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Gola Hundun, la natura in primo piano

Un’inconsueta gelida mattina barcellonese ho avuto il piacere di conoscere Gola, non solamente un grande artista, ma anche una persona di grande spessore che, mi ha fatto ripercorrere varie tappe dell’evoluzione umana attraverso le sue opere. Il nome Gola risale al periodo universitario a Bologna, quando è particolarmente attratto dall’anatomia umana, e decide che il suo nome d’arte sarà Gola poiché rappresenta lo strumento con cui ci esprimiamo, il ponte tra l’esterno e l’interno del corpo; Hundun nasce molto più tardi affiancando il termine “gola” un po’ gutturale, ad un cognome più spirituale, più da guerriero visto che Hundun deriva dalla mitologia cinese e rappresenta il caos primordiale, una sorta di big bang, la creazione, l’origine.

Gola Hundun nel suo studio a Barcellona

Il salto artistico lo ha fatto quando da Bologna è approdato a Barcellona. Da una situazione oscura, triste, in pieno “Berlusconismo”, arriva nel pieno dell’esplosione catalana, quando venivano artisti da tutto il mondo a pittare a Barcellona, che all’epoca era una sorta di Mecca, dove era ancora tutto da fare. Barcellona era spaccata, i cantieri del Forum erano ancora aperti, e c’era un rapporto con la strada conviviale ed euforico, tutto era colorato, l’approccio era libero e colorato, e lì Gola si è avvicinato al gusto più sudamericano, più colorato e spirituale.

Direzioni, Viavai Project, Racale (Le)

Ci parla delle sue fonti di ispirazione più grandi, da Piu, artista catalano, estroso e frizzante, che lo ha avvicinato stilisticamente all’ art brut, mantenendo il campo di interesse che era la biologia e l’arte transgenica, ma affiancando l’arte bambinesca. Il viaggio in India per gli abbinamenti cromatici, i colori forti. Il Brasile rappresenta il momento di crescita culminante, quando Gola entra a contatto con la cricca di Vila Madalena, un quartiere di San Paolo, e conosce personaggi come Prozac e high graff. Rimarrà colpito dalla vicinanza con l’ayawasha, le tradizioni religiose, le trasfigurazioni pagane, i culti africani mischiati con le iconografie cattoliche, la componente spirituale e naturalistica molto forte, la natura sconfinata e avvolgente.

La Scelta, Ravenna

Da un annetto Gola sta portando il suo stile fantacolorifico, a un piano più raffinato, mantenendo sempre il fulcro naturalistico, ma focalizzandosi più sul concetto della coesistenza, dell’ibridazione dell’essere umano che ha strappato deliberatamene parti della natura, cementificandoli e definendoli come lo spazio urbano. La sua intenzione è quella di fomentare un ritorno della natura negli spazi “antropomorfizzati” e che le piante riprendano possesso nelle città, in una epoca già definita come antropocene, termine che deriva dal greco anthropos, che significa uomo, e si riferisce all’impatto che l’Homo Sapiens ha sull’equilibrio del pianeta, in cui l’uomo e le sue attività sono le principali cause delle modifiche ambientali e climatiche.

Arniul, Revine Lago (TV)

Ciao Gola, voglio conoscerti meglio. Per cominciare, mi racconti come mai tra le tante possibilità hai scelto di diventare proprio un artista?

 

Follia o masochismo probabilmente… ahaha, scherzo, direi forse per esigenza. Mi affascinava la componente magica della creatività, la possibilità di tramutare pensieri e visioni in forme che possano essere condivise con gli altri. Mi interessa tuttora tale aspetto di questo mestiere, sebbene mi sento sempre più attratto dalla componente artistica, con la presunzione di potere far qualcosa di concreto per migliorare piccole lacune del mondo costruito da noi umani o anche solo per fare meditare su di esse.

D’altra parte se non avessi scelto il sentiero dell’arte avrei voluto essere naturalista, a volte mi chiedo come sarebbe stata la mia vita.

Gola Hundun, Basik e Luca Zamoc per Art Basel Miami 2014

Sono nata e cresciuta immersa nella natura e ho imparato ad averne cura e a comprenderne le dinamiche, tu che rapporto hai con la biosfera? Oltre ad essere fonte di ispirazione per il tuo lavoro, quale ruolo ricopre nella tua vita?

 

L’attrazione che il regno animale e vegetale esercitano su di me è stata molto forte sin da piccolo e la necessità di sentirmi avvolto in atmosfere non antropomorfizzate è sempre più incisiva, d’altra parte già testi babilonesi riportavano problemi di estraniazione e le patologie che nascevano nella vecchia Uruk, come non percepirlo oggi.

Ogni settimana cerco di passare almeno un giornata lontano dall’habitat cittadino in cui lavoro per ricaricare le batterie attraverso la prossimità al verde, inutile rimarcare quanto questo giovi non solo sulla mente ma anche sull’equilibrio fisico, ma non posso farne a meno! Per non parlare dell’ispirazione che apporta l’esaminare le dinamiche interne di un bosco una spiaggia selvaggia o un altra situazione naturale. Ultimamente sto cercando di studiarle anche attraverso saggi scientifici, sono molto incuriosito dalla comunicazione interspecie che ritengo sarà la chiave di volta per la profonda comprensione della coesistenza o come lo chiamano oggi dell’approccio sostenibile tanto sbandierato.

The Eye, Torino 2012

Ti dividi tra illustrazione, pittura, street art e installazioni. Qual è il mezzo espressivo con cui ti immedesimi maggiormente? E come riesci a dare il meglio in ognuno di questi?

 

Difficile rispondere in maniera chiara, sicuramente posso dire che il lavoro all’aria aperta mi appaga molto, soprattutto quando mi permette di vivere il luogo che circonda la creazione forzandomi a ibridarmi con lo stesso per cercare materiali costruttivi e divenendo il mio giaciglio sino a che l’opera non è compiuta; ripenso all’installazione che ho realizzato quest’estate per Incipit su una antico sentiero costiero immerso nella macchia mediterranea che collega Sapri a Maratea quando dico queste cose. Che esperienza! Ciò non toglie che anche il lavoro in studio sia molto stimolante, lo vedo come un continuo tentativo di superarsi, sia stilisticamente che nel cercare di rendere il messaggio sempre più immediato e più raffinato. Cerco di affrontarli entrambi (o meglio, tutti e quattro) con passione.

Triskele per Incipit 2014, Sapri

Il vegetarianismo, come ha influito sulla tua vita e sulla tua produzione artistica? Il tuo stile di vita ricalca una filosofia particolare o cerchi solo di vivere in sintonia con quello che ti circonda?

 

La scelta del vegetarianismo quando ero ancora un adolescente ha sicuramente rafforzato il mio sentirmi animale (che è effettivamente ciò che siamo noi umani, siamo animali), in termini di egualitarismo ed ha via via accelerato la comprensione di essere parte di un sistema più grande, il pianeta terra, in un era di cambio come quella che stiamo vivendo oggi. Ha fatto si che la mia curiosità per la comprensione delle regole alimentari, naturali e sociali venissero esaminate sempre con maggiore coscienza sino a posizionarmi a mezzo passo dal veganesimo (ancora mi cibo saltuariamente di uova).

Olio Santo, Bari 2015

Credo che oggi più di ieri la dieta è una scelta politica, sono sicuro che voi che leggete sapete di cosa sto parlando, sono oggi temi dibattuti perfino nei media convenzionali, e lo dico con un certo rispetto di tutti gli onnivori, e nella consapevolezza che c’è anche una parte dell’industria vegan che nuoce all’ecosistema.

Reorder Human Evolution, Poznan, Poland 2012

Dunque se la città non va alla natura, la natura va alla città?

 

Esatto!!! Lo hai definito molto bene. Effettivamente l’idea che motiva il mio lavoro degli ultimi anni, soprattutto quello nello spazio pubblico, è proprio il tentativo di “liberare” parte dello spazio naturale che noi umani abbiamo conquistato e battezzato come nostro, affinché altre specie possano tornare ad usarlo. Il mio motore è l’idea di favorire la coesistenza interspecie nel tessuto urbano. Sino ad ora mi sono limitato a creare casette nido per diversi tipi di animali tra cui uccelli, mammiferi minori e api, inserendole all’interno di murales e installazioni, ma ho progetti più ambiziosi …

Green Egg, Wurzburg, Germany 2015

Essendo il mondo naturale al centro delle tue opere, quando fai street art come ti rapporti con il territorio in cui operi? La scelta della location, in questo senso, diventa fondamentale?

 

Diciamo che mi stimolerebbero maggiormente le location di forte contrasto, per esempio intervenendo con rampicanti un edificio industriale, ma “riforestare” qualsiasi muro o non luogo non si disdegna mai! Come dicevamo prima la missione è portare il verde in città, non solo in maniera astratta disegnandolo ma portandolo proprio fisicamente, con l’obiettivo di incrementare l’habitat della fauna urbana, creare distensione visiva ed emotiva per i cittadini, filtrare lo smog, e tanto altro…

Uroboro 2015

Sei italiano ma da diversi anni ti dividi tra Rimini e Barcellona. Vivendo a cavallo tra queste due realtà, quale idea ti sei fatto su come viene percepita la street art in questi contesti? E su come viene prodotta? E qual è la relazione con la legalità nell’una e nell’altra città?

 

Effettivamente ho avuto la fortuna di vivere da vicino due città che hanno vissuto un periodo ,oserei quasi luminare, nella scena dei graffiti: la Krimini degli anni ’90 e la Barcellona prima delle Leyes del Civismo. Oggi la temperatura delle due è distinta, ciò nonostante risiedono tuttora grandi artisti in entrambi. Se l’approccio alla strada e i riferimenti stilistici erano molto dissimili nei due posti fino a una dozzina di anni fa, credo che le differenze tra le due si siano oggi molto assottigliate, forse anche grazie all’invasione degli smartphone e i conseguenti social media, nelle nostre vite da 5/6 anni a questa parte. La produzione spontanea, diciamo illegale, mi sembra che per entrambe si è ridotta a cose veloci nel centro urbano come in quasi tutta Europa, mentre nelle periferie si sperimenta ancora. Diversamente da gli anni 2000, oggi chi fa arte nello spazio pubblico tende a muoversi molto di più attraverso commissioni e festival (che sono cresciuti esponenzialmente rispetto ai ’90 o 2000) piuttosto che beccarsi con gli amici per andare a dipingere, io stesso posso dirmi uno di quelli. Ok siamo cresciuti e quella necessità di dipingere è divenuta un lavoro, ma la cosa diversa è che anche chi comincia a dipingere sui muri oggi, e magari viene da una formazione accademica, molto spesso salta la fase della sperimentazione in strada, passa direttamente dallo studio al festival. Potrei sbagliarmi ma questa è la mia impressione. Stiamo vivendo la fase main stream del muralismo.

Color Wormhole, Amsterdam 2015

E infine, che progetti hai per il futuro? Raccontaci di dove ti vedremo e cosa ti passa per la mente.

 

Tra qualche giorno andrò a fare una scampagnata a Miami durante l’Art Basel, a vedere che bolle in pentola, al ritorno mi rimetterò sotto alla produzione che mi impegna già da qualche mese, è cioè la nuova serie di quadri che sto preparando per la personale che inauguro in febbraio negli spazi di galleria Portanova12 di Bologna. La fonte da cui bevo per ispirarmi per la mostra è l’intelligenza vegetale, ed a tale proposito sto leggendo un libro che consiglio a tutti: Verde Brillante, Sensibilità e Intelligenza del Mondo Vegetale, frutto della collaborazione tra Stefano Mancuso (fondatore della International Society for Plants Signaling & Behavior) e la giornalista scientifica Alessandra Viola, molto illuminante.

Art Basel Miami 2015

Un altro progetto che ho appena messo in cantiere insieme a un equipe di naturalisti, sarà un percorso che prevede vari incontri ed azioni nel corso della primavera/estate 2016 a Cesena. L’argomento chiave sarà la fauna urbana e con l’appoggio del Museo di Scienze Naturali si realizzeranno installazioni/casetta nido, si faranno attività didattiche, workshop di costruzione, una mostra di quadri all’interno del museo, un murales, e chi più ne ha più ne metta!!! Ih ih. Forse ho parlato troppo come al solito spero di non avervi annoiati o’ voi che leggete, vi lascio con la mia citazione dei Simpson preferita “ …riciclate, FINO ALL’ESTREMOOO!!!”. Ah ah mi piace sempre concludere con qualcosa di birbone!

 

Testi a cura di Michela Colasanti e Maria Caro.

 

Gola Hundun | sitofacebookinstagram

Michela Colasanti

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Questo è il suo articolo n°10

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