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Elena Cambria, danza di una vagabonda

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Classe: 1985. Occhi: nomadi. Alimentazione: poesia, arte, lingue, viaggi. Residenza: le sue scarpe. Sogni particolari: brevettare nuovi linguaggi dell’anima. Professione: libera espressionista. Parliamo di Elena Cambria. Poetessa, fotografa e viaggiatrice.

Alle spalle si ritrova già: tre personali di scatti fotografici allo Spazioriginale di Milano, allo ZooArt di Ortona e al Caffè Letterario di Roma nel 2012 e un testo di poesie, Ridicola-mente, pubblicato nel 2010.

Ma lasciamo da parte “l’occhio retrovisore” perché Elena, è sì“malinconica ma molto vitalista, con due occhi rivolti in avanti e le ali alla mente” (parole sue) e diamole un volto più umano.

Niente date, trascorsi e curriculum. Se incontraste Elena per la strada la riconoscereste per il suo inconfondibile stile. Enorme cappello in feltro nero, occhiali da sole alla John Lennon e abbigliamento sgargiante, specchio di un animo anticonformista e ribelle, come del resto è la sua vita, vissuta tra Italia, Spagna, Portogallo e America Latina, insomma la sua è una vera e propria “vagabondanza”, danza di una vagabonda. Una nomade tutt’altro che disadattata, con un forte attaccamento al concetto di casa, di cui ha un’idea tutta sua: non vincolata alla terra d’origine ma alla geografia umana.

Elena Cambria

La casa dell’anima la fanno gli occhi e i passi. Sogni e sentieri fanno da mete ubique.

La casa sono incontri, battiti senza confini né dogane…

Darsi e ricevere, scambi continui. La divina opportunità di perdersi per ritrovarsi.

Un’anima in viaggio…

Un albero in cammino che porta a passeggio le sue radici, le consegna al nuovo e sparge i suoi rami in alto, in salita, al vento, verso la vita. Questa è Elena.

Voce all’intervista…

 

Facciamo un gioco. Per capire chi è Elena Cambria creiamo due liste, semplici, brevi e coincise, di quello che ti piace e di quello che non ti piace. Scritte di getto.

 

Mi piace: l’alba; i riflessi; i mercati; le pozzanghere; la certezza del dubbio; la buona compagnia e la buona solitudine; le sfumature; l’andatura di un passante e l’andatura del suo sguardo; le cose piccole; il bivio, anche quello che non ho preso; il SÍ; le asimmetrie; non fare programmi; gli accenti e i toni di risate differenti; i colori ancora da inventare; l’attrazione tra due passanti, amore immortale in quanto non iniziando non potrà finire; la cicoria; il temporale; la musica per mano al cuore; la geografia emotiva; la birra; le mani.

 

Non mi piace: la presunzione; la chiusura mentale; il formaggio; la rigidità; i No categorici; la saccenza; l’abuso di potere e di dovere; l’ingordigia; il freddo; scrivere con la penna blu; l’intolleranza; i quaderni a righe o a quadretti; chi non saluta e non dice grazie; l’ossessione per l’ordine; la violenza emotiva… e fisica, chiaro; le selezioni all’ingresso; le fashion victims; l’univoco.

 

Una ragazza nomade, con un semplice bagaglio a mano. Un taccuino e una macchina fotografica. Perché proprio questo tipo di equipaggiamento? E di cosa sei alla ricerca?

 

Il bagaglio emotivo non so se passa alla dogana… ha già molto da dichiarare!  Allora… il taccuino è come portare uno psichiatra tascabile, uno specchio o una toilette portatile… Un mondo vergine dove sfogarmi riflettere e riflettermi. 
La macchina fotografica è una scatoletta, piccola e comoda, che mi permette di dipingere con gli occhi.  Sono alla ricerca dello scorrere perpetuo, degli incontri senza fine. Cammino scrivendo la mia vita, la mia poesia… Ogni passo, un silenzio o una parola.

 

Il viaggio. L’espressione più diretta in cui la nostra società si rapporta al tempo, allo spazio, al contatto con gli altri e alla scoperta del nuovo. Insomma, dimmi con che scarpe viaggi e ti dirò chi sei. Che genere di scarpe sei, Elena?

                                          

37.5 comode, basse… antinebbia. Un surrogato di ali ai piedi… un alipede! Sono fedeli le mie scarpe, la mia residenza.

 

Credi che la tua vena artistica, poetica e fotografica, sia intimamente legata a questo “prurito” che ti porta ogni volta in posti nuovi, oppure pensi sia innata, a prescindere dalla vita che conduci?

 

La mia “vena artistica” è sempre stata come un seme dentro di me, che, come habitat per crescere, ha richiesto e portato naturalmente alla vita che conduco. Pulsione artistica e viaggio vivono un amore reciproco e molto felice.

 

Parliamo di fotografia. Quanto c’è di te nelle visioni surreali che riesci a bloccare in un clic?

 

L’attenzione ai dettagli che, se isolati, spesso distorcono e trasformano, arrivando fino a sorprendere il tutto. Ci sono i miei amati colori, colpi d’occhio, riflessi dell’anima. I miei punti di vista, che se non catturati sarebbero punti di svista.

 

Ho divorato in un’unica serata il tuo libro di poesie. Ridicola-mente. Sei chiaramente un’erede della scapigliatura italiana, non solo per il tuo stile di vita anticonformista ma anche per la scrittura strampalata, giocosa, criptica, irriverente e allo stesso tempo così vicina ai dubbi, alle incertezze, alla voglia di vita, all’alienazione, alla passione travolgente, che tutti quanti nutriamo o abbiamo nutrito almeno una volta nella vita. Voglio chiederti, in base alla tua esperienza, si deve provare un grande dolore o una grande gioia per riuscire a produrre, in modo efficace, qualcosa, oppure possiamo tutti provare a sperimentarci poeti o volendo anche fotografi, con risultati più o meno validi?

 

Scrivere per me è un’esigenza, il ponte che unisce il mio essere sensibile alla necessità di tirarlo fuori, sfogarlo e farlo respirare. Come dico sempre, per me scrivere è come andare in bagno. 
Credo inoltre che la poesia sia una smorfia, dunque istintiva, manifestazione esteriore di qualcosa di interno. 
Avendo una buona relazione con la propria sensibilità, lasciandola fluire senza filtri né badando alla forma, gli attacchi d’inchiostro prenderanno il sopravvento sulla nostra coscienza.

 

Tu stessa scrivi: “cerca qualcosa / che non abbia un perché / per essere bello / che non abbia un senso / che rovesciato / non ne abbia un altro”. Hai per caso risolto l’enigma, applicato alla tua vita?  

 

Le sfumature di tutti i possibili punti di vista, da quelle più vicine tra loro alle più opposte e contrastanti, sconfiggono la razionalità del gusto, le motivazioni del piacere. Da univoco un giudizio diviene ambi, tri, polivalente… completo. Non c’è senso che capovolto non ne abbia un altro… Un dolore, visto da un altro punto di vista, può essere una gioia; il buio, la radice della luce. Abbiamo due occhi. Uno può essere tragico e l’altro euforico. Chi volesse il terzo lo potrebbe avere endoscopico o visionario… e poi la comune considerazione che il mondo sia, in molti aspetti, il contrario di ciò che dovrebbe essere (come molte persone che vivono per lavorare e non lavorano per vivere…).
Nella mia vita sto cercando di mantenere genuini e spontanei gusti, emozioni e reazioni e di sviluppare più di due occhi.

 

Testi di Federica Cammilloni.

 

Elena Cambria | sito

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Questo è il suo articolo n°144

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