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Expo senza veli | Johnny99, questione di centimetri

Expo è finito. Dopo le dediche immortalate sui mattoncini del padiglione Giappone e le bestemmie in ogni lingua del mondo, cosa resta? Ce lo facciamo dire dai sopravvissuti. Non dai sopravvissuti alle code. Dai sopravvissuti ai visitatori che componevano le code. Ogni settimana vi presenteremo un’intervista. Ovviamente alla voce nome e professione troverete dati finti. Perché teniamo molto all’incolumità delle nostre cavie volontarie.

Nome:

Johnny99.

 

Professione:

Bambola Voodoo per reclami.

 

Come hai trovato lavoro per Expo?

Per passaparola e poi mandando la mia candidatura online.

 

Quando ti hanno preso cosa hai pensato?

Principalmente: “oddio, chissà cosa mi aspetta”…

Da buon torinese temevo lo spostamento a Milano, ma lo stipendio, il fatto che fossi al verde e l’opportunità lavorativa apparentemente ghiotta, hanno fatto sì che io accettassi.

 

È il lavoro che vorresti fare anche dopo questi 6 mesi?

Sinceramente sì, anche se non per forza solo questo. Avevo già lavorato in altri eventi, per forza di cose mai di questa grandezza e risonanza, ed è una vita che mi piace molto.

Far fronte a problemi organizzativi, prendere decisioni veloci, non rimanere chiusi in un ufficio con tutti a 5 metri da te, lavorare all’aperto anche se fa troppo freddo o troppo caldo, iniziare molto presto alla mattina o finire molto tardi alla sera invece di avere sempre lo stesso identico turno per il resto della mia vita… Sono tutti aspetti del lavorare nell’organizzazione di un evento che mi piacciono parecchio.

 

Tu che la vivi da dentro: com’è l’organizzazione?

È un grande evento in Italia. Quindi è tutto come potete immaginare. Vi faccio un esempio: ci siamo affacciati sul campo pensando che la ditta di pulizie fosse una (o almeno io pensavo fosse così, nella mia ingenuità), per poi scoprire che l’appalto delle pulizie della zona X ce l’ha quell’altra ditta e quindi devi chiedere a loro, che poi ti spiegano che da lì a lì, e a volte è veramente questione di centimetri, l’incarico è in subappalto a quell’altra azienda, e così via, e così anche per manutenzione, ecc.

Poi c’è chi è sempre disponibile e chi invece schiva ogni tipo di responsabilità. I vari reparti operativi sul campo spesso non si sono venuti incontro e non hanno comunicato efficacemente, recitando il mantra, italianissimo, “non è di mia competenza”.
Un’altra dinamica lavorativa che si è ripetuta in ogni evento a cui ho partecipato è la scarsissima propensione da parte di chi sta in ufficio e prende le decisioni ad ascoltare i suggerimenti di chi le cose le affronta tutti i giorni direttamente sul campo. Si vengono così a creare delle situazioni assurde, in cui per risolvere un problema semplicissimo devi seguire una procedura contorta.

 

Expo in e expo out: il meglio e il peggio di questa fiera.

Il meglio: i ragazzi di AMSA, l’azienda milanese dei rifiuti, che anche nelle giornate da 270,000 persone facevano lo slalom con 5 centimetri di spazio per raggiungere i cestini e svuotarli. Sempre sorridenti, sempre disponibili, sempre professionali e impeccabili.

Il peggio: i visitatori di corsa all’apertura dei tornelli e l’isteria dell’emulazione che rappresentano.

 

Che tipo di gente visita Expo?

Ecco, appunto. Generalizzare non va mai bene, ed è chiaro che il visitatore attento, interessato, informato, non ha quasi mai incrociato la strada degli operatori sul campo, perché sapeva cosa stava facendo e dove andare.

Ma la gran parte dei visitatori che è venuta a Expo ci è venuta con lo stesso spirito con cui va al centro commerciale il sabato. Da quando la gente ha iniziato a venire sul serio, da ferragosto per intenderci, si sono riversati tutti lì, per il semplice motivo che dovevano esserci, dovevano poter dire di aver visto Kazakistan e Giappone a colleghi, amici e parenti, dovevano fare la foto all’albero della vita e postarla con l’hashtag giusto. Come ho detto prima: emulazione.

Per mesi abbiamo guardato le balle di fieno rotolare sul decumano, poi gli ultimi due mesi e mezzo li abbiamo vissuti in apnea, schiacciati dalla mole della gente in visita, increduli di fronte al fatto che fossero disposti a fare 8 ore di coda per vedere un padiglione (non c’era niente in Expo, se volete il mio parere, che valesse più di mezz’ora di coda), rovinarsi una giornata, urlarsi addosso per il nervosismo di dover fare un’ora di coda per mangiare un tramezzino, perdersi 3 o 4 volte nella calca, eccetera.

Penso sia anche la misantropia che c’è in me a parlare, ma più gente c’è e più fa schifo. Abbiamo visto di tutto, dalla semplice maleducazione al vandalismo, dagli escamotage più patetici (è famosa ormai la foto del passeggino contenente un Cicciobello per poter saltare le code…) alla prassi di passare sotto, sopra e attraverso le barriere o le transenne.

 

La persona più assurda che tu abbia incrociato sul tuo percorso?

Non mi inoltro nei casi umani che abbiamo conosciuto tra i visitatori, perché su più di 20 milioni totali sono veramente troppi.

Le persone più assurde, per la maggior parte in senso buono, le ho conosciute tra i colleghi. Eravamo davvero molti, provenienti da tutti i punti d’Italia (pensa che c’erano addirittura dei molisani…). Si andava dal batterista metal con tatuaggi e piercing, al senior prossimo alla pensione che si piazzava da qualche parte e non si muoveva neanche sotto tortura, dal diciottenne che faceva after e veniva al turno del mattino direttamente da una festa, al fancazzista che si imboscava per dormire per la maggior parte del turno.

 

L’aneddoto che muori dalla voglia di raccontarci?

Anche in questo caso sono un po’ in difficoltà, perché ne sono successe di tutti i colori, davvero.

Dal personale del padiglione cinese beccato a nutrire e pescare carpe e rane dalla vasca di fitodepurazione sul retro, a tutte le volte che un visitatore ha detto una cazzata.

Ecco, potrei farti una brevissima rassegna delle boiate più grosse che ho sentito in questi mesi, a testimonianza che sì, ne sono successe di ogni all’interno di Expo, ma non c’è niente di più frustrante di un visitatore medio. Anzi, ne scelgo una sola perché se no mi dilungo davvero. Scelgo una frase captata per caso nei miei vari giri, una frase che esemplifica quanto la maggior parte di chi è stato a Expo non avesse idea di cosa stesse facendo, di come sia fatto il mondo, o di cosa trattasse l’esposizione, al di là del fatto che il tema abbia poi avuto una qualche importanza in questo carrozzone: “ah sì, giusto, il Nepal è di fianco al Sudan, d’altronde sono entrambi in Sud Africa”.

la Germanz

scritto da

Questo è il suo articolo n°102

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