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L’elita Design Week e la teoria del festival detox

Durante la Design Week di Milano succedono cose ordinarie, assurde ed ordinariamente assurde. Cose che vanno dalle decine di metri di processione per fare il proprio voto ai santuari di via Tortona, ai gelati da due euro e 50 pagati con la carta di credito dagli avventori americani. Succedono anche cose come l’elita Design Week Festival, che ha offerto una programmazione di tutto rispetto per celebrare la sua decima edizione intitolata #Borderless in onore della sua trasversalità.

Musica senza limiti ed etichette e artisti che si sono alternati in sette location diverse della città. Per fare qualche nome Ikeda, Henrik Schwarz, Cerrone tra i pionieri, Benjamin Clementine, Guy Boratto, Kiasmos, Joy Orbison tra i “giovani” senza tralasciare astri nascenti nostrani come Popoulous e Vessels.

Ci piacciono i festival perché sono un pacchetto multitasking completo: defaticanti per lo stress, utili per fare un po’ di sano movimento tra cambi di location ed evoluzioni in pista, ricchi di stimoli mentali e se va bene ormonali e soprattutto fondamentali per rivedere amici sparsi nella galassia. Così la coppia Losini-Germanz si è riunita per un weekend di bella musica, occhi a forma di cuore, cocktail pagati più di una cena come da tradizione meneghina e sconosciuti sorridenti da fotografare.

Superata l’incredulità di avere appeso al collo un pass con la scritta “press” come quelli che contano (gli amanti del low-profile comprenderanno) e raggiunto il Teatro Franco Parenti, spazio polifunzionale diventato il quartier generale degli eventi elita, inauguriamo la programmazione del venerdì sera con Kindness e iniziamo a trovargli sosia italiani improbabili che non citeremo per questioni di etichetta.

Claudia si è già innamorata, ma il bello deve ancora venire e arriva con i Kiasmos, duo innegabilmente islandese composto da Olafur Arnalds e Janus Rasmussen che ci ipnotizza con atmosfere rarefatte, visual nebulosi e ritmiche equilibrate ed avvolgenti. Diamo qualche minuto ai nostri cuori per assorbire completamente le emozioni eteree rimaste sul parquet chiaro del Parenti, ci facciamo un selfie in bagno, importuniamo il pubblico di fumatori nel dehors con la nostra macchina fotografica e corriamo al Tunnel, seconda location della serata.

Lì troviamo ad aspettarci tanti baldi ventenni ormai fuori dal nostro target, fotografi ufficiali simpatici e non pressanti nonché Boddika e Joy Orbison: siamo in un club a tutti gli effetti. Dopo conversazioni su massimi sistemi artistico-musicali, aggiornamenti delle nostre vite sentimentali e considerazioni sul fatto che la moda anni ’90 delle t-shirt corte fa male alla schiena di queste povere ragazze torniamo a casa a recuperare qualcuna delle centinaia di ore di sonno in arretrato delle nostre vite.

Il treno e le distanze dividono ancora una volta Claudia e Germanz che promette alla prima di ballare sulla techno calda di Gui Boratto come se non ci fosse un domani. La domenica ha rivisto i lampadari di cristallo del Teatro Parenti vibrare con i centimetri di pelle sui ritmi del dj di São Paulo e sulle percussioni liberatorie dei Ninos Du Brasil.

Tra stelle filanti e coriandoli Germanz saluta le bariste che per timidezza non le hanno concesso una foto e torna a casa. La sensazione di essere stanchi ma completamente rigenerati dopo un festival avrà sicuramente una spiegazione scientifica. Una teoria che affonda le radici in riti tribali preistorici e nei meccanismi delle ghiandole endocrine. C’è chi per purificarsi prega, chi pratica il bondage, chi va alle terme. Noi andiamo ai festival.

Testi e foto di Claudia Losini e La Germanz.

 

 

elita Design Week Festival | sitofacebook

la Germanz

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Questo è il suo articolo n°102

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