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Aurore Bano: la cacciatrice di luce che riesce ad emozionare con uno scatto

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Quando la incontro Aurore Bano è leggermente in imbarazzo. Poco dopo scopro, dal modo in cui mi parla e fin dai primi minuti della nostra intervista, che è il suo preludio ad un mondo interiore che aspetta solo di uscire allo scoperto.
Mi bastano pochi scambi e qualche parallelismo perché si ammorbidisca e mi racconti, come fossi una conoscenza di vecchia data, come nasce il suo lavoro e cosa l’ha portata ad usare la fotografia come mezzo espressivo.

 

 

Aurore Bano è parigina ed è alla sua prima personale in Italia. Scovata da Francesca Borgonovo della Galleria Antonia Jannone, Aurore Bano inaugura questo giovedì una mostra dal titolo: Color Space Resonances.
Le chiedo da quanto tempo fotografa e, da quel momento in poi, tutto è sorpresa. “Ho iniziato un anno, un anno e mezzo fa”, mi dice. “Ero arrivata ad un bivio della mia vita, dovevo scegliere che strada prendere e la fotografia è arrivata in maniera spontanea. ”

 

 

Dopo un percorso di studi in controtendenza alla scuola dei Gobelins a Parigi, la carriera d’artista le è sembrata necessaria quanto impervia. E, come molti di noi, ha cominciato ad accontentarsi. E ad avere quella sporca, tenace sensazione di non essere all’altezza.
Ma come dicono i francesi in questi casi: “amour, toux, fumée et argent ne se peuvent cacher longtemps”. Per i profani, “amore, tosse, fumo e denaro non si possono nascondere a lungo”.

 

 

Ed è arrivata la fotografia, in un momento in cui ha deciso di lasciarsi andare ad una passione per lei atavica. “Sono ossessionata da certi luoghi”, mi racconta, “e la mia ricerca fotografica è partita da lì. Lavoro in controtendenza e di sicuro ho un metodo criticabile, ma mi lascio conquistare dai luoghi. Me ne innamoro e questi diventano dei chiodi fissi. Non riesco a togliermeli dalla testa”.
È cominciato tutto con una macchina a rullino, una Rollei 35S, la stessa di uno dei suoi riferimenti culturali Hervé Guibert. Aurore si lascia ispirare anche dagli scatti di Vivien Sassen – e ne ritroviamo la palette nelle fotografie presentate alla galleria Antonia Jannone – e Stephen Shore.

 

 

Il punto di partenza della sua ricerca parte invece dalla Muralla Roja di Ricardo Bofill, un edificio labirintico che richiama una certa geometria escheriana e che Aurore Bano restituisce all’osservatore con la stessa delicatezza che aveva usato René Burri con le architetture di Luis Barragán.
Ritrovo i colori e le atmosfere alla Hayley Eichenbaum e sono così contenta quando le mostro le sue foto che confessa di sentirsi “una cacciatrice di luce…il modo in cui cade sugli spazi mi affascina ed è quello che inseguo”.

 

 

Sono foto parlanti ed è Aurore stesso a confessarmi che il suo obiettivo “è quello di far parlare le foto. Voglio che comunichino alle persone delle emozioni e ognuno possa leggervi le sue suggestioni”.
Tra i suoi progetti futuri c’è una collaborazione con le vecchie conoscenze della Goldsmiths di Londra, dove ha studiato.

 

 

E personalmente, vorrei vederla tra i nuovi talenti di Fotografia Europea a Reggio Emilia dove, ne sono certa, verrebbe accolta con entusiasmo.
Lo stesso entusiasmo che ho provato io di fronte ai suoi scatti, preziosi, intimi e così pieni di vissuto da emozionare anche un passante distratto dal tran-tran quotidiano.

Giuliana Pizzi

scritto da

Questo è il suo articolo n°28

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