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Era una bella e limpida mattina di dicembre

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Era una bella e limpida mattina di dicembre.

Il mondo esplose.

Ma non all’improvviso, esplose un centimetro alla volta, alla velocità di un centimetro al minuto.

Con esso esplosero anche tutti i suoi abitanti, uomini, donne, animali, pesci, anfibi di metallari, piante, autostrade e finalmente anche i panini dei fast food.

Esplosero persino i demoni dell’inferno.

Quando persino il centro del nucleo del mondo esplose in uno zampillo di lava e quando persino quello zampillo di lava esplose, la luna cadde in depressione e si lascio precipitare nelle curve dello spazio tempo dove rimbalzò per qualche millennio.

Gli unici a salvarsi furono quelli in paradiso.

I soliti raccomandati.

Presero solo una multa, perché erano parcheggiati da troppo tempo in sosta vietata e in doppia fila nell’alto dei cieli.

Naturalmente si indignarono parecchio, per la multa.

Ma risolsero in fretta la questione in quanto c’era un tale, amico di un tale che aveva conosciuto il fratello dello zio di un cugino di un tale che lavorava alla municipale e che non ebbe nessuna difficoltà a far revocare la contravvenzione.

Solo un addetto alla riparazione delle arpe provò a far notare che la terra fosse esplosa, ma solo perché era il luogo più vicino dove acquistare le mute di corde per gli strumenti e siccome le corde si rompevano spesso e di andare fino ad un altro sistema solare non se ne parlava nemmeno, protestò pubblicamente e pubblicamente venne lapidato con le arpe rotte.

Ma l’addetto alla riparazione delle arpe non si fece intimorire e chiese che venisse aperta un’inchiesta, tutti inorridirono e si sdegnarono alquanto.

Un’inchiesta?? Cose da far esplodere un pianeta!!

Però, con questo genere di cose non si può mai sapere, perciò l’inchiesta venne aperta, in anestesia totale.

Fu un gran giorno, tutti ridevano e scherzavano e si misero composti in fila per dare almeno una sbirciata all’interno di questa famosa inchiesta.

Molti annuirono con aria saccente e borbottarono qualcosa di interessante che però rimase incastrato nelle loro lunghe barbe bianche.

Qualche donna pianse. Intervistate in seguito, durante una diretta nel primo pomeriggio, confessarono timidamente e con gli occhi ancora lucidi che guardare dentro l’inchiesta, aveva ricordato loro di quando, ancora terrestri, tagliavano la cipolla per preparare il sugo.

Qualcuno si infuriò parecchio, esporre una simile nudità in pubblico, era inaccettabile e chiesero con decisione di aprire un inchiesta perché chiudessero immediatamente l’inchiesta.

L’addetto alla riparazione delle arpe restò deluso, dentro l’inchiesta non aveva scoperto nulla di rilevante, ma non si perse l’animo e chiese un appello alla corte dei conti, ma quelli erano usciti fuori per pranzo.

Ormai quasi rassegnato e visto che era di nuovo mezzogiorno, andò a pranzo anche lui.

 

Finito il pranzo, alle quattro del pomeriggio, si ritrovò a barcollare, sbronzo come un muratore del venerdì pomeriggio, per alcuni vicoli nebbiosi del Paradiso Vecchio.

Non conosceva bene quella zona, nessuno la conosceva bene, neanche gli abitanti stessi, ogni tanto sbucava fuori dal nulla una frase in aramaico o in sanscrito o qualche parola nuova in greco antico ma nulla di più; a parte questo, era un quartiere tranquillo, tranne quando c’era il mercato rionale all’aperto, cioè sempre, dato che fuori da ogni porta c’era un’osteria.

Fermatosi sul bordo di una fontana a sventiare, l’addetto, in preda a chissà quali deliri e a chissà quali congiunzioni di pensieri, iniziò a borbottare una parola: “Chiarezza”.

“Chiarezza, Chiarezza, sono l’unico che non ha Chiarezza”.

“Basta!” Urlò, balzando in piedi sul bordo della fontana in un imprecisato equilibrio. “Andrò a farmi Chiarezza da solo.”

Come capita sempre in questi casi, per la solita e strana perversione del destino, Chiarezza era il nome di una puttana che abitava da quelle parti.

La particolarità di questa puttana, oltre al fatto di essere una delle più divertenti e spassose di tutto il paradiso, era che, per andarci, dovevi prima chiedere il permesso, cioè l’abbreviazione cafona e casereccia di Per Me Solo.

 

Non chiedere il permesso per farsi Chiarezza era una cosa inammissibile.

Quasi quanto essere al cesso a cagare allegramente e rendersi conto che è rimasto un solo pezzo di carta igienica.

Quasi quanto travestirsi da palla di gelato al cioccolato e schiantarsi apposta sul marciapiede per far piangere un bambino.

Quasi quanto essere in ritardo ad un appuntamento con una strafiga, che probabilmente ci sta, sbagliare incrocio e ritrovarsi in qualche via del centro, nel caos del traffico delle sette di sera e con l’aggravante che all’inizio dell’ingorgo c’è una motocarrozzetta che trasporta mobili ribaltata su un fianco.

Ma si sa, c’è sempre una prima volta, e sicuramente Chiarezza non aveva di meglio da fare se non affacciarsi al balcone, lanciare una mela in testa all’addetto alla riparazione delle arpe, che cadde rovinosamente nella fontana imprecando e, tra una risata e l’altra, urlargli di entrare a darsi una sistemata.

Le parole di Chiarezza lo colpirono molto di più della mela in testa.

Sbronzo, con la testa che iniziava a fargli male e con le palle abbastanza piene, si alzò dalla fontana e attraversò la strada, barcollante ma deciso, diretto al numero 7e77e di Viale Manidal Q.

L’appartamento era al quarto piano di uno stabile con le nuvole grigie e almeno un’aureola parabolica ad ogni balcone.

L’interno era ancora più nuvoloso dell’esterno e le scale erano composte da ossa di sacrifici umani che avevano visto millenni migliori.

Arrivato alla seconda rampa di scale, iniziò a piovere.

C’era da aspettarselo.

Ma ancora una volta, l’addetto non si perse l’animo, anzi, se lo legò ancora più stretto alla cintura, perché aveva anche iniziato a soffiare un vento De Lamadonna, e continuò a salire.

De Lamadonna era la custode di tutto quel ben di dio.

Un donnone ciccione e perennemente incazzato contro tutti, due seni enormi come due bestemmie e un culone orribile come la fine del mondo.

Arrivato al quarto piano, l’addetto alla riparazione di etc etc, ormai quasi sobrio per via dei terribili ululati dei venti, tirò un sospiro di sollievo, un abitudine che fortunatamente non aveva mai preso e si decise finalmente a bussare alla porta verde scuro con la targhetta dorata che riportava la sigla 2/4 di F. in C.

Fattosi Chiarezza, l’addetto alla riparazione delle arpe uscì per la strada felice e contento, con le palle svuotate e un bel sacco di autostima addosso, tanta da costringerlo a cambiare continuamente spalla per trasportarla. Arrivò fino alla fermata del TramVolaVia, dove il tramvolaviere e i pochi passeggeri lo stavano già aspettando contenti, prese posto su una delle comode nuvolette in fondo e si lasciò cullare dal sassofono di John Coltrane, anche lui eterno passeggero dei mezzi pubblici, mentre Paradiso Vecchio veniva inondato dal tramonto del sole e abbracciato da due arcobaleni di caramelle frizzanti Sprizz.

 

Il giorno dopo, l’addetto alla riparazione delle arpe si svegliò di buon’ora, in preda ai normali spasmi di un post-sbornia.

Ripensò a Chiarezza e a quel suo stilnovistico culo, famoso in mezzo paradiso, per aver fatto voltare il sole e le altre stelle più di una volta, almeno per una sbirciatina veloce.

Ripensò ai suoi urletti, ispiratori di almeno tre generazioni di poeti e depravati sessuali.

Ripensò alle sue tette e ai suoi capezzoli e perse un’altra mezz’ora in bagno.

Uscito in strada, con una sola cosa in mente, a parte il culo di Chiarezza, si diresse, senza esitare e senza distrarsi che lo aspettavano già al bar dell’angolo in Piazza Neunaltra, verso il Dipartimento Interparadisiaco Olavàolaspacca presieduto dall’immenso ed eccelso Gran Maialino Rosa Volante.

Superò le colonne dei giornali di ieri e i satan-detector, consegnò i documenti ad un addetto alla consegna dei documenti, che gli sorrise pacifico e gli disse benvenuto.  

Non si curò dei chi va e dei chi viene, che morirono nel dimenticatoio, non si preoccupò delle conseguenze, rannicchiate chissà dove, di entrare senza invito, che probabilmente era rimasto a dormire da Qualch Epar Te Hotel. Prese coraggio, lo indossò grazie all’aiuto di stile ed eleganza, e bussò alla porta, rivestita di Tant’Or Mai, dell’ufficio del Presidente del D.I.O.

L’addetto alla riparazione delle arpe c’è l’aveva fatta.

Oltrepassò la soglia dell’ufficio presidenziale e…

 

Qui dobbiamo interrompere la storia.

Non sappiamo con certezza cosa successe.

Forse l’addetto si dimenticò le parole nella tasca posteriore di un altro paio di jeans e se ne tornò a casa o partì alla ricerca di altri pianeti dove poter acquistare le corde delle arpe, dato che le scorte erano finite.

Forse l’immenso ed eccelso si sentiva poco bene.

O forse, come spesso capita, le solite e infinite perversioni del destino sono davvero strane e alle volte lo sono anche quelle del Grande Maialino Rosa Volante.

Tutto quello che sappiamo fu che si udì un gran fracasso seguito da un grande bagliore rosso e da una voce possente e tonante che urlò:

“Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare!”

 

Fine.

 

Testi di Andrew Drunken. Terza foto di Anja Stiegler.

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Andrew Drunken, nomade psichico, osserva la società e si diverte a criticarla o ad anticiparne gli sviluppi futuri.
Basa la sua vita sull’album “The Wall” dei Pink Floyd e aspetta il ritorno della Buona Musica per il Salto di Coscienza della razza umana.

Con degli amici si occupa di questa pagina facebook https://www.facebook.com/Maledettiscrittori dove viene selezionata della letteratura sottovalutata da tutti, e di questo, http://issuu.com/negazioni/docs/negazioni_n2_ottobre2012 una web-zine ancora giovane e gratuita dove viene pubblicata letteratura e poesia non convenzionale.

 

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Scrittori in ascolto, se volete mettervi alla prova mandateci i vostri racconti saranno selezionati dal nostro Patrizio D’Amico, scrivete a:   testicitrolu@gmail.com.       

 

Patrizio D'Amico

scritto da

Questo è il suo articolo n°13

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