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Clausura | Romeo Solo Show alla 999Gallery

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“Il mio alfabeto è il mio migliore amico. Èla mia vita. Devo dominarlo come domino la mia vita. Devo scrivere meglio del mio nemico.. Il mio alfabeto è umano, come me, perché è la mia vita, pertanto, imparò a conoscerlo come un fratello… terrò il mio alfabeto pulito e in ordine”.

Sono questi alcuni passaggi dell’introduzione alla mostra di Romeo alla 999Gallery di Roma, di cui sabato 20 aprile si è tenuto un affollatissimo opening. Noi ci siamo stati, e ciò che segue è la storia delle mie impressioni.

Romeo è quello che si definirebbe un artista, cioè crea delle cose che vanno appese a delle pareti. Fa quadri, dipinti che però hanno una particolarità: laddove nei dipinti classici la figura è determinata da alcuni segni (le pennellate), nelle opere di Romeo è determinante un passaggio intermedio. Le molecole delle sue composizioni sono infatti delle lettere, dei segni semantici che ricordano alfabeti orientaleggianti – arabi, per lo più – ma che non sono identificabili in nessun sistema riconosciuto. I segni di Romeo compongono un alfabeto illegibile.

“La mostra è incentrata sull’incomunicabilità, e proprio per questo si chiama CLAUSURA. Ci sono due elementi fondamentali: un alfabeto criptico e l’idea di labirinto, ed il concetto che sta dietro al tutto è che non ci si potrà mai capire niente, è impossibile. In questo senso, Romeo ha rappresentato il suo mondo privato, quella che si può definire una cosmogonia: pianeti, satelliti, linee. E’ una cosa uscita dal nulla, fuori da qualsiasi progetto. Quelli che si vedono sono i suoi schemi di ragionamento, è il mondo di Romeo, e fare mondi è un vero modo di fare arte.” (Stefano Antonelli, gallerista e proprietario della 999Gallery)

Il lavoro di Romeo è un lavoro in cui si creano mondi attraverso un linguaggio. L’arte, in generale, potrebbe essere la capacità di creare mondi nuovi, alternativi o comunque paralleli attraverso dei linguaggi. Ma questo non spiega niente, perché ogni volta che noi impariamo un linguaggio nuovo noi entriamo in un mondo nuovo. Qual è, allora, la differenza?

“Ci sarebbe da studiare il suo codice. Romeo ha azzerato il linguaggio, ed i suoi sono flussi di coscienza scritti nella sua lingua, una lingua leggibile solo da lui. Il suo alfabeto ha, per esempio, ventisette lettere, e l’ultima di queste è la lettera dello spazio. L’arte non è per forza parlare, ma è anche far capire che parlare è impossibile. Quello di Romeo è un ragionamento, un ragionamento che ha il coraggio di fare una scommessa artistica. Sta allo spettatore accettare la sfida di decifrare quell’alfabeto”. (Simone Pallotta, curatore)

I linguaggi sono fatti per creare mondi condivisi, il linguaggio di Romeo sembra invece non condividere niente, ma anzi esporre una estrema difficoltà alla possibilità di farlo. Il linguaggio di Romeo crea un mondo che è solo suo, ed il cui accesso è lontano, difficile: parla della sua intimità, di ciò che egli è – esistere, per l’uomo, è possibile solo in un linguaggio – eppure non può parlarne a nessuno, che l’intimità è per forza di cose sempre e solo nostra.

“Il mio lavoro su basa sulla necessità di non essere capito. In base a questa necessità ho sviluppato un alfabeto criptico per parlare solo con me stesso: nelle tavole parlo con me stesso, faccio delle riflessioni. E’ un chiudermi ma allo stesso tempo è un voler comunicare, un comunicare agli altri la necessità di chiudersi in sé stessi. Il punto non è che io non riesco a dirlo: il punto è che io non voglio dirlo.” (Romeo)

C’è un libro di un filosofo americano, Cavell, in cui egli riprende alcuni passi della filosofia di Wittgenstein. Per farla breve, Cavell afferma che il linguaggio ha quello che sembra un limite evidente: io non potrò mai sapere quello che tu sei e lo stesso vale per te. Con buona pace di Raffaele Morelli e degli psichiatri criminali dei salotti di Bruno Vespa, la tua intimità mi sarà sempre preclusa ed io non posso fare altro che affidarmi alle tue parole.

Questo può avere due esiti: far sprofondare in una tragedia scettica (non esiste la verità, quella verità cartesiana che trova la sua ragione nella mia intimità) oppure può aprire alla potenza del linguaggio stesso: in questo senso, infatti, non esiste nient’altro che il linguaggio stesso. Il linguaggio è tutto quello che abbiamo, e noi dobbiamo prendercene cura, perché ne va di ciò che noi stessi siamo.

Ora, l’arte è molte cose, ma prima di tutto è arte se riesce ad essere un simbolo. L’arte simbolizza degli aspetti di noi stessi, ce li mette davanti in modo che noi possiamo riconoscerli come essenzialmente nostri. Ebbene, l’arte di Romeo è simbolica del tentativo quotidiano di aprirci agli altri, di esporre la nostra intimità al loro giudizio. L’arte di Romeo è simbolica del fallimento a cui è condannato qualsiasi tentativo del genere se prende a prestito alfabeti preconfezionati, i linguaggi della televisione e degli articoli di Novella2000.

L’arte di Romeo, infine, è simbolica della necessità di curare la nostra intimità, di individuare le sue strutture linguistiche, di una CLAUSURA necessaria perché solo dal momento in cui noi abbiamo riconosciuto noi stessi in un alfabeto ed in una possibilità d’espressione  possiamo autenticamente trovare la strada che ci conduce agli altri.

Prenderci cura di noi stessi è prenderci cura del mondo in cui poter parlare di noi. E l’arte, in questi casi, è il modo più profondo per dare voce anche a ciò che non può averne.

  

Domenico Romeo | sito 

999 Gallery | sito Facebook

 

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

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