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Gli ebrei sono matti al Teatro dell’Orologio

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Andare a teatro durante la settimana e non nei weekend come fanno le signore con un anello per ogni dito e le pellicce al collo è una cosa che mi diletta molto, specie se prima di andare mi fermo a bere un goccetto di qualcosa, come fanno gli americani prima di un matrimonio, così tanto per non annoiarsi durante la cerimonia e guardare tutto sotto un’altra luce. Questo è il senso dionisiaco di cui parlava Nietzsche ne La nascita della tragedia? Non lo so, quell’esame l’ho passato con un mitico 22 che non ha cambiato la mia media spocchiosa. Tuttavia, Nietzsche o non Nietzsche, a me piace andare a teatro anche quando mi annoio, così ho un argomento scappatoia con chi non mi va di parlare. Un altro motivo per andare a teatro.
Fatta questa premessa mi tocca farne un’altra. Prima di andare a vedere lo spettacolo ero un po’ preoccupata, pensavo di trovarmi di fronte ad una storia che mi avrebbe fatto piangere e maledire l’umanità fino alla fine dei miei giorni. Invece mi sono lasciata trasportare dall’emozione e il divertimento si è fatto strada da solo dentro e fuori di me.

Gli Ebrei sono matti_Foto 1

Premesse finite, lo giuro. Gli ebrei sono matti, questo è il titolo dello spettacolo della Compagnia Teatro Forsennato di Roma portato in scena al Teatro dell’Orologio dal 22 Gennaio al 10 febbraio 2013, che io non mi sono lasciata sfuggire affatto.
Siamo nel ventennio fascista e la storia è incentrata su due protagonisti, due uomini, Enrico e Angelo, i quali vivono in un ospedale per malati di mente nei pressi di Torino. Enrico e Angelo sono romani, entrambi legati a Roma, il primo per i raduni domenicali sotto il palazzo del Duce in compagnia di suo padre; l’altro è fuggito da Roma per scampare alle leggi razziali e trova rifugio in questo ospedale, confondendosi tra i veri malati. Angelo è in realtà Ferruccio Di Corie e la storia che si porta dietro è vera, accaduta sul serio in quei tempi in cui il direttore dell’ospedale Villa Turina Amione era Carlo Angela, il padre di Piero e nonno di Alberto, i santi sapientoni protettori della buona televisione italiana.

Gli Ebrei sono matti_Foto 3

Angelo, Angelo Tantillo a cui tocca l’onore di interpretare una figura importante, vive in stanza con Enrico, interpretato divinamente da Dario Aggioli, e cerca di imparare le sue movenze, il suo modo di parlare e di raccontare ad un finto pubblico le sue domeniche fasciste mentre intanto l’ebreo lo ascolta e lo osserva, qualche volta concedendosi alle sue divertenti interpretazioni del duce, di suo padre e di sua madre con delle maschere regalategli dai suoi genitori per tenergli compagnia.
Ad un tratto il pubblico lascia in disparte la tragedia che si portano dietro i due protagonisti e si diverte nel vederli interagire nella loro pazzia, per uno vera, per l’altro strettamente necessaria alla sua sopravvivenza.

 

Dario Aggioli e Angelo Tantillo sono stati straordinari nei loro ruoli e soprattutto nel mettere in scena una storia triste e deplorevole, proprio come quella capitata allo psichiatra e scrittore ebreo Ferruccio Di Corie, attraverso una vena ironica che non annulla la disperazione di quel periodo buio della nostra storia ma, servendosi di maschere e cantilene, in realtà sottopone a giudizio gli artefici di quella disperazione, chiamando il pubblico a partecipare come la compagnia Teatro Fornsennato è oramai abituata da tempo.
Gli ebrei sono matti è uno dei migliori spettacoli che io abbia mai visto e ora so perché nel 2011 ha vinto il Premio Giovani Realtà del Teatro.

Eva Di Tullio

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Questo è il suo articolo n°178

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