Vuoi essere informato sui nostri Ticket Deals?
Iscriviti alla nostra newsletter.

* obbligatorio
Close

I racconti animati di William Kentridge

Si parla di:

Nell’allestimento tematico “Spazio” creato al MAXXI, Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, artisti emergenti ed i più significati artisti italiani e stranieri dialogano tra di loro attraverso la pittura, la scultura, le video installazioni e la fotografia. Tra questi c’è William Kentridge, con una sua esposizione permanente di opere da poter visitare in ogni occasione. William Kentridge è un’artista sudafricano, nato a Johannesburg nel 1955. Vivendo a stretto contatto con le vicende dell’apartheid, William Kentridge ha cominciato a guardare con grande raziocinio alla vicende della sua terra. La sua particolare sensibilità e lucidità verso le situazioni politiche hanno alimentato la sua arte. Ma William Kentridge non è sudafricano. Egli è di discendenza europea e come molti bianchi possiede la cittadinanza africana.

 

 

I suoi genitori erano avvocati e famosi soprattutto per aver difeso le vittime dell’apartheid. Per questo William già da ragazzo appare sensibile alle vicende della sua terra, creando cortometraggi di denuncia. Dopo essersi laureato in Politica e Studi Africani, all’inizio degli anni ’80 studia mimo e teatro a Parigi. Grazie a questa sua esperienza inizia a maturare l’idea di creare piccoli film d’animazione utilizzando una particolare tecnica che stabilirà l’identità artistica di William Kentridge. Il suo primo film d’animazione dal titolo “Johannesburg, la seconda città più grande dopo Parigi”, fu creata con singolari disegni d’animazione, caratterizzati da disegni a carboncino, disegnati sempre sullo stesso foglio, differenziandosi dalle tecniche di animazione tradizionale dove ogni disegno viene realizzato su un foglio a parte. Kentridge usa solo pochi fogli di carta, appesi al muro, che vengono ossessivamente cancellati e ridisegnati a carboncino.

 

Dopo aver disegnato la prima scena, passa alla telecamera con cui riprende la scena per pochi istanti. Quindi lascia la telecamera e ridisegna, sovrappone, creando una metamorfosi del disegno precedente di cui rimane la memoria, o meglio “l’ombra”. Inoltre la sua “firma” è sicuramente l’inserimento di un autoritratto in molte sue opere, che testimonia così anche l’autobiografismo e la presenza di vicende personali. Ma le sue animazioni si caratterizzano non solo per l’utilizzo esclusivo di carbone, ma anche per un tocco di rosso o di blu, che donano alle immagini una profondità emotiva e meglio raccontano i luoghi violenti e militanti dei neri. Ed ecco che dalla sua tecnica si sviluppano ben 9 cortometraggi, di cui l’ultimo nel 2003 con il nome di “Tide Table”, l’indicatore delle maree, che vedono come protagonisti-antagonisti l’avido imprenditore Soho Eckstein e l’artista sognatore Felix Teitlebaum.

 

Questi personaggi rappresentano la politica e la lotta che gli africani del Sud Africa sono stati costretti a portare avanti prima di raggiungere la democrazia. Kentridge afferma però che i suoi disegni non si soffermano solo sull’apartheid, ma sullo stato contemporaneo di Johannesburg, descrivendo ciò che il passato ha lasciato indelebile sulla società, così come indelebili sono le cancellature su fogli a cartoncino delle sezioni del suo disegno chiave. In realtà è un passato che ritorna come memoria. La sua attività non si ferma qui. Dai disegni a carboncino passa alle sculture in bronzo, ai mobili, arredi e schermi, che formano veri teatri in miniatura, fino ad arrivare a reinventare le scenografie per l’opera “Il flauto di Mozart”. Al MAXXI accanto al grande mappamondo in lino di Alighiero Boetti, si trova il grande arazzo tessuto in seta di William Kentridge, “Norh Pole Map”, riproducente due figure nere ed enigmatiche sovrapposte ad una vecchia mappa del Polo Nord. Questi due personaggi fantastici evocano il viaggio della vita o meglio le migrazioni di popoli passati e presenti. Il disegno su questi vecchi libri fa emergere un retroterra specifico, un ricordo, una memoria o meglio quell’ombra che si ritrova sulle varie cancellature dei suoi disegni.

Stefania Annese

scritto da

Questo è il suo articolo n°51

Sullo stesso genere:

Community feedback