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MI AMI Festival, sulle tracce di LIBERATO

Sono andata al MI AMI per capirci di più su Liberato. Non ho capito niente. Non avevo mai sperimentato sulla mia pelle l’espressione “essere fan sfegatati” di qualcuno. Con Liberato ho messo via tutti i pregiudizi di sorta e la mia reticenza e, sfidando le leggi spazio-temporali, sono andata al MI AMI con la speranza di incrociarlo, strappargli un selfie e lanciargli uno sguardo languido.

 

Giuliana con la t-shirt ufficiale di LIBERATO

 

Partita di buona lena, sono arrivata al Magnolia ben oltre le mie previsioni di puntualità. Ho varcato i cancelli prima dell’inizio dei concerti, che è un po’ come arrivare a San Giovanni due giorni prima del concerto del primo maggio a Roma. Scandaloso. Ho provato a distrarmi, che so, entusiasmarmi per la fiumana di artisti chiamati a suonare lo scorso venerdì. Ma è stato tutto inutile.

Ho iniziato canticchiando i ritornelli di Carl Brave x Franco126, frizzanti ed estivi. Ho provato anche ad inserirmi tra i ballerini al dj set di Cosmo, ma è stato tutto inutile. Mi sono detta che con i Baustelle sarebbe andato sicuramente meglio. Soprattutto perché si sono esibiti con quel repertorio amarcord di successi senza tempo di cui conosco tutti i testi. Ma l’unico risultato che ho ottenuto è stato quello di sentirmi vecchia. E sconfitta.

 

Dj Shablo

 

Ho optato allora per una pizza in solitaria. Per favorire la digestione, ho seguito le tracce del fantomatico venditore di magliette con il logo di Liberato e ogni volta che incrociavo un tipo che ce l’aveva fatta, oltre ad odiarlo, gli chiedevo indicazioni. Alla fine sono riuscita ad intercettare un’anima di buona speranza e forte accento partenopeo, che me ne ha procurate due e mi ha proposto anche un sorso di birra calda, a cui per fortuna sono riuscita a resistere.

Con quella maglietta ero finalmente a posto, potevo sfidare il mondo ed essere ufficialmente la groupie di LIBERATO. Intanto le chiacchiere si diffondevano a vista d’occhio e, dopo aver incontrato un paio di conoscenze affiliate al clan LIBERATO, l’unica cosa che ho capito e che mi hanno ripetuto fino allo sfinimento è stata: “Vedrai, c’è una sorpresa. Tu lascia fare a noi”.

 

Calcutta

 

Durante il buco nero tra la fine dell’esibizione dei Baustelle, che devono essersi chiesti chi fosse questo LIBERATO, visto che sull’ultimo pezzo ho sentito il grido “LIBERATO” alzarsi orgoglioso, e l’inizio del clou, ho trovato anch’io il mio posto nel mondo nelle primissime file. La prima fila, quella che quando si monta un qualsiasi palco è già accessoriata con quei gruppetti che arrivano prima di te, era ovviamente già presa.

Coloriti i cori da stadio per LIBERATO, in cui il napoletano è diventato un pastiche di -a piazzate a caso, un po’ come le -s quando si va in Spagna. Ma glielo perdoniamo; in fondo, anch’io quando canto “O mia bela Madunina” sono poco credibile.

 

Calcutta

 

Del resto dell’esibizione di LIBERATO saprete già tutto. Sarete a conoscenza del magistrale mash-up iniziale di Shablo che, manipolando musica napoletana purissima e suoni elettronici, mi ha impiantato nel cervello i cori di Senza giacca e cravatta di Nino D’Angelo, causando serissime crisi istituzionali con il mio ragazzo. Saprete anche che 9 maggio, il pezzo d’esordio, l’1/2 (uno di due) è stato cantato da Calcutta e che il pezzo della consacrazione, Tu t’e scurdat’ e me il 2/2 l’ha interpretato Priestess che trovo meravigliosa. Mi sono piaciuti tutti quei dieci incappucciati sul palco, con quel modo tutto campano di incitare come se fossimo amici di vecchia data e uno di loro mi avesse vista particolarmente triste.

L’unico appunto è che, secondo me, LIBERATO poteva essere lo Spirito Santo nella trinità della canzone giovane italiana e fare a gara di selfie con Calcutta e Tommaso Paradiso.

Giuliana Pizzi

scritto da

Questo è il suo articolo n°28

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