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Ciao sono MP5

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Mp5 è diventata nostra amica dopo aver partecipato lo scorso maggio a Lumen, arte in controluce e con questa intervista confermiamo che ci piace molto. È un’artista di origini napoletane che lavora in pianta stabile a Roma e spesso in giro per l’Italia o l’Europa. È giovane ma già piena d’esperienza. E’ fumettista, street writer e illustratrice. Lavora come scenografa, ha studiato stop motion a Londra, ha vinto numerosi premi internazionali e fa parte dell’organizzazione di due importanti festival, il Crack e il Ladyfest di Roma. Nel 2009 ha pubblicato con Valerio Bindi Acqua Sorta, una graphic novel che ha avuto molto successo e attualmente continua la sua ricerca artistica partecipando a festival ed esposizioni. Non si sente una steet artist, ma dice di occuparsi più che altro di interventi negli spazi urbani. Mette molto in quello che fa e traspare benissimo dalle sue parole piene di passione. A voi.

Ciao MP5. Parlaci di com’è cominciata la tua carriera di street artist.

 

Non ho mai pensato di essere una street artist. I miei interventi nello spazio pubblico sono sempre stati un po’ più vicini alla public art o all’arte murale anche per modalità e significati. La verità è che le definizioni mi stanno un po’ strette. Ho iniziato a fare disegni più grandi di un foglio e sui supporti più svariati perché non mi bastava più uno spazio così ridotto. Avevo bisogno di vedere come i miei disegni potessero interagire con e nello spazio. La prima volta che ho lavorato a un progetto di public art utilizzando il disegno è stato nel 2003, in Francia, durante un residence d’artista per le Pepinieres Europeenes pur Jeunes Artistes. Negli anni oltre ai muri ho iniziato a progettare costruzioni e interventi nelle strade, nei teatri e negli eventi con tanti strumenti diversi, dalle lavagne luminose, al laptop e proiettori fino alle scatole per imballaggio. Tutto questo non necessariamente per strada.

 

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere con i tuoi lavori?

 

La mia ricerca è diversa per i diversi tipi di lavoro che faccio. Fumetto, installazioni, animazioni e pitture murali. Nelle installazioni e murales cerco uno spaesamento, un’interazione con lo spazio in grado di capovolgerlo, di cambiargli di senso. Nel fumetto cerco un equilibrio tra il bianco e nero che si fonda perfettamente con la narrazione. Il medium è parte del messaggio. E alla fine in tutto quello che faccio racconto principalmente delle storie.

Ovviamente non posso evitare una domanda sul ruolo della donna nel mondo della Street art. Quante siete? Come siete? Chi siete? Fate fatica a emergere rispetto ai ragazzi? Perché ci stupiscono ancora le street artist donna? Lo so è più di una domanda.

 

Conosco vari street artist, anche donne, bravissime tra l’altro. Non sarei in grado di fare una cernita delle donne della Street art: numero, attributi, nomi. Ho conosciuto più uomini che donne in questo campo, ma vale lo stesso discorso anche per il fumetto. E per tantissimi altri campi. È una vecchia storia. La verità è che una donna che fa un lavoro qualsiasi, che non faccia parte di quelli “canonici” e riconosciuti dai tempi dei tempi, sembra stupire ancora. E la verità è che la fatica di emergere per le donne c’è sempre in ogni campo.

 

Mi parli un po’ della tua collaborazione con il gruppo To/ Let?

 

Conosco le To/Let (Elisa e Sonia) da dieci anni e da cinque lavoro spesso con loro. I loro lavori spaziano dall’installazione al design. Sono molto attente ai cambiamenti, all’arte e alla grafica. Da due anni gestiscono anche la galleria Fragile Continuo nel centro di Bologna, che propone il meglio delle autoproduzioni di molti artisti italiani e stranieri. Credo che siano tra le poche persone che conosco che riescono a mettere da parte il loro Ego in funzione dell’”arte”. La respirano e la vivono ogni giorno e il loro modo di far arte continua a stupirmi. Sicuramente il mio modo di interagire con lo spazio sarebbe stato meno complesso senza di loro. Abbiamo realizzato tantissime installazioni e murales assieme e per tanto tempo. Sicuramente ne faremo altre ancora, anche se al momento ci stiamo concentrando un po’ di più sui nostri percorsi individuali.

Parlami un po’ del Ladyfest, queer feminist festival di Roma di cui sei parte attiva.

 

La storia nasce del 2008. Siamo in tante e in tante sentivamo l’esigenza di un momento e uno spazio dove fare cultura altra, dove invitare artiste internazionali sconosciute ai più in Italia, dove ci fosse una riflessione politica e sociale sulle donne, sul gender e sulla sessualità. La risposta è stata alta, al di sopra delle nostre aspettative. Per questo stiamo andando avanti, tutto rigorosamente D.I.Y. (Do It Yourself, N.d.R.). Ognuna mette a disposizione le proprie capacità. Io mi occupo della comunicazione visiva. Al momento stiamo lavorando all’edizione 2011 che si terrà in primavera.

 

Anche le lady della Street art scappano dalla polizia? E in generale si scappa ancora dalla polizia per non farsi beccare a “imbrattare” i muri della città?

 

Io lavoro principalmente in spazi abbandonati, centri sociali o posti occupati. Nella maggior parte di questi casi la polizia non trova interessante venirmi a cercare o a chiedere cose. Le poche volte che sono stata fermata ho risposto “sto facendo un progetto di public art” e a volte non era vero. Il fatto è che i posti in cui lavoro seguono una logica precisa. Ci sono dei motivi perché lavoro in determinati spazi. Come all’Aquila, dove abbiamo dipinto tutta la sede delle Casematte del comitato 3e32, il primo e unico spazio sociale autogestito dopo il terremoto. Un vero e proprio laboratorio di ricostruzione sociale, l’unico e quindi “scomodo” per alcuni. Se fosse arrivata la polizia lì non sarei scappata, questo so.

 

Sei una regina del fumetto e dell’arte di strada/urban art, ma qual è quella che ti piace di più?

 

Sono incostante e nei diversi mondi in cui mi muovo sono un outsider. Mi piace fare fumetti, ma a livello fisico e mentale mi sfinisce. Quando sento che il mio corpo non mi risponde più mi ritrovo a fare murales e capisco che era il momento che il mio corpo ricominciasse a vivere e che la mia mente iniziasse a pensare in altri termini. Nel fumetto sono più attenta a vedere come va avanti la narrazione, a come tenere alta la tensione. Nei graffiti interagisco con lo spazio, cerco delle suggestioni.

Ho adorato Acqua Storta, la graphic novel tratta dal libro di L.R. Carrino che hai realizzato insieme a Valerio Bindi. Com’è nato questo progetto?

 

Acqua Storta è un libro bello, coinvolgente e asciutto. L’idea di rendere Acqua Storta a fumetti è partita da Valerio, con Marco Vicentini di Meridiano Zero. Il libro di Carrino vive ora su diversi media: fumetto teatro e un film in lavorazione. Il lavoro fatto da Valerio è riuscito a rendere la storia un’altra cosa virando ancora verso un noir più straniante, che evita la semplice trasposizione. Ha voluto che fossi io a disegnarlo per l’uso che faccio del bianco e nero. Questo libro è nerissimo, ma anche bianchissimo.

 

A cosa è dovuta la scelta del bianco e nero nelle tue opere?

 

Non ho scelto di usare il bianco e nero a priori. I miei primi lavori erano ipercolorati, usavo sempre su una stessa tela tutti i colori primari e i loro complementari. Poi il colore ha iniziato a darmi fastidio agli occhi, mi sembrava che gli accostamenti che facevo fossero orribili. Ho iniziato a essere ossessionata dal bianco e nero, dalla calibrazione dei due pesi estremi. E mi sono concentrata solo su quello, per anni. Adesso ogni tanto inserisco ancora un po’ di colori nei mie lavori, ma solo alla fine. Quasi fosse una punta di luce.

 

Perché gli italiani fanno ancora tanta fatica a vedere il fumetto e la graphic novel come una forma di arte a tutti gli effetti?

 

Il fumetto è narrazione non arte da galleria, però poi i disegnatori che fanno fumetti sono anche degli artisti. Probabilmente questa dicotomia è spaesante. Almeno per il pubblico italiano che ancora fatica ad accettarlo, ne è prova il fatto stesso che questi artisti non abbiano critici e galleristi che se ne occupano, che siano sempre fuori dalle grandi esposizioni. Intanto il fumetto è cambiato, dagli anni ’70 in poi ha fatto passi strani, diversi, si è evoluto, ha cambiato pelle e poi no, poi è rimasto anche lo stesso. Il problema è più ampio, è culturale. Abbiamo tantissimi bravi autori italiani di fumetto popolare e non, ma c’è un grande silenzio intorno a tutti.

Hai lavorato molto all’estero. Che ambiente hai trovato fuori dall’Italia? Gli artisti godono di maggiore credibilità o la situazione è precaria come da noi?

 

L’estero lo consideriamo sempre come una sorta di Shangri-la oltre ogni nostra fantasia e immaginazione. Questo estero è diviso in tante nazioni diverse con differenti approcci culturali e politici. Quando lavoravo in Francia, ho fatto una grande mostra in una galleria che mi aveva spesato tutto e che credeva nelle mie cose. Ero piccola, mi davano tanto credito e tutti mi volevano bene. Alla fine della mostra, dopo che io che avevo finito di dire due parole su quello che avevo esposto, uno dei presenti mi chiese: “Sì, però tu che lavoro fai? Cioè, che fai per campare in Italia?”. Questo è per dire che il problema del fare arte esiste ovunque e non è il più grande problema che abbiamo in Italia. Il problema sta nei rapporti di forza e potere che si creano. C’è un nucleo di persone che ha il controllo e un altro molto più grande che cerca solo di sopravvivere. A questo punto, anche questi molti pensano che debbano seguire le tecniche di quei pochi. Chi non lo fa è fallito in partenza. Nessuno si chiede se magari il non farlo è proprio una scelta di vita, politica. Attualmente non esiste un tessuto dove produrre in modo sano “cultura.” All’estero una cosa che ho affrontato più facilmente c’è stata, lo ammetto. I miei muscoli sono stati più rilassati e i nervi meno in tensione. Questo posso dirlo.

 

Una domanda scomoda lasciamela fare: si campa d’arte?

 

Si campa d’arte se si vuole campare d’arte. Si riesce a campare e a non campare di tutto.

Hai fatto molta strada e la tua carriera è sicuramente in evoluzione. Quali sono i tuoi progetti?

 

Riesco a pensare solo entro brevi periodi. Non sono mai riuscita a pensare a lungo termine. Forse anche per questo ho cambiato così tante città e rispondo con difficoltà a domande sulla mia “ricerca artistica”. Per il momento vorrei riuscire entro breve a terminare diversi progetti cui tengo e continuare a viaggiare. Ho bisogno di vivere quanto più spazio possibile.

 

Grazie dell’intervista e a prestissimo. A proposito dove ti possiamo incontrare prossimamente?

 

Tutto è in continuo cambiamento, ci sono sempre tracce di quello che faccio sul mio blog www.mpcinque.splinder.come e sul mio Flickr www.flickr.com/MP5. Presto sarà on-line anche il mio sito completamente rinnovato, in maniera da poter aggiornare continuamente e in tempo reale tutte le news www.mpcinque.com

 

Per saperne di più: ladyfest-roma.noblogs.org

Maria Caro

scritto da

Questo è il suo articolo n°444

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