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Fabien Merelle disegna la follia comprensibile

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Ora dico una cosa che mi farà sembrare un affermato partecipante dei globalizzati tempi moderni o, quantomeno, lo studente di architettura figlio di una coppia di redattori di La Repubblica: “qualche tempo fa sono stato alla Tate Gallery”. La Tate è davvero un bel posto, per carità. Il fatto, però, è che quando ci sono stato io c’era una grossa esposizione il cui filo conduttore era il Surrealismo, e a me il Surrealismo non è che piaccia così tanto. Mi spiego: per quanto ne so vanno sotto il nome di Surrealismo tutte quelle forme artistiche che si pongano in contatto immediato/confronto con il concetto di ‘Inconscio’. Ecco: a me il concetto di Inconscio non è che piaccia proprio tanto. Mi spiego.

Quello che non mi piace del concetto di Inconscio è che questo presuppone, per essere utilizzato, un confine: il confine tra cose conscie e cose inconscie. In questo senso capita non di rado che vengano attribuiti all’inconscio un sacco di comportamenti del tutto fuori di testa, al di fuori di qualsiasi ragionevolezza. Al conscio spetterebbe invece il lavoro sporco: le regole, le morali, tutte quelle gran rotture molto spesso presenti nei discorsi di – chessò – Napolitano. E’ per questo che Freud piace un sacco ai cocainomani e agli artisti che vivono nei centri sociali (a volte le due tipologie si congiungono).

Ebbene, sotto la spinta di quella separazione suddetta, molte volte l’atteggiamento surrealista fa – per me – un errore: presuppone che il mondo nel quale viviamo sia frutto di un eccesso di razionalità, di gabbie morali, e cerca una via di fuga verso l’innocenza nella pazzia.

L’errore sta in quello che segue: il mondo per come lo conosco io, il mondo normale e quotidiano, di razionale non ha proprio niente. E se l’inconscio fosse davvero la fonte dell’irrazionale, allora col cazzo che è un mondo sommerso. Se l’inconscio è irrazionalità allora qualcuno ha scoperchiato il tombino sbagliato. L’esistenza stessa di Capezzone, di Roberto D’Agostino, del fondamentalismo islamico, delle tifoserie, di Casapound e di Benedetta Parodi valgono per me molta più irrazionalità di tutti i quadri surrealisti passati e futuri. Come dire: a Dalì preferisco Andrea Dipré.

Tutto questo per dire che mi piace molto di più quell’arte capace di fare emergere l’irrazionale e l’inquietante dal quotidiano stesso. Per dire, mi piacciono De Chirico e Giacometti, gente che per farti cagare sotto non usa gli effetti speciali. Mi piace pure Cattelan. E mi piace  Fabien Merelle.

Merelle è un artista francese classe ’81. Per quanto ne so ha studiato a Parigi, in Cina e nella prestigiosa Casa Velasquéz a Madrid (non so perché sia prestigiosa, l’ho letto). E’ un illustratore, pur facendo qualche incursione nell’istallazione. Ora, Merelle sarebbe un perfetto surrealista: nei suoi disegni ci sono delle falene grandi come uomini, degli uomini che diventano alberi e che reggono elefanti, nuvole a forma di pecore.

Ma i disegni di Merelle mantengono comunque proporzioni molto esatte, nel senso in cui se è vero che una mano può diventare un albero, l’albero e la mano sono però disegnati in un modo che sfiora la precisione, in un atmosfera che non lascia presagire alcuna divergenza dalla più noiosa normalità. I disegni di Merelle sono del tutto realistici, eppure divergono dalle leggi fisiche e biologiche dalla realtà. E’ di questo equilibrio che parlavo, quando dicevo che mi piacciono le cose in grado di far emergere l’irrazionale dal quotidiano. Nei disegni di Merelle una mano diventa un alberto, o un uomo regge un elefante, e ti sembra che l’abbiano fatto da sempre. Ti sembra che sia una cosa normale.

Merelle è perciò un disegnatore che mi piace, e che voglio pubblicizzare. Uno che fa disegni folli, ma di una follia comprensibile. Uno che è molto più simile a Esopo che a Dalì: disegna fiabe, simboli distorti e per molto versi lontani dalla realtà, eppure comprensibili, utilizzabili ad esempio e simbolo del reale stesso.

Merelle non è esagerato, non scappa dalla realtà, non la nega. Merelle, semplicemente, quella realtà la trasforma e trasformandola riesce a rendercela più riconoscibile, riesce ad evidenziarci alcuni aspetti di essa. 

E, beh, questa è una cosa che mi piace.

 Merelle#7

 

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

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