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Largo Baracche, da bunker a galleria d’arte nel ventre di Napoli

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Siamo a Napoli nella galleria Largo Baracche un ex rifugio antiaereo nel cuore dei Quartieri Spagnoli. Prima della sua rinascita come spazio dedicato all’arte veniva utilizzato come deposito di motorini rubati, nel 2006 ha trovato la funzione più giusta ed appropriata, quella cioè di un’associazione culturale nata grazie ad un gruppo di amici accomunati dalla passione per l’arte intenzionati a dare il proprio contributo per rendere il quartiere più vivibile e far conoscere un luogo storico della città. Ne approfittiamo per visitare il posto, alquanto unico e particolare data la sua antica funzione, in compagnia di Giuseppe Ruffo, socio fondatore di Largo Baracche in veste eccezionale di guida, che ci introduce alla mostra attualmente in corso intitolata“Padania Felix”.

foto di Lia Zanda

Ebbene si, un tempo era “Campania Felix” adesso “Padania Felix”, territorio prospero e più ricco economicamente dell’Italia, raccontato da giovani artisti come Maria Giovanna Ambrosone, Alessandro Calizza, Arturo Iannello, Corrado Lamattina, Franco Losvizzero , Elio Varuna ed Elpidio Ziello. Artisti meridionali ma capaci di dare una loro interpretazione della verdeggiante Padania. Inutile dire che il verde domina tutta l’installazione, partendo dalle opere fino all’illuminazione. Addentrandoci tra i cunicoli della Galleria ne approfitto per chiacchierare con Giuseppe Ruffo che ci racconta tutto il lavoro intrapreso e i risultati raggiunti come associazione culturale.

Quando nasce l’associazione di Largo Baracche?

Nel 2006, durante la seconda edizione della notte bianca. In quella occasione abbiamo inaugurato l’associazione con un concertino in piazza ed un’installazione nello spazio sottostante. Abbiamo ottenuto questo luogo tramite una richiesta al Comune di concessione e comodato d’uso. All’inizio è stato complicato portare avanti il nostro progetto, perché la zona è comunque un luogo difficile di un quartiere popolare. È stato un duro lavoro però nel giro di cinque anni siamo arrivati a curare sessanta mostre, a organizzare varie iniziative e ad attivare lo spazio espositivo come galleria e laboratorio artistico. Siamo riusciti a creare anche una piccola rivista che si occupa di arte, “ Arte Magazine” e abbiamo ospitato mostre di artisti affermati. La cosa importante però è mettere a confronto artisti noti nel panorama nazionale e non con giovani non conosciuti e dare anche a loro una possibilità di esporre le loro opere. Poi abbiamo avviato anche progetti di relazioni internazionali con spazi no-profit come con New York, altro tassello importante dei nostri progetti, perché tutto quello che siamo riusciti a fare qui l’abbiamo portato all’estero con iniziative di collaborazione.

Quante persone fanno parte dell’associazione?

Siamo 3 soci fondatori e un gruppo più o meno di venti persone. Siamo un gruppo abbastanza eterogeneo.

Dove trovate i fondi per mantenere la struttura e organizzare mostre?

Il nostro non è un lavoro stipendiato. La maggior parte delle volte ci autofinanziamo. A Napoli poi non esiste il concetto di “fund raising”, di cooperazione tra imprese e terzo settore.

Lia Zanda

Parlaci dell’installazione attuale …

In questa mostra gli artisti hanno cercato di porre attenzione su ciò che accade nel nostro territorio nazionale ed hanno dato così un loro punto di vista. L’Arte non deve essere fine a se stessa, deve essere un tassello di un discorso culturale, deve essere attenta a ciò che accade. Noi infatti portiamo avanti una battaglia di cambiamenti e di cultura con la nostra associazione. Cerchiamo di sensibilizzare le persone a determinati problemi. Ad esempio abbiamo organizzato una mostra sulle morti bianche.

Come è stato il rapporto iniziale con la gente del posto, essendo questo uno dei quartieri di Napoli più popolati e anche più difficili a livello sociale?

Non è semplice integrarsi in un territorio che non è abituato a subire determinati eventi. Il nostro processo di integrazione è stato abbastanza interessante. Durante l’inaugurazione abbiamo fatto un concerto un po’ indie, ma la gente ha risposto abbastanza bene. Certamente non puoi pretendere che tutte le persone si appassionino all’Arte. La soddisfazione maggiore però c’è stata quando abbiamo attivato una serie di laboratori per i ragazzi della zona come un workshop fotografico. Da ciò sono nate gallerie fotografiche che sono apparse su giornali, come la Repubblica e il Corriere. Certamente non possiamo operare per un cambiamento totale, ma possiamo basarci su una politica del miglioramento della vivibilità del quartiere.

Esiste una collaborazione tra voi e le altre associazioni culturali?

È difficile creare una collaborazione. Spesso la gente è poco flessibile e molte realtà si chiudono in se stesse perché pensano a portare avanti i loro progetti culturali. Noi ad esempio trattiamo solo arte contemporanea in quanto lo spazio è più adatto a eventi di questo genere.

foto di Lia Zanda

È possibile vivere solo gestendo una galleria?

È una cosa abbastanza complicata, devi essere bravo a procurarti un fattore economico, collaborare con i privati. Il nostro obbiettivo è comunque quello di professionalizzare il nostro progetto e di farlo come lavoro.

Quale sarà la prossima mostra?

Stiamo avviando un progetto di collaborazione con la Russia per ospitare un Festival cinematografico russo a Napoli e vorremo anche portare le nostre iniziative fuori dai Quartieri Spagnoli.

Insomma il Comune non tira fuori un euro?

Solo qualche rimborso spese, ma i soldi arrivano sempre dopo un bel po’ di tempo.

Ringrazio Giuseppe Ruffo e tutti gli altri ragazzi dell’associazione non solo per la loro disponibilità, ma anche e soprattutto per il lavoro intrapreso in questi anni nel creare uno spazio culturale e artistico in una delle zone più complicate di Napoli, affinché si possa dare una possibilità di scelta a giovani ragazzi a contatto con ambienti degradati e corrotti. Un’Arte il cui scopo è quello di comunicare problemi sociali e contesti attuali esistenti per non rimanere nell’ignoranza e in uno stato di disagio.

Stefania Annese

scritto da

Questo è il suo articolo n°51

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