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Caffetteria Spada

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L’appuntamento con Mario Spada è alle undici a casa sua, che per fortuna è vicina alla nostra. Puntuali citofoniamo ad un portoncino nei pressi di Porta San Gennaro a Napoli, dove lui si affaccia dal balcone gettandoci le chiavi, attaccate ad una busta. Questo semplice marchingegno attenua la caduta, creando un paracadute per la chiave. Apriamo, saliamo e ad aspettarci c’è Mario che ci prepara il caffè. La sua casa è piccola e accogliente, ricca di oggetti insoliti, come una vecchia sedia da barbiere e un listino prezzi di un bar anni Ottanta. Subito in sintonia, cominciamo a chiacchierare.

 

Da quando hai cominciato ad appassionarti alla fotografia?

 

Sin da quando ero piccolo volevo avvicinarmi a qualcosa di artistico, volevo fare il conservatorio o il liceo artistico, ma i miei genitori preoccupati per il mio futuro non volevano e quindi ho frequentato ragioneria. A quindici anni ho cominciato a lavorare sia perchè mia madre voleva tenermi fuori dalla strada, sia per guadagnare qualcosa. Io lavoravo nelle botteghe del quartiere ed è capitato di lavorare nella bottega del fotografo sotto casa, che era uno dei tre più grandi fotografi di matrimoni a Napoli. Dopo poco tempo avevo già messo la scuola al secondo posto, perchè mi ero appassionato e così sono diventato l’assistente del primo fotografo. Sono rimasto là a lungo fino a quando sono riuscito a pagarmi una scuola di fotografia a Milano, questo solo a 28 anni.
Nel frattempo però cercavo di fare altre cose, grazie ad Oreste Pipolo che mi prestava alcune delle sue macchine per fare i miei lavori fuori dallo studio. Non sono mai stato una persona impegnata in una sola direzione, ho cercato di lavorare con più fotografi possibili.

la nostra redattrice con Mario Spada - foto di Lia Zanda

Raccontaci della tua esperienza formativa a Milano.

 

Come dicevo a 28 anni mi sono pagato la scuola di fotografia. Mi avevano parlato di questa scuola pubblica, la Bauer. Arrivato là c’era una selezione di 200 ragazzi e portai un sacco di foto per evitare di parlare. All’epoca avevo fatto solo foto tipo tombolate come la figliata e grazie a questo lavoro mi presero. A metà del corso ci fecero fare uno stage all’agenzia Contrasto e feci un lavoro con Biasucci. Pensammo a un lavoro che io avrei realizzato sotto la sua tutela, un lavoro sulle tendenze, gli status symbol e i giovani dei quartieri popolari a Napoli. Venne fuori il lavoro sui Pitbul.

 

E dopo la Bauer?

 

Finita la scuola sono tornato a Napoli ed ho continuato a lavorare per i matrimoni con i quali si guadagnava bene. Ho comunque continuato a occuparmi dei miei lavori. Ho realizzato la storia di Francesco un ragazzo che stava agli arresti domiciliari. Poi con il mio amico Stefano andammo a Savignano sul Rubicone e fui selezionato come vincitore, da lì tornammo a Milano a fare il giro delle agenzie dove nessuno ci prese. Dopo poco la telefonata di Contrasto che mi offriva lavoro. Mi presero subito.

 

Com’è stata l’esperienza con l’agenzia Contrasto?

 

Non è stata molto felice. Con loro ho realizzato “Eurogeneration”, un lavoro fatto da 14 fotografi in giro per l’Europa, da cui è nato un libro e una mostra itinerante. A parte avere avuto qualcuno che ti faceva conoscere in giro e vendeva i tuoi lavori non ho avuto grossi benefici, io avrei voluto imparare come affrontare i reportage all’estero. Dopo due anni e mezzo me ne sono andato, pensando di tornare a fotografare i matrimoni, invece mi si aprirono porte inaspettate. Non immaginavo che ci fossero occasioni del genere per me. Ho lavorato per Vogue e altri giornali.

 

Come mai hai scelto la fotografia di reportage?

 

In realtà ho fatto anche altre cose con estremo piacere, anche perchè secondo me non esiste solo la foto da reportage. Orma il reportage e la fotografia concettuale si mischiano continuamente. Spesso trovi lavori con tantissimi ritratti anche se fai il reporter. In realtà il fotografo racconta storie.

 

Queste distinzioni tra fotografo di reportage e non sono indispensabili?

 

Se dicessi ad un giovane artista che fa foto che sembrano reportage, quello mi aggredirebbe, perchè per loro il reporter è quello che va in un posto e fotografa senza guardare, con un grandangolo spintissimo in modo tale da inserire più cose nel fotogramma. Non è così. Comunque per il mercato è necessario collocarsi in una categoria.

il listino prezzi della "caffetteria Spada" - foto di Lia Zanda

Come cominci un lavoro?

 

Prima di tutto parto dalla storia che c’è dietro. Ad esempio il mio prossimo lavoro è incentrato sulla nazionale femminile di rugby, che attualmente è una mia grande passione. Ho fatto già un lavoro sul rugby, fotografando tutti i miei avversari dopo la partita. C’è anche chi non ha voluto farsi fotografare perché eravamo avversari.

 

Ma non è uno sport estremamente corretto il gioco del rugby?

 

Si, si lo è. Ho fatto questo lavoro per mostrare chi gioca. Sono persone che fanno altro nella vita, che non hanno fisici statuari, mi interessa indagare “nell’errore”. Il rugby non è propriamente uno sport femminile, troverò delle madri….non so bene come affrontarle, oggi ci vado per la prima volta

 

Qual è il lavoro a cui sei più legato?

 

Il lavoro dei tifosi è stato quello che mi ha dato un sacco di soddisfazioni. Ci sono anche lavori non di reportage che mi piacciono molto, tipo un lavoro di nudo del ’99, autoritratti realizzati in un castello. Con questi scatti ho trovato un parallelo con le foto di Francesca Woodman che adoro come fotografo. I miei tre fotografi preferiti sono tre donne, Francesca Woodman, Diane Arbus e Nan Goldin.

 

E ora lavori da solo?

 

Si, sono un fotografo freelancer. L’anno scorso ho lavorato tantissimo e poi sono partito per quattro mesi per il Marocco dove ho realizzato una camera oscura a Casablanca. Ho lavorato con i bambini di strada a cui ho insegnato a fotografare. Pensate che a Casablanca ci sono più di 9000 bambini che vivono per strada.

 

Ci parli del lavoro di Gomorra?

 

Avevo conosciuto Roberto Saviano qualche mese prima che scrivesse il suo libro. Una mia foto accompagnava un suo articolo sul Manifesto. Ci hanno presentati e siamo diventati amici. Quando si è preparato il film hanno usato le mie foto per ricostruire le scenografie e sono stato preso come fotografo di scena. Anche in questa situazione per certi versi mi è rimasto un po’ di amaro in bocca per come sono finite le cose tra me e la produzione. Il fotografo di scena non viene considerato come si dovrebbe.

 

Spiegaci come diventare un fotografo.

 

Non so nemmeno se continuare io a fare il fotografo!

libri di Mario Spada - foto di Lia Zanda

Non ci dire che vuoi tornare a fare il ragioniere?

 

No, no, vorrei fare l’allenatore di rugby visto che sto seguendo il corso per diventarlo. Sto anche facendo un documentario sulla storia del rugby a Napoli che poi è una metafora per raccontare le città.

 

Insomma che consigli a un ragazzo che vuole fare il fotografo?

 

Non è facile. Le strade sono due: una realistica e una romantica. La strada realistica: o sei figlio di un fotografo famoso o potresti diventare l’amante di qualcuno. È una strada che funziona benissimo soprattutto se sei omosessuale. Se io fossi stato figlio di un fotografo famoso con quello che ho fatto in passato sarei alla Magnum invece sto qua a porta San Gennaro, che per me va bene eh!

Testi: Stefania Annese e Lia Zanda

foto: Lia Zanda

Per chi volesse saperne di più: www.mariospada.it

Stefania Annese

scritto da

Questo è il suo articolo n°51

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