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Ci mancava solo l’emo-fobia

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Siamo a marzo del 2008 e nella piazza centrale di Queretaro, città a 250 km da Città del Messico, una folla composta da circa ottocento ragazzini si assembra al grido di “Kill the emo” pronta a rompere il muso di chiunque in quel momento vestisse i panni di questa sfortunata tribù urbana, solo l’intervento massiccio della polizia eviterà il peggio.

In Messico il problema della convivenza dei cosiddetti Emo con il resto della città si era fatto davvero serio, contro questa subcultura si sono scatenati un numero imprecisabile di movimenti (anti-emo) che grazie al tam tam della rete sono riusciti a raccogliere proseliti ovunque pronti a qualsiasi cosa pur di attaccare gli appartenenti a questa corrente la cui unica colpa è piastrarsi i capelli, usare quintali di matita nera per il contorno occhi e spararsi overdose di Tokio Hotel, Jimmy Eat World, Billy Talent e Metro Station . Le motivazioni addotte dai fautori di questa “nuova” forma d’odio sono disparate e spesso fantasiose. Gli osservatori più attenti però parlano più semplicemente di un retaggio culturale della società messicana ancora troppo conservatrice per poter accettare chi è “diverso” e che quindi sfoga nella violenza questa sua immaturità. Il fotografo freelance, Nicola Okin Frioli, italiano ma stabilizzatosi da molti anni a Città del Messico, ha realizzato un bellissimo reportage su questa corrente culturale, nata negli Stati Uniti alla fine degli anni ’80 e che ha trovato in Messico una fortissima diffusione. Nicola ha immortalato i volti, le acconciature ed il trucco di una generazione che ha fatto della filosofia Emo il proprio rifugio.

Foto di Nicola Okin Frioli

Dimitri Grassi

scritto da

Questo è il suo articolo n°319

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