici, foto, video e intere pareti di fogli campiti con la biro blu.

Quel che la biro rappresenta (rappresentava) per un occidentale, per un afghano è il ricamo, che come una memoria sovraindividuale reca in sé parti della biografia collettiva.”A&B

Ed ecco il ricamo, dove si serve della maestria delle donne afghane per tessere i celebri arazzi quadrati, ricamati giochi di parole, ma anche la gigantesca tela del mondo, dove tutte le nazioni sono colorate con la propria bandiera,

Il lavoro della Mappa ricamata è per me il massimo della bellezza. Per quel lavoro io non ho fatto niente, non ho scelto niente, nel senso che: il mondo è fatto com’è e non l’ho disegnato io, le bandiere sono quelle che sono e non le ho disegnate io, insomma non ho fatto niente assolutamente; quando emerge l’idea base, il concetto, tutto il resto non è da scegliere.”A&B

La parte più curiosa e divertente, quella dei lavori postali, dove utilizza telegrammi, francobolli al posto dei colori e buste gialle per l’avventura del viaggio postale:

il meccanismo era quello di far fare un viaggio a una persona, anzi 25. Spedivo in un luogo lontano la lettera con un indirizzo fittizio, e non trovando il destinatario la rimandavano indietro. La persona viaggiava, veniva nominata. Quando le buste tornavano indietro da me, dopo essere state in India,Africa, America, le xerografavo sia da una parte sia dall’altra, le mettevo in una busta più grande e le spedivo di nuovo. A ogni viaggio la busta diventava più grande, a cipolla, perché conteneva la precedente. Nel cuore di essa, in quella iniziale, vi era il programma del viaggio. (…) vale a dire diluisci l’informazione e l’allarghi…”A&B

Numeri, alfabeto, geografia, attualità, servizi postali, ordine e disordine

disordinando l’ordine oppure mettendo l’ordine in certi disordini, o ancora: presentando un disordine visivo che fosse invece la rappresentazione di un ordine mentale.”A&B

Ho apprezzato la quantità di opere, la mostra occupa un piano intero del museo più il cortile e la sala grande, la ricercatezza dei gesti, e le volontà chiaramente esplicitate.
Una mostra dove non ci si annoia.
Una mostra da godersi con calma e curiosità infantile.

Le altre foto nella sezione PICS

Lia Zanda

scritto da

Questo è il suo articolo n°30

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