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Le case col rossetto

Si parla di:

di Sergio Donato

 

 

Elisa mette il pacco sul tavolo. La carta è marrone e spessa. Il loro indirizzo è stato scritto in cima con un pennarello nero.

“C’è un pacco per te” dice toccandosi la garza sull’occhio.

“Ah, lo aspettavo”.

“Lo aspettavi?”.

“Non è che ti mandano i pacchi così”.

 

Gabriele Basilico, Brescia, 2010

 

Sergio si mette le mutande sulla soglia del bagno, lascia le ciabatte di spugna e infila quelle da casa. Con l’asciugamano ancora sulla spalla, inizia a strappare la carta.

“Stai sorridendo” fa Elisa.

“Be’, è arrivato il pacco”.

“E posso sapere cos’è?”.

“Un giveaway.”

Elisa scuote la testa.

“Un regalo”.

“Ah, e te lo manda una donna, questo regalo?”.

“Il nome del mittente è di una donna. Sì.”.

“Ti fai mandare un regalo da una sconosciuta a casa nostra. Complimenti”. Gli tira l’asciugamano dalla spalla. Fa come un rumore di frusta.

“Eli, è una blogger… ”

“Quindi le blogger non sono donne”.

Lui guarda la scatola e sorride di nuovo. Ci sono scritte grandi e bianche in inglese sui megapixel e tutto il resto, e poi più piccole, con le bandierine delle nazioni a fianco.

“È una fotografa?” Elisa poggia l’asciugamano sul tavolo, poi la riprende. È umida.

“Anche”.

“Ti ha mandato pure delle foto, immagino”. Elisa si tocca il bordo inferiore della garza. Il nastro medico è ben aderente.

Lui apre la scatola. Tira fuori incastri di cartone, opuscoli e manuali in buste trasparenti. Estrae il corpo macchina. L’obiettivo è a parte, in una plastica morbida chiusa da un nastro giallo.

“Te le ha mandate?”

“Eli. C’ha un blog. Scrive cose, mette foto. A tutti, capito? A tutti”.

“Abita in città, hai visto?”

“Non lo sapevo”.

“Questa cosa che hai ricevuto un regalo non va mica bene”.

“È un giveaway, Eli! Un giveaway, cristo santo!”

“Non bestemmiare, mi dà fastidio. Lo sai che mi dà fastidio”.

Sergio prende la reflex e la sbatte dentro la scatola, ammucchia le buste con le istruzioni alle bell’e meglio e non c’è più spazio per i cartoni. Ci prova. Uno si piega. Lo lancia all’indietro. Gli altri li fa scivolare via dal tavolo. Chiude la scatola.

“Gliela riporto”.

“Ah, quindi vai da lei?”.

“Gliela riporto”.

Fa per riprendersi l’asciugamano e lei fa un salto all’indietro. Lui si avvicina piano. Le sfila lentamente l’asciugamano dalle mani guardandole l’unico occhio. Lei si tocca la garza.

“Eli. Non ti ho mai picchiata”. Se ne va nella stanza da letto strofinandosi i capelli. L’armadio si apre, pure il cassetto. Sta prendendo i jeans e una camicia. La fibbia della cintura tintinna.

Esce dalla stanza vestito, coi capelli ancora bagnati. Prende il pezzo di carta con l’indirizzo, si mette la scatola sotto il braccio e prima di aprire la porta di casa, dice, di spalle: “Non ti ho mai picchiata”.

Se ne va. Le hanno detto che le lacrime avrebbero bruciato. La garza è bagnata.

Sì, ma come si può dire a una persona di evitare di piangere?

 

 

L’indirizzo è giusto ma Sergio non trova il cognome sul citofono. Avvicina il naso alla pulsantiera e fa su e giù per due volte. Mancano molte etichette. Altre si leggono male. Dall’altra parte della strada c’è una ragazza seduta su una panchina in short, canotta e ciabatte da mare.

Sergio attraversa, la saluta e le chiede: “Quello è il 22?”

“C’è il civico”.

“Vabbè, è quello?”.

“Be’, sì”.

“Abiti mica lì?”

“Sì”. La ragazza si gratta la piega tra il polpaccio e la coscia.

“Ah, ok.” Sergio legge il nome e cognome sul pezzo di carta da pacco e aggiunge: “La conosci mica?”.

“Perché?”.

La ragazza è bionda e riccia. Ha gli occhi piccoli. Lui decide che sono neri. Ha i seni grossi, ma questo l’aveva già notato.

“La cerco, no? Non ci sono tutti i nomi sul citofono” dice lui.

“Sì. Ne mancano molti. Guarda.” Indica il palazzo.

Un casermone grigio, alto, pesante, caldo. Cinque file di finestre per ognuno degli undici piani. Tutte identiche. Il cornicione è una linea appena più nera, quasi invisibile, lassù, poi inizia il cielo, che è di un azzurro afoso, sbavato.

“Tante case uguali per chissà quante vite diverse. Non si può mica dire da qui. Bisogna entrarci” dice la ragazza.

“Scusami, la conosci o no?”

“La vedi quella finestra al centro, spostata sulla destra? Uno… due… il quinto piano. Lo vedi quel cerchio pieno e rosa vicino al davanzale? L’ho fatto io. È rossetto. L’ho consumato tutto, un giorno. Come grattava. Mi serve per vedere dove abito, da qui. Non ci riuscirei, senza”.

Lui sta per dirle qualcosa di brutto a voce alta, ma lei lo anticipa: “Sono io”.

“Sei tu?”

“Sì”.

“Ah, oh, ok… Senti…” Sergio le guarda la linea dei seni, poi il neo sul collo.

“Ti vuoi sedere?” dice lei e si fa da parte anche se c’è tutto lo spazio del mondo.

“No, senti… Questo è il giveaway che mi hai spedito. Sono pitumpa, su twitter. Sì, sono io… Te la devo ridare, non la posso tenere”. Le porge la scatola.

“Ah, sì? E perché?” Però la prende.

“È una storia lunga”.

“Ho tempo”.

“Vabbè, nel senso che non mi va di dirtela”.

“Io però ti ho detto del rossetto”.

“Che c’entra”.

“Dai, potrei essermi anche offesa”.

“Per cosa?”.

“Mi restituisci un regalo”.

Sergio si siede. Guarda il cerchio rosa, lassù, in alto.

“È strana. La mia ragazza, dico. Sembra quasi che non l’abbia mai conosciuta davvero”.

“È una casa senza rossetto” dice lei.

Sergio aspetta e lei riparte.

“Abbiamo bisogno di identificarci. Se non lo facciamo, quelli che ci stanno attorno non riescono a vederci o c’inventano. Finisce che condividiamo menzogne”.

“È convinta che l’ho picchiata”.

“E lo hai fatto?”

“Cazzo, no! Abbiamo litigato e lei s’è mossa”.

“Altre incomprensioni, vedi?” Si gratta sotto il seno destro. Il capezzolo punta appena il cotone. “Finisce che poi scriviamo in rete per dire a tutti quello che non riusciamo a dire a una persona sola. Però siamo bravi grazie a Wikipedia e belli con Photoshop. Ci viene dato del tempo, cosa che uno sguardo non concede mai. È più comodo non essere fatti di carne, ma così fottutamente sbagliato”.

Sergio sta zitto; osserva un uomo e una donna che gli passano vicino, poi dice: “Dovresti scriverlo sul blog. È forte”.

“Non ce l’ho il blog”. Fa per restituirgli la scatola.

“Non sei tu?” Però lui non la prende.

“No. Ti ho detto una cazzata per parlare un po’”.

Lui torna sul palazzo. Una finestra tira le tende.

“Senti, un rossetto può scrivere su una garza?”.

“I rossetti scrivono su tutto”.

Testo di Sergio Donato.

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1975. Pugliese nella culla, emiliano con la barba. Passa parte della sua vita a osservare quella degli altri. Le manie, le paure, gli amori. Sbircia le consuetudini che diventano normalità. Poi prende pezzetti di carta e scrive ciò che ha visto.

Alcune delle sue visioni sono nella raccolta “È qui che dobbiamo stare” edita da www.wepub.it

Il suo blog è: sergio-donato.blogspot.it

Su Twitter è: @pitumpa

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Scrittori in ascolto, se volete mettervi alla prova mandateci i vostri racconti saranno selezionati dal nostro Patrizio D’Amico, scrivete a:    testicitrolu@gmail.com

Patrizio D'Amico

scritto da

Questo è il suo articolo n°13

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