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La passione secondo don Giovanni

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I want a hero, an uncommon want……
……I’ll therefore take our ancient friend Don Juan.
We all have seen him in the pantomime
Sent to the devil somewhat ere his time.

Voglio un eroe: ed è un voler bislacco……
……Scelgo Don Jùan per mio eroe a stampa.
L’abbiamo visto tutti, e fu una pena,
buttato in malo modo giù di scena.

Gorge G. Byron “Don Juan”

Mentre si chiude il sipario e risuonano le ultime note del Don Giovanni di Mozart il pubblico può finalmente entrare in sala ed assistere alla “famosa” cena.
La passione secondo Don Giovanni È “la cena che doveva esserci e non c’è stata” tra il Dissoluto e il Morto.
Una lunga tavola parata a lutto, gli attori seduti intorno attendono che la cena venga servita.
Siamo forse in scena ad opera finita o forse in una voragine scavata nel tempo e nell’Opera. O ancora nell’ istante del trapasso, nel momento in cui Don Giovanni viene trasportato tout entier nei suoi personali inferi. Oppure l’attore che impersona Don Giovanni cadendo nella botola del palcoscenico è svenuto e sta sognando. Se si tratti della cena a fine spettacolo della compagnia o della cena agli inferi non verrà chiarito. Fatto sta che di cibo c’è ne poco, anzi, nulla. E se negli scenari seicenteschi che preludono al Don Giovanni, il Morto offre al suo ospite vermi, serpi e scorpioni, qui le uniche pietanze che verranno messe in tavola dinanzi ai commedianti affamati e al pubblico saranno ricordi serviti sul piatto di un vecchio giradischi.
La trama, se ve ne è una, si snoda sulle note di canzoni un po’ mélo in un clima crepuscolare.
I ricordi del nostro “Giovanni” richiamano in vita – o in scena – i fantasmi delle donne che lo hanno amato come nella lista. Scrive Garboli nel suo saggio illuminante “il Dom Juan di Moliere” si tratta de “la fuga di un uomo che cerca di sottrarsi all’abbraccio ambiguo e inquietante di tante donne che lo inseguono come fantasmi. Una fuga dunque dalla femminilità e una corsa involontaria verso la morte. Una scommessa contro la morte”.
Lo spettacolo prende il ritmo e il clima dell’avanspettacolo, dove, sempre citando Garboli, “Don Giovanni attraversa la scena sotto la luce dei riflettori come un grande comico ineffabile di maschera funebre e taciturna accompagnato dalla sua spalla: il suo servo”.
Il risultato è un lavoro contaminatissimo perennemente in bilico tra la risata e il pianto tra la tragedia e il lazzo anche un po’ greve, triste in allegria e ilare in tristezza.
Un lavoro di montaggio costruito con materiali eterogenei ed eterodossi, con brandelli di grande poesia che svaniscono in un istante nello sbuffo di cipria di una subrettina che cita Bergman, Fellini, Moliere ma non disdegna le canzonette di moda negli anni ’50.

– Che Don Giovanni dorma.
– Con i sogni o senza sogni?
– Con i sogni, naturalmente.
– E cosa gli dobbiamo far sognare?
– Oh, del paradiso terrestre e dell’amore sopra ogni cosa.
– Non crede che sia troppo crudele, Maestro?
– Niente è abbastanza crudele per colui che ama.

I. Bergman, “L’occhio del diavolo”

Con:

Alice Bever, Adriana Del Duca, Dora De Maio, Francesco De Santis, Chiara Giuliani, Francesca Lugnano, Mauro Milanese, Rossella Vitantonio.

Regia:
Ludovica Rambelli.

Dimitri Grassi

scritto da

Questo è il suo articolo n°319

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