Vuoi essere informato sui nostri Ticket Deals?
Iscriviti alla nostra newsletter.

* obbligatorio
Close

Intervista a Giacomospazio

La nostra nuova corrispondente Laura Lecce ha intervistato per noi Giacomo Spazio, progettista e produttore musicale, docente a contratto al Politecnico di Milano, art director dell’AirStudio, punto di riferimento delle maggiori case editrici italiane per la progettazione grafica e l’illustrazione, collabora stabilmente con le più famose collane editoriali italiane come Urania Mondadori. Ideatore della galleria Limited No Art Gallery, curatore e artista di mostre in tutta Italia (Klang! suoni contemporanei, Border – Libertà. Confini. Confini mentali, Pop disaster and more).

foto LimitedNoArtGallery

ziguline: Mi è terribilmente piaciuta la definizione che sul tuo libro Fucksia ti sei dato di “agitatore culturale” me la spieghi?

 

Giacomo: Ad un certo punto della mia vita sono scappato dal posto in cui sono nato, Quartoggiaro. Un posto che è un mischio di tutto: persone sanissime e persone loschissime. E lì avevo cominciato già a darci dentro culturalmente perché quella era l’unica maniera per venirne fuori. Sono stato fortunato quasi sempre. Ho conosciuto mondi pazzeschi, come quello dell’underground per esempio. Nel 75 scrivevo già con gli spray in giro sui muri, nel 77 facevo delle performance sui mezzi pubblici fino all’80 quando ho smesso di fare il matto per le strade. Da sottoproletario ho la fortuna di non preoccuparmi molto del denaro, ricordo una frase di mio padre: “devi stare solo attento che non si avvicini troppo la spazzatura”. Ho scaricato casse di qualsiasi cosa, ho tagliato il ferro , ho passato tanti anni a lavorare finchè ho capito che io non volevo averi i calli sulle mani ma li volevo avere nella testa. Alla fine degli anni 70 venni a conoscere Bruno Munari, io non avevo idea di chi fosse, gli facevo un sacco di domande stupide, gli chiesi per esempio come mai usasse tempera a olio di lino su tela di lino, mi rispose “non si sa mai” e questa cosa mi colpì. Dieci anni dopo, a Milano, al Palazzo Reale, vidi proprio quelle tele lì. In quegli anni l’underground per me fu un mix di cultura fumettistica e musica, per lo più frequentavo persone più grandi di me, quelli che davano vita a Fridgidere, persone incredibili. Allora cominciai a trafficare già con le fotocopiatrici… nel tempo ho capito che ci sono determinati tipi di lavori che non vanno fatti punto e basta, io non farò mai un lavoro che in qualche modo abbia a che fare con chi produce armi o cose del genere, le armi sono uno strumento di offesa e non di difesa questa è una cosa che non si riesce a capire. Quando a lezione inserisco questi discorsi si creano delle situazioni divertenti tipo quando chiedo ai ragazzi “chi per un bel po di soldi disegnerebbe un catalogo di armi?” e di solito almeno una ventina di ragazzi alzano la mano…

foto LimitedNoArtGallery

ziguline: Alla seconda pagina del suo Handbook per giovani creativi si legge che il disegno grafico nasce per sopperire le imperfezioni del pensiero umano allo scopo di gratificare l’anima…

 

Giacomo: La maggior parte delle persone che fanno arte oggi hanno un background di design, io prima di tutto mi considero un autodidatta, mi sento completamente in opposizione a questa roba qua, oggi le persone sono abituate a vedere e leggere cose che si muovono. E’ importante per esempio la vera differenza tra quello che chiamiamo pc e il mac: il mac è sensitivo. Tutti i programmi di disegno grafico sviluppati sul mac ti danno la possibilità di esprimere quello che davvero vuoi fare, la cosa incredibile è che io posso arrivare a disegnare con Photoshop una cosa identica ad un mio collega ma attraverso un processo del tutto differente. Improvvisamente con quei programmi potevi fare un giornale da capo a piedi. Alla fine per me poi non è così importante, voglio dire, quando è bello, lo vedi e quando è brutto lo vedi. Quando ho concepito Fucksia avevo percepito che saremo entrati in un periodo di contraddizioni scaturite dalla grande frattura tra digitale e analogico…

 

ziguline: Nel graphic loop manifesto proprio di Fucksia, invece al punto numero 09 scrivi che “la decodificazione è sovversiva” …

 

Giacomo: La decodificazione non è solo un processo tecnico. E’ proprio quella sottile capacità di usare qualcosa che esiste già e cambiarne il senso. Per esempio la mia generazione aveva la fissa del controllo, credevamo sempre di essere controllati tutti, adesso i giovani se ne sbattono di essere controllati anzi a molti piacerebbe essere continuamente ripresi. Si potrebbe pensare di occupare il campo visivo delle riprese a circuito chiuso per fare delle proteste. Lo stare in onda sarà una decodificazione importantissima, non ti possono fare niente, tu staresti in onda comunque ma inconsapevolmente e invece usi quel campo visivo per un messaggio o semplicemente per occuparlo. Decodificare non è solo destrutturare una frase. La tecnologia è inarrestabile. Il primo paradigma che è subito morto è stato il copyright. Non sei nemmeno tu, è la macchina che lo crea e lo distrugge. I tentativi di censura delle reti sono sciocchi. Fra poco in ogni città ci sarà una rete aperta estesa, senza password, senza queste paranoie che devi proteggere la tua rete se no te la rubano, è una cosa stupida. Ero a capodanno in India, e sfogliando le pagine dei quotidiani, ho visto che c’erano delle istruzioni in tre livelli differenti di difficoltà per autofabricarti una cartolina di auguri di Natale. In Italia non siamo arrivati ancora a questo livello, è una questione di approccio. Ho imparato nel tempo che le cose cambiano, tante cose che si basano sulle forme della cultura greco latina che ci sono nella nostra coscienza, cominciano a vacillare perché c’è tutto un mondo legato ad altro. Non c’è più la possibilità di pensare che la nostra memoria sia contenuta in dei libri. Ho l’impressione che tornerà tutto più con una cultura diciamo pagana, più legata alla vita quotidiana rispetto ai mezzi che hai a disposizione e quello che ci puoi fare…

foto LimitedNoArtGallery

ziguline: Come e quando nasce il progetto Limited no art ? perchè si definisce no art?

 

Giacomo: A me piace un sacco creare le “situazioni” e penso che queste quando si sviluppano è c’è di mezzo il denaro, perdono d’interesse, muoiono. Non so perché ma è davvero così. Quando la Vox Pop ha cominciato a fare un sacco di soldi sono cominciati tutti i casini. Alla limited funziona che quando c’è qualcuno determinato, che ha un progetto io gli do le chiavi della galleria. Punto. Per me dopo la presentazione del progetto l’artista potrebbe anche chiudersi dentro, io mi godo il lavoro fino alla fine, questo è Limited. Con tutti i pro e i contro della situazione: alla parola galleria molti amici sono scappati e altri pretendevano di essere considerati come artisti ma alla fine non deve piacere per forza tutto a tutti! Per sopperire questa necessità ci siamo inventati Pop Disaster dove ognuno buttava dentro quello che voleva, anzi per prime le cose che non ci piacevano! Passiamo anche tanto tempo con la galleria chiusa se non ci sono proposte che ci piacciono. Per l’arte poi, a differenza del computer non è detto che se fai qualcosa di nuovo per te è nuovo in senso assoluto, perché è il contesto intorno a te che non funziona, non funziona più perché non è in grado di assorbire in termini “commerciali” la cosa che hai fatto. E’ un aspetto di cui nessuno vuole mai tenere conto ma è così…

 

ziguline: Molti “maestri dell’arte” si riferiscono, in termini positivi ed entusiastici, alla crisi economica come un momento di grande ricapitolazione creativa, quando gli stessi erano parte di quel sistema di mercato dell’arte che oggi crolla insieme alle banche…

 

Giacomo: Ma c’è sempre stata questa crisi, il fatto di credere di non avere tanti mezzi a disposizione è sempre stato un aspetto positivo e non negativo per il processo creativo. Abbiamo tutto dalla nostra parte, basta avere un briciolo di creatività. Ma devi provare, vedere che succede senza pensarci troppo su, coinvolgi il maggior numero possibile di persone e succede qualcosa. la gente sfrutta poco la tecnologia e la possibilità di entrare in contatto immediatamente con qualcosa o qualcun altro e farne venire fuori roba interessante. Le grandi questioni economiche sono “sopra le nostre teste”, a volte anche per l’arte è così. Un buisness come quello di Murakami non mi interessa anche se a volte mi piacciono le cose che fa, molti non sanno che i suoi fiorelloni pop sono un attacco pesante ad un simbolo nazionale, è una presa per i fondelli al protocollo di Kyoto, mica poco. Damien Hirst è un grande ma era già grande, perché uno che a scuola si sbatteva per organizzare le mostre con gli amici era destinato ad essere grande indipendentemente se è bravo o meno. Ha interagito con la società e si è preso delle responsabilità. Cattelan pure, quello che fa è geniale marketing, hanno tutti delle squadre di comunicazione incredibili, c’è un sacco di gente che lavora per loro. Ma sono operazioni intelligenti, alimentano forti discussioni e a me questo piace. E’ un sistema di cui io non farò mai parte, io sono cresciuto in un sistema di scambio diretto e continuo. Prima le comunicazioni erano lente, adesso in 20 minuti sai tutto della vita di una persona e di quello che fa. Questo fa diffondere anche le tecniche artistiche e grafiche velocissimamente e così l’espressione culturale diventa immediatamente “media” non più esclusiva di una persona o poche persone. Poi la capacità di fare il passo più in la del medio è una cosa che alcuni riescono a fare ma è più difficile.
Andiamo in contro ad un periodo in cui tutti dovremo capire che due cose: guadagneremo meno e avremo più tempo. Dobbiamo solo capire come gestire il nostro tempo libero. Sarà inevitabile. La domanda fondamentale per un impresa oggi deve essere: Quanto grande voglio che sia il mio busniess?. Io amo dare lavoro agli altri a me basta quello che ho. IO ho imparato subito che non so fare un cazzo, quando mi mancavano le competenze tecniche ho pagato persone bravissime che sanno fare benissimo il loro lavoro. Fare poco, diversificare, guadagnare il minimo per stare a galla è questo che dobbiamo fare. E’ la vita dei microcosmi, che caratterizzerà il futuro come succede già in molta parte dell’Europa dove la vita si svolge tutta all’interno dei quartieri, in Italia i grossi conflitti veri sono Napoli, Palermo, Torino, lì riesci a sbloccare dei meccanismi che a Milano sono diventati difficilissimi, anche se ancora non esiste la concezione del territorio nel senso di servizio sociale.

 

Per chi volesse saperne di più: Limitednoartgallery.com

Laura L.

scritto da

Questo è il suo articolo n°36

Sullo stesso genere:

Community feedback