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Public and Confidential, intervista a Dan Witz

Il 28 settembre la galleria Wunderkammern di Roma inaugurerà la mostra Public and Confidential, ovvero la prima tappa di un progetto che prevede la partecipazione di alcuni street artist di fama internazionale, sentite qua: RERO, Agostino Iacurci, Aakash Nihalani , Jef Aerosol e Dan Witz, il quale sarà proprio lui ad aprire questa nuova stagione della Wunderkammern con una personale da non perdere. Io ho avuto l’occasione di intervistarlo nel cortile della galleria romana, un pomeriggio di settembre, a pochi giorni dall’inaugurazione. Un onore per me avere davanti uno degli artisti americani più famosi, un guru della street art, uno che ne ha di cose da raccontare per davvero. Si è parlato di graffiti, street art e del fascino della capitale. Buona lettura!

 Dan Witz

Public and Confidential è il titolo del progetto ideato dalla Wunderkammern di cui tu fai parte. Cosa è veramente pubblico e cosa è segreto nell’arte?

 

Wunderkammern ha organizzato questa una mostra in cui io sono uno degli artisti coinvolti in questo concept, un tema che sottolinea le due facce della street art: pubblico e segreto appunto. Penso che si tratti di una pura contraddizione dell’arte in generale ma soprattutto della street art che a me piace sottolineare nei miei lavori. È qualcosa che secondo il mio punto di vista ha a che fare con l’accessibilità e la comprensione dell’arte, sai quando hai davanti una fotografia di una donna che sorride ma i suoi occhi sono tristi: ecco, in essa così come nella street art il pubblico e il segreto si confrontano.

 

Un po’ come nel progetto Wailing Walls a fianco di Amnesty International per i diritti delle persone che si trovano in carcere ingiustamente. Si può affermare che il tuo modo di fare street art è una presa di posizione?

 

Se avessi visto i lavori per strada credo che non avresti pensato che si trattava del progetto Wailing Walls, soltanto avvicinandoti e guardando il codice sull’immagine avresti capito che c’era qualcosa di più. In realtà il progetto si associa ad alcuni altri lavori che ho fatto qualche anno fa, opere realizzate per fare in modo che la gente arrivasse a chiedersi: che cos’è? Il progetto infatti si chiamava What a f**k! Tra questi c’è anche Dark Doings, dove ho rappresentato scenari macabri che si svolgono dietro le finestre, porte, cose di cui magari non ti accorgi subito. Queste sono tante versioni di ciò che sto facendo ora e il Wailing Walls è una di queste. Puoi sapere tutto di quel prigioniero o niente, oppure comunque ti fa pensare mentre ti allontani dall’immagine.

Hai iniziato a fare graffiti negli anni settanta per po passare alla street art. Credi che l’evoluzione  della street art abbia modificato il tuo modo di lavorare?

 

Per molto tempo la street art è passata inosservata mentre ora la gente sembra essere più interessata, è tornata di moda, gli artisti sono famosi e anche l’approccio all’interesse della gente è cambiato. Quando io ho iniziato ho cercato di impostare un percorso individuale, la consideravo una cosa privata. Ora grazie anche a internet che permette di vedere cosa fa la gente e cosa fanno gli artisti, la street art è diventato un fenomeno mondiale, ma non ha mai contrastato il mio modo di fare arte, il cambiamento non è mai stato influente nel mio lavoro. Mentre molti artisti continuano a fare le stesse cose, gli stessi lavori riconoscibili ovunque, io ho sempre cercato di fare cose nuove sempre restando fedele al mio modo di fare street art. E’ una grande cosa per me perché riesco sempre ad essere molto attivo, ora mi piace più di allora quello che faccio, secondo me sto facendo le cose migliori della mia vita e sono molto interessato a cosa mi succederà in futuro.

 

Perché secondo te la street art è nata negli Stati Uniti?

 

Forse perché c’è più cultura punk negli Stati Uniti, non so il vero motivo però so che durante la seconda guerra mondiale i soldati americani scrivevano sui muri delle città i loro nomi, tipo: ero qui. Forse era un modo per diffondere l’immagine degli Stati Uniti nel mondo, una cosa amichevole anche se si trattava sempre di un periodo triste, la guerra. Non saprei dare una risposta seria a questa domanda, non seguo la storia dei graffiti, li rispetto ovviamente perché anche io provengo da quella cultura, senza di essa non avrei mai fatto ciò che sto facendo ora. Vedere i graffiti sulle pareti dei treni durante gli anni settanta mi ha aperto la mente.

Street art made in italy: hai visto qualcosa di interessante in giro?

 

Veramente tante cose, ci sono molti tagging mai visti negli altri paesi che ho visitato. Sono stato in alcune location dove ho avuto modo di apprezzare i lavori di diversi artisti davvero niente male. L’energia nelle strade di Roma è la più attraente che io abbia mai visto e s’addice bene a quello che sto facendo ora. Sono stato a Berlino e la c’è davvero troppo, non c’è più uno spazio vuoto per qualcosa di nuovo, nemmeno io sono riuscito a trovare un posto per i miei lavori. Sono anche stato a Vienna, ma Roma è la città giusta per i graffiti, forse per i colori dei palazzi, o per la storia della città, i muri romani hanno un so che di poetico che non ho mai visto prima. Potrei fare duecento pezzi soltanto qui quando normalmente ci impiego molto più tempo altrove per farne magari solo venti.

 

Progetti per il futuro?

 

Beh, dopo l’inaugurazione con la mia famiglia andremo nel mediterraneo per il fine settimana, quella sarà una vacanza. O forse no. O forse un giro a Galleria Borghese.

 

Dan Witz | sito

Wunderkammern | sito facebook

Eva Di Tullio

scritto da

Questo è il suo articolo n°178

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