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Stefano Parrini ha un animo ecologico

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Qualche giorno fa sono stato alla mostra di Helmut Newton al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Una mostra bella grossa, 200 scatti che, per dissociarmi da certe interpretazioni marzulliane, definirei beatamente pieni di splendidi culi ed altrettanto splendide tette. Ma non è su questo che verte quella che voglio chiamare “la mia riflessione”: il fatto è che, dopo la mostra, si parlava con amici del valore della mostra stessa e si è finiti col cercare di dare un senso alla parola “fotografia”. Ora, i miei amici non sono certo dei tromboni inespressivi e fintamente esistenzialisti come me, dunque non ci siamo accordati su nessuna facile definizione. Tutto questo per dire che, al di là di tante parole, al di là dei nomi importanti e delle mostre pubblicizzate sulle fiancate degli autobus, a me certe fotografie piacciono, piacciono e basta, mi spingono a pensare cosa ci sia dentro senza che mi piacciano per quei motivi che vi riesco a trovare. Ebbene, le fotografie di Stefano Parrini mi hanno colpito in un modo simile a questo. L’ho intervistato.

Di te conosco solo i tuoi lavori ed ho bisogno di qualcosa per sciogliere il ghiaccio. Google non ha ancora inventato un modo per bere qualcosa via e-mail, perciò posso chiederti qualcosa di te? Le tue influenze, la tua biografia, il tuo futuro.

 

Sinceramente preferirei rispondere alle tue domande faccia a faccia davanti ad un buon bicchiere di vino… sarebbe tutto meno formale! Cercherò comunque di non esserlo. Per iniziare posso dirti che se non mi conosci non perdi niente!!! :))) Parlando di me posso dirti che mi sono avvicinato alla fotografia abbastanza tardi, forse è dal 2004 che sento questa passione un pò più consapevolmente e che ho sentito la voglia di approfondire questa esperienza. E’ difficile parlare del proprio percorso e delle proprie influenze, all’inizio forse sono un po’ quelle di tutti: i grandi classici, poi la voglia di scoprire qualcosa che va oltre, mostre, libri e tanto internet ti permettono di arrivare ad artisti estremamente interessanti, magari sconosciuti al grande pubblico, che usano linguaggi diversi e moderni.

Non potrei dirti nomi precisi, preferisco dire che mi piace vedere molta fotografia e arte in generale per cercare di avere una visione un po’ più aperta. Oltretutto, i fotografi che più mi influenzano in questo periodo sono i miei compagni di collettivo e di masterclass. Queste sono davvero due esperienze importanti. Per il futuro non saprei non sono molto in grado di fare previsioni. Se mi interesserà la fotografia spero di avere ancora qualcosa da dire. In realtà sono uno che vive alla giornata.

La cosa che mi ha impressionato del tuo lavoro è il suo restare fotografico solo in superficie: le connessioni con l’arte concettuale, la land art e la pop art – per dirne tre – mi sono sembrate evidenti. Senza contare il tuo porre attenzione alla fotografia in quanto medium e perciò la tua necessità di intervenire su di essa materialmente e stilisticamente. Non riesco a vedere quelle fotografie come “semplici” fotografie e non riesco a immaginarti come “fotografo”. Non so se ho detto granché di sensato, ma voglio chiederti lo stesso due parole a proposito di questo. Come vedi te stesso e ciò che fai?

 

Quello che penso oggi della fotografia è che non può più essere vissuta con una visione ristretta solo ad un certo ambito. Penso che il fotografo debba sentirsi un artista più universale e debba avere una coscienza più completa. La fotografia oramai è stata sdoganata e fa parte ne più e nemmeno come le altre discipline del mondo dell’arte. Se prima era solo considerata la verità dell’attimo, oggi può essere anche il mezzo per mistificare la realtà, e quindi essere usata tranquillamente per creare interpretazioni estremamente personali del mondo. Basta guardarsi intorno: ci sono sempre più artisti che usano la fotografia come mezzo espressivo pur non considerandosi fotografi,oppure fotografi che usano la fotografia in modo molto più artistico, e questo la dice lunga sul fatto che certi ruoli o categorie stanno scomparendo.

Nella serie Personal Fetish, o in Appunti Estivi, ho trovato delle Polaroid macchiate, spillettate, incise, sovrascritte. Mi ha fatto una strana impressione, perché questi sono tempi in cui a quasi tutti piace fotografare gatti e strade e vacanze con quegli effetti pseudo low-fi dati da filtri come Instangram. Eppure le tue foto non danno quell’effetto da nostalgia primaverile delle foto fatte con l’Iphone, al contrario: mi sembrano mettere in evidenza il lato biografico, reale, quasi sporco del passare del tempo. Non sono rassicuranti. Ti ho frainteso? E che ne pensi di quelle tendenze?

 

Quelle foto di cui parli sono ne più ne meno come le descrivi, non sono rassicuranti perchè il passato a volte è pesante e la memoria riapre le ferite. Sono reali e sporche perchè il tempo si osssida. La differenza tra queste immagini e quelle degli smartphone è che queste sono materia (se vieni a casa mia puoi vedere veramente la ruggine sulle spille delle polaroid…puoi vedere i colori che cambiano e le screpolature). Non ho uno smartphone, quindi non posso parlare molto di quel tipo di tendenze. La camera del mio cellulare fa schifo e non è possibile usarla. Certo non mi vergognerei a fare un lavoro con un iphone. Come sempre bisogna sentirne l’esigenza, e io ancora sto bene senza….

Ho notato un grosso interesse per l’ecologia. Devo dire che negli ultimi tempi ho incontrato spesso artisti che si confrontavano con questa tematica: questo non per darti del banale, ma perché vorrei capire il tuo rapporto con essa e ciò che spinge a raccontarla attraverso forme artistiche. 

 

Forse oggi si può sembrare pure banali e paraculi a parlare di ecologia. A me interessa comunque, perchè fa parte del rapporto che ho con il mondo in cui vivo e con il valore che do alla terra. Con questo non ho la presunzione di cambiare il mondo, lo faccio perchè è un mio bisogno sincero…

Ho visto che ti capita molto di rado di fotografare persone e molti degli animali che ho incontrato erano peli e sangue sparsi in giro o gonfiabili di plastica. Che cos’è, il vivente non ti prende?

 

In generale è molto difficile ritrarre gli umani, perchè in questo modo hai bisogno di loro, della loro collaborazione e tutto si complica. Forse è questo che un po’ mi blocca nel ritrarre le persone. In realtà ci ho provato e ho anche fatto qualche lavoro con più o meno presenza umana, qualche roba un pò più reportagistica, ma poi la mia direzione è sempre un’altra ed è vero che naturalmente non prediligo tale presenza all’interno delle mie foto…

 

Forse il progetto che ho apprezzato di più è Quarta Visione, non so il perché. Quello che ti chiedo è di parlarmene e magari di aiutarmi a capire perché mi ha impressionato. 

 

Quarta visione è un lavoro un po’ particolare. Concettualmente non segue tematiche precise: semplicemente volevo che le immagini fossero delle visioni extrasensoriali, dove si percepisse la dinamica e l’energia delle atmosfere. Istantanee e ricordi di un mondo a prima vista surreale. Semplicemente mi interessava disorientare un pò chi guardava queste foto con un pizzico di mistero. Forse ti piacciono per questo, perché parlano di un mondo che esiste ma che si vede in modo un pò diverso. Le ho scattate tutte un’estate con un pinhole panoramico autocostruito che spesso mettevo dentro ad una scatola di plexiglas immersa dentro l’acqua o sul bagnasciuga del mare. E’ stato divertente, anche perchè spesso mi guardavano strano e mi chiedevano che cosa stessi facendo!

Posso chiederti qualcosa a proposito di ciò che fai, del tuo fare fotografie: che cos’è, un mestiere, una passione, un hobby? C’è qualche anello congiuntivo tra le tue opere e quella che si potrebbe definire il soddisfacimento dei bisogni fisiologici di un individuo del III millennio? O, in altre parole, riesci a vivere di ciò che fai?

 

Per me fare fotografie non è un lavoro, i soldi li guadagno facendo un altro mestiere. La fotografia la vivo in maniera molto più genuina, semplicemente per il piacere che mi da nel farla e nel condividerla. Certo è diventata una cosa importante, questo è vero, ma non dimentico mai che non bisogna mai prendersi troppo sul serio. Così tutto rimane in una dimensione che mi piace, professionale ma anche godareccia! :)

Un’ultima domanda: ho visto che vivi in Toscana ma credo che tu abbia viaggiato parecchio, se non altro grazie alla tua passione. Posso chiederti se il tuo stare in Italia, ed essere un’artista nel Paese di Scilipoti, Federico Moccia e dei videomessaggi di Vasco Rossi, è una scelta, o un passaggio, o un’aspettativa? E, qualsiasi sia la tua risposta, posso chiederti il perchè?

 

Senz’altro ho viaggiato abbastanza, anche se non è mai abbastanza. Ma non ho dubbi su quello che provo per la terra dove sono nato, di questa parte della Toscana dove vivo. Proprio in questi giorni parlavo di questa cosa dicendo che quando torno in questi luoghi sento l’energia della terra come una cosa familiare e riconosco questi luoghi come i luoghi dove vivo. Non penso che vorrei vivere altrove, sento una buona energia da queste parti. Forse perchè ho vissuto fin da piccolo un rapporto molto stretto con la campagna e la terra, sono figlio di contadini di quelli veri che fino agli anni ottanta hanno coltivato la terra come lo si faceva cento anni fa, ed ho vissuto esperienze che mi fanno sentire molto vicino alla natura di questi luoghi. Forse è proprio per questo che mi sento così legato.

 Stefano Passini | sito

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

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