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Cerco di spiegarvi perché il Carnevale di Ivrea è una cosa meravigliosa

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Tutti conoscono quello di Ivrea come un evento al limite del masochismo, dove la gente si riversa per strada a lanciarsi arance addosso apparentemente senza motivo per tre giorni di fila. Ecco, in questo articolo cercherò di spiegarvi perché non è assolutamente così, così magari cambiate idea e venite con me l’anno prossimo, visto che il mio fidanzato odia l’odore dell’arancia.

Certo, per una come me, ex arciere medievale, dama di corte e paesana di tanti cortei medievali, innamorarsi del Carlevè non è stato difficile, diciamo che avevo già buone basi di partenza.

Scherno tra aranceri sul carro e a piedi, ph. Elisa Troglia

Il Carnevale di Ivrea, agli occhi di un epoderiese, è una manifestazione quasi religiosa: le persone, dalle più giovani alle più anziane, per una settimana smettono di vestire i loro panni per indossare quelli di generali, dame, aranceri, abbà, valletti, e l’intera città si ferma per una settimana per celebrare la libertà e l’orgoglio contro il tiranno. La battaglia delle arance infatti è solo una delle svariate cerimonie che si svolgono nei giorni precedenti al Martedì grasso, quando viene celebrato un vero e proprio funerale al Carnevale. Temo, nonostante abbia cercato di documentarmi a fondo, di non avere le competenze storiche necessarie a descrivervi correttamente tutti gli appuntamenti che ho potuto vedere o di cui ho sentito solo parlare, legate al Carnevale, ma sul sito ufficiale trovate tutte le risposte ai vostri dubbi storici, per esempio al come mai si lancino arance e non pomodori.

Ma se ci si affronta bene ci si fa i complimenti, ph. Andrea Mor

Sono stata però alla proclamazione della Mugnaia, il personaggio in assoluto più importante di tutta la manifestazione: lei rappresenta Violetta, simbolo della libertà contro l’oppressione del tiranno. Quella sera ho visto un’intera città radunata nella piazza principale per acclamare una ragazza nelle cui mani, si rimetteranno tutti, perché lei dovrà tenere in alto la spada che segnerà il destino fortuito o meno di Ivrea per l’anno.

Scherno tra aranceri sul carro e a piedi, ph. Elisa Troglia

Il discorso introduttivo del Gran Cancelliere (altra figura chiave, in quanto detiene tutti i poteri della municipalità durante il Carlevè) è stato toccante al punto che anche io mi sono sentita piena di orgoglio e invidiosa di tutte queste persone che possono provare un sentimento simile tutti gli anni. Mi sono lasciata andare al grido di “Evviva la mugnaia, Evviva il generale, Evviva il Carnevale” e, con un bicchiere di vin brulè in mano, mi sono spostata insieme a tutti per vedere la parata degli aranceri, gli eroi cittadini che per i tre giorni seguenti si romperanno nasi, si tumefaranno occhi, orecchie, labbra, guance, si cureranno lividi su braccia e gambe per combattere il potere e liberare la loro città.

Melma, ph. Elisa Troglia

E la battaglia. Quella è qualcosa che deve essere visto con i propri occhi almeno una volta nella vita. È il clou del Carnevale e celebra la lotta dei popolani, rappresentati dagli aranceri a terra, contro le guardie del tiranno, che si spostano a bordo dei carri da getto trainati da magnifici cavalli (piccolo dettaglio da appassionata di equini: gli addobbi dei cavalli vengono conteggiati ai fini delle premiazioni e sì, sono veramente maestosi e curati in tutti i dettagli). La lotta si svolge in tutta la città, mentre la Mugnaia sfila sul suo carro distribuendo mimose.

Scherno tra aranceri sul carro e a piedi, ph. Elisa Troglia

Ho sentito una mamma, poco prima della battaglia, rassicurare la figlia decenne dicendole: “Non preoccuparti se ti fanno male, tu tieni alto il braccio sulla testa e vai avanti. L’importante è andare avanti”. Una raccomandazione che una madre non farebbe mai a una figlia di 10 anni, no? Un ragazzo mi ha detto “Se non cominci da piccolo poi non prendi il giro e non lo fai più”. Mi ha mostrato le sue toppe: 8 anni fieramente con i Tuchini, ma tanti anni in diverse squadre che non è stato lì a dirmi perché “Da piccolo cambi un po’ tutte le squadre perché va bene così, sei piccolo, ma poi no”.

Mercenari, ph. Andrea Mor

Sono stata nella piazza degli scacchi e degli scorpioni, il punto di partenza dei carri. La prima impressione è stata potentissima: ragazzi di tutte le età si avventavano sui carri lanciando arance, la piazza in pochissimo tempo si è accesa di un arancione brillante, e il profumo di agrumi mi ha invaso le narici. Il tutto è durato solo qualche caotico minuto, prima che i carri lasciassero la piazza e improvvisamente ho potuto vedere i volti, di quegli aranceti, sorridenti, fieri, sporchi di polpa e con i capelli già scompigliati. Erano la rappresentazione della felicità e della libertà, quella vera.

Il passaggio della Mugnaia e del Generale

Ho visto un bellissimo testa a testa tra un arancere sul carro e un arancere a piedi, finito con una stretta di mano e una pacca. Ho visto un arancere sul carro offrire le arance a chi sotto le aveva finite, oppure togliersi la maschera per battagliare con un suo avversario e dimostrare così la sua combattività. Ho visto amici di contrade diverse insultarsi e offrirsi da bere, a volte anche allo stesso tempo. Sono scivolata sulle bucce di arancia, mi sono trovata 5 lividi di arance volanti, ed ero felicissima di aver partecipato a questa grande celebrazione.

I mitici Valletti

Una mia amica per il suo primo anno è entrata nelle fila dei mercenari, e mi sono fatta raccontare cosa vuol dire vedere la battaglia dal campo. Le ho chiesto di raccontarmi cosa si prova dall’altra parte, e lei mi ha detto delle parole bellissime:

“Un’esperienza intensa ma adrenalina. Tiri fuori energie che non pensi di avere, anche se soffri per la stanchezza, la pioggia, a volte anche per il dolore fisico, non molli mai. E poi l’atmosfera è incredibile. Si canta, si beve, si balla, si ride e si soffre insieme. I gesti di fratellanza, le mani strette, i sorrisi e i volti di chi c’è intorno a te sono la cosa che mi colpisce di più. Si dice spesso che sia una battaglia “di chi se le dà di Santa ragione”. Invece c’è un rispetto incredibile, come il tiranno dal carro che toglie la maschera e ti stringe la mano. Un ragazzo si è tolto la maschera per stringermi la mano (dopo avermi randellato). Io quello non lo dimenticherò mai. E i lividi sono poca cosa: un occhio segnato, una mano gonfia e un braccio bluastro! Poteva andare peggio!”

Pantere nere

Voi probabilmente starete ancora pensando che non c’è bisogno di lanciarsi arance per rivisitare la liberazione di una città, io vi dico che invece è necessario farlo, perché rappresenta molto più di una manifestazione storica: è la possibilità di liberarsi da tutto e vincere, una volta l’anno, è l’occasione per sfogarsi e per sentirsi parte di una comunità, è l’orgoglio di portare segni di cui andare fieri. È un sentimento coinvolgente, è un’onda che travolge la città dalla quale è difficile riemergere senza essere toccati nel profondo.

La Morte

Update: quest’anno ha vinto la squadra degli aranceri Asso di picche, la squadra più antica della città.

Claudia Losini

scritto da

Questo è il suo articolo n°175

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