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La riscossa delle Cholitas

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La Cholita è la bella donna “piazzata”, ovvero in carne, vivace nel modo di vestire, che vive alla giornata e vende sigarette negli angoli delle capitali del Perù e della Bolivia. È la tipica “femmina” con i baffi, poco curata, buffa nel modo di vestirsi e acconciarsi, quella che vedendola bene ti sforzi un po’ per capire se è una donna o bell’uomo peruviano. Però è anche la donna forte e coraggiosa dei Paesi del Sud America, quella che indossa cappello, scialle, camicia, maglia e sopra un’altra maglia e camicia, gonna, sottogonna, sottana, super mutandoni e bei sandaletti colorati. Tutta quest’accozzaglia di roba infilata sul corpo di queste non tanto eleganti signore indica il loro status sociale, la loro etnia e le loro tradizioni.

foto di Ivan Kashinsky

Il solo guardarle suscita allegria e simpatia, ma se qualcuno mi dicesse che assomiglio ad una Cholita un po’ mi offenderei o meglio penserei di aver sbagliato il mio look del giorno. Cholita infatti non è altro che una sorta di diminutivo del termine Chola che gli Americani usano per indicare qualsiasi donna latina appariscente nel mondo di vestirsi e di truccarsi, ma qui parliamo più di abbigliamento discutibile che di cultura. Del resto essere Cholita in America latina significa “avere le palle”, vivere alla giornata e inventarsi un lavoro per campare, essere capace di farsi rispettare dagli uomini, per evitare continue violenze, essere donne, madri e amanti. E, diciamoci la verità, se ci vestissimo noi in questo modo risulteremo molto ridicole, mentre su loro gli abiti sembrano cuciti addosso alla perfezione. Non dimentichiamo che stiamo parlando di donne che vivono nei Pesi più poveri del mondo, dove l’analfabetismo è presente e, forse, il loro modo di vestire è per esorcizzare i problemi di un Paese.

foto di Ivan Kashinsky

Non voglio fare la tipica persona corretta e angosciarvi con i problemi che esistono nel Mondo. Mai sia, ma ultimamente mi è capitato di leggere delle “Cholitas Luchadoras”, ovvero ragazze che lottano e di rendervi partecipi di questa simpatica notizia. Queste piccole e tozze donne hanno deciso che il pugilato non è solo uno sport per uomini, ma un modo per guadagnare qualcosa ed ottenere dignità e rispetto nel Paese. Adesso direte che anche qui abbiamo donne pugili, che non hanno nulla da invidiare ai loro avversari di sesso opposto, ma vedere combattere le Cholitas Luchadoras è qualcosa di veramente singolare. Innanzitutto sono totalmente sgraziate, non sono professioniste, ma fanno lavori modesti. Sono cuoche, sarte, venditrici ambulanti che a notte fonda si ritrovano nella piazza della città per veri e propri incontri virili e per guadagnare all’incirca l’equivalente di venti euro. La loro più bella caratteristica è il loro modo di acconciarsi, perché non si spogliano degli abiti tradizionali per indossare corti shorts e magliette attillate, ma si mostrano con le loro ampie gonne colorate, la loro sottana ricamata e le loro lunghe trecce che usano per frustare l’avversario.

foto di Ivan Kashinsky

I costumi li cuciono e li creano le stesse combattenti che possono cambiare più volte i vestiti di scena e le loro gonne, costituite da un arcobaleno di mille colori, ruotano durante la lotta, facendo sembrare il tutto più una danza che un incontro di pugilato. Non è un caso che le lottatrici abbiano un grande successo nel loro Paese, tanto da essere ammirate per il loro coraggio e la loro voglia di riscatto nei confronti di una società che tende a metterle da parte perché donne. Loro sono Las Diosas del Ring, le Dee della lotta.

foto di Ivan Kashinsky

Se doveste chiedere a qualcuna di loro perché lo fa tutte rispondono che si sono stufate di essere al servizio degli uomini, di lavare, cucinare, di allevare i loro figli e poi i figli dei loro figli e così danno un calcio, nel vero senso della parola, alla monotonia e alla condizione di disagio di essere una donna in un Paese difficile. Almeno loro portano avanti i loro ideali con dignità e forza e non hanno bisogno di denudarsi per essere delle “tipe” toste, sono rispettate e amate. Adesso che ci ho ragionato, se mi dicessero che sono una “Cholita” non mi offenderei affatto.

Stefania Annese

scritto da

Questo è il suo articolo n°51

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