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Camillo Giorgino detto anche Millo

Lui si chiama Francesco Camillo Giorgino ma noi lo conosciamo come Millo. È un architetto che di giorno, nel suo studio a Pescara, disegna case, strade, ponti, giardini, parchi. Ma lo fa anche di sera e nelle ore della merenda, su ogni superficie. Ha partecipato a mostre, come “Disturbi” di cui vi abbiamo parlato qualche numero fa, a collettive di street art, come in Industriall Wallz a Pescara, e lo abbiamo visto al fianco di altri illustri ospiti della seconda edizione di Lumen che si è da poco conclusa a Salerno. Che dirvi di più? Gustatevi la nostra intervista.

 

foto di Andrea Straccini

foto di Andrea Straccini

 

Quando hai iniziato a disegnare e perché?

 

Praticamente da sempre. Già da piccolo, quando avevo all’incirca 4-5 anni, mi piaceva disegnare. Un pomeriggio, quando ancora ero piccolo, i miei mi lasciarono a casa di mia nonna e su un muro disegnai un drago gigante. Stando ai racconti dei miei, mia nonna si arrabbiò. Però in compenso, ad ogni epifania, nei loro regali c’erano colori, acquerelli, insomma, materiale da disegno, anche se io chiedevo dei semplici giocattoli. Persino gli esercizi di calligrafia per me erano dei disegni, delle vere e proprie opere d’arte.

 

Nelle tue opere predominano paesaggi urbani, quale significato dai alla città?

 

Innanzitutto perché riesco a raccontarla dall’alto, da architetto so come è fatta. E poi soprattutto, mi piace raccontare la città nei miei disegni perché è piena di luoghi in cui, nonostante la presenza di tante persone, in realtà ci si può sentire veramente soli. E qualche volta molto più in centro che in periferia. La metropoli spesso ti fa sentire solo.

 

Molti dei protagonisti delle tue opere sembrano vivere in solitudine, una condizione esistenziale che sembra rispecchiare la crisi dell’individualismo moderno?

 

In ogni mio disegno provo a raccontare le mie emozioni, le sensazioni che provo in quel determinato momento e cerco di trasmetterle ad uno o più personaggi. Per esempio, in “Hikikomori” i personaggi sono due ma rappresentano la solitudine di un’altra persona, un alter ego, perché entrambi sono la rappresentazione di mie esperienze e dunque rappresentano me stesso. Poiché il disegno è un lavoro sulla mia personalità, sento di dovermi isolare quando disegno. Il soggetto deve essere quasi un’icona, il protagonista, e poi, soltanto alla fine, diventa un fatto estetico.

 

 

foto di Giulia Flacco

foto di Giulia Flacco

 

Come si prepara Millo alla realizzazione di un disegno?

 

Dipende da ciò che voglio disegnare, anche se nella maggior parte dei casi la composizione del disegno è legata alle emozioni che vivono in me al momento della realizzazione. Per esempio, la serie dei Disturbi era supermeditativa, prestavo molta attenzione alla realizzazione delle opere. Ero talmente maniacale che appena facevo una linea mi andavo a lavare le mani per paura di sporcare il disegno. Partivo da delle sensazioni che avevo, trovavo dei personaggi che le dovevano rappresentare. Sapevo come doveva essere sin dall’inizio. Ora invece le ultime opere le realizzo al contrario, cioè senza premeditarle: tante volte non so che cosa sto per disegnare e questa incognita mi piace perché è come se fosse una sfida: rispetto e paura di ciò che prenderà corpo nel disegno.

 

Perché il bianco e il nero?

 

È un modo molto diretto di disegnare, di raccontare storie. È anche una condizione psicologica, come in “Disturbi” per esempio, dove il binomio bianco e nero era quasi d’obbligo. In questa combinazione ci sono dei richiami all’infanzia, all’adolescenza perché il bianco e il nero sono molto più vicini all’illustrazione, quella di Raymond Pettibon per esempio che adoro.
Ho anche disegnato bianco su nero, quando una mia amica mi ha regalato una tela nera e mi ha messo di fronte a questa sfida: invece di disegnare le ombre questa volta ho disegnato le luci, ragionando al contrario di quanto fino ad allora avevo fatto.

 

Ci sono artisti che ti incuriosiscono o ispirano?

 

Oltre al già citato Raymond Pettibon, mi sento di aggiungere altri nomi come Rita Ackermann, Basquiat, Van Eyck, Richard Skelly, John Bauer e in particolare Trenton Doyle Hancock, il cui Rememor with Membry mi ha fatto capire che avrei voluto fare anche io qualcosa di simile.

 

 

Che rapporto hai con le tue opere?

 

Mi reputo abbastanza generoso. Sono felice di donare le mie opere ad altri e anche se le sento come parte di me, del mio mondo emotivo sono certo che chi le sta acquistando in quel momento ha una propensa affinità emotiva con esse. Ciò vale anche per le opere che realizzo all’aperto, so che quelle sono un regalo comune e anche una scappatoia agli slogan politici e pubblicitari che vengono lasciati sulle pareti grigie delle nostre città.

 

Progetti futuri?

 

Ci sono molti impegni che mi attendono, specie a Pescara dove mi vedrete cimentarmi con abiti in tessuto, un materiale su cui mi sto divertendo molto. Mi vedrete poi partecipare alla mostra Street in Gallery a Roma presso degli Zingari Gallery e infine ho in programma la partecipazione alla collettiva “Il gusto dell’arte” che partirà in Austria a luglio e sarà un evento itinerante che coinvolgerà altri paesi.

 

Sesso è la parola chiave del numero di giugno di ziguline, come lo disegneresti?

 

Non sono uno che lo disegna, non sono esplicito, cerco di rendere il concetto usando delle metafore o dei paralleli, come per esempio il gioco del vedo non vedo che mi incuriosisce di più rispetto a qualsiasi altro modo di rappresentarlo.

 

Per chi volesse saperne di più: millo.biz

Eva Di Tullio

scritto da

Questo è il suo articolo n°178

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