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Piccolo raccontino ambientato a Berlino

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Ero seduto in un bar con un mio vecchio amico. Si parlava un po’ di tutto, dell’amore, del lavoro, le sofferenze che solo i figli sanno darti, ma sopratutto di donne. Il mio vecchio amico, era appena stato lasciato dalla moglie e mi chiedeva di dargli una sola ragione buona per non suicidarsi. “Dai vecchio amico, nonostante tutto la vita è qualcosa di meraviglioso” cercai di dire. “Meraviglioso ‘sto cazzo. Io sto come un vecchio cane bastonato. Queste frasette da quattro soldi non mi convincono proprio.” “Guardati attorno. Come fai a non cogliere la bellezza nelle cose che ti circondano? Come fai, nonostante tutto il dolore che puoi avere dentro in questo momento?” . “Cosa devo guardare? Quel cornuto dell’Ubaldo? Guardalo, è lì seduto col suo gelato alla panna tutto contento, mentre sua moglie è in giro per la città a far danni. Chi guardo, quegli ubriaconi falliti al bancone? Parlano tutto il giorno di cosa farebbero, ma non fanno mai nulla.

foto di Yelena Arca - http://www.flickr.com/photos/ylenia/

Ciò che mi circonda mi fa schifo…ecco!” “Ma io intendevo che devi estendere le tue percezioni. Anche a me l’Ubaldo fa schifo. Ciò cui mi riferivo, è l’imprevedibilità della vita, a quando qualcosa ci sfugge dalle mani, ma lascia spazio ad altro…e quell’altro potrebbe essere meglio.” “Naaa, naaa, non mi convinci. Poi cazzo, sei uno scrittore, un po’ di fantasia! Queste stronzate me le poteva raccontare chiunque. Ho chiamato te, perché ti riconosco una certa profondità d’animo. Mi aspettavo qualcosa di più originale…ma forse a te non importa poi tanto di quello che sto passando. Scusami ma non sono molto gentile ultimamente, perdonami.” “Non preoccuparti, so cosa stai passando. Ci sono passato anch’io. Nessuno può consigliarti meglio di te stesso. Se il suicidio è per te la risposta, beh sparati, buttati dalla finestra…se questo è quello che ti fa stare meglio…fallo! Prima però ti voglio raccontare una piccola storiella alla quale sto lavorando. È un piccolo raccontino ambientato a Berlino; una cosa che mi capitò quando vivevo là.

PICCOLO RACCONTINO AMBIENTATO A BERLINO

Camminavo fischiettando una canzone triste lungo la Sprea. Il cielo era di un grigio così triste, che gli uccelli preferivano camminare per vecchie fabbriche abbandonate della vecchia DDR, piuttosto che svolazzare lassù, in quell’enorme lastra di piombo che incombeva su tutti noi. I turisti camminavano senza una meta ben precisa e anche i berlinesi non erano molto convinti sulla meta da raggiungere. In questa città nessuno sa che cazzo vuole. La magia che ha spinto migliaia di persone a venire a vivere qui, stamattina sembra essersi dissolta, lasciando solo il grigiore dei vecchi palazzoni socialisti. Mi avvicino alle rive del fiume, indeciso tra il suicidio e il Kebab. Prendo un piccolo sasso triangolare e lo getto nelle acque del fiume, così per dare a me stesso un’aria ancora più afflitta. Una giovane mamma lì vicino, allatta il suo pargoletto; le guardo un po’ le tette, poi mi addentro nel parco. Gli scoiattoli m’ignorano mentre fanno provvista per l’inverno ed io ricambio gentilmente. Nella testa ho solo una cosa: Gina. Perché sei scappata col fruttivendolo? Maledetta stronza, perché lo hai fatto? Sarai felice adesso, con tutte quelle ciliegie sulla tua tavola? I miei racconti ti erano sempre stati indigesti? Perché non dirmelo? Col cervello in fiamme mi siedo su una panchina, di fianco ad un vecchietto che dorme. Lo guardo. Dorme con la testa inclinata all’indietro e la bocca sdentata spalancata. Mi fa una certa tenerezza. Gli aggiusto la copertina che pende dalle sue ginocchia, poi sorrido soddisfatto. “Hey nonno, sei fortunato ad avermi incontrato qualcun altro ti avrebbe fregato il portafoglio” sussurro nonostante lui se la dorma alla grande. Mi accendo una sigaretta e guardo le foglie cadere. Comincio a pensare: come può un misantropo, uno che odia tutto e tutti, sentirsi solo? Eppure in questo momento mi sento solo e avrei bisogno di aiuto. Una ragazza si siede di fronte a me. Apre le cosce mostrandomi tutta la mercanzia.
Bianche o beige? Non riesco a capire da qui” le dico all’improvviso. “Ah?” “Le mutande. Di che colore sono?” Si alza con aria disgustata e se ne va più velocemente possibile. “Hey scherzavo, guarda che scherzavo…sul serio” le grido, ma lei non mi degna neanche di uno sguardo. Mi ha lasciato anche lei. Le donne ti vogliono onesto, ma quando lo sei, provano ribrezzo. Mi alzo anch’io, accennando un salutino al vecchietto che dorme, sempre immobile. Improvvisamente però, mi viene un’idea: guardo il vecchietto…e guardo il fiume. Inizio a tremare, mi viene la ridarella. Mi guardo attorno, nessuno. Mi getto sul vecchietto velocemente, lo prendo per le ascelle e me lo carico sulle spalle. Lui si risveglia, ma non riesce a capire cosa stia succedendo e impreca in qualche dialetto sconosciuto. “Se ti muovi così, mi rendi le cose difficili. Cazzo stai tranquillo” gli dico, mentre lui comincia a scalciare. Corro velocemente verso il fiume e ve lo getto dentro. L’impatto con l’acqua non mi soddisfa in pieno, ma guardarlo agitarsi nell’acqua mi fa ricredere. Mi siedo sul prato e lo guardo mentre viene trascinato dalla corrente. Sono pronto per il kebab. Quando oramai quella vecchia ciabatta sparisce all’orizzonte, mi alzo e mi reco da Mustafà. Il suo Kebab è speciale e dopotutto costa solo due euro e cinquanta. Non si può essere tristi…nonostante tutto.

Finito il racconto, il mio vecchio amico mi guardava come se fossi stato pazzo. “Beh?” gli dissi. “Questo racconto fa schifo. Cosa centra con la mia vita?”. “Anche la tua vita fa schifo”. Mi alzai e me ne andai lasciando sul tavolo tre euro per la birra. Qualche giorno dopo, lessi sul giornale che si era sparato tre colpi in fronte.

Testi di Pasquale Canzanella

Il gran capo

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Questo è il suo articolo n°3459

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