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Pure Evil si racconta su ziguline

Come vi aveva anticipato la nostra grande capa Maria Caro la scorsa settimana, alla Wunderkammern hanno aperto la stagione delle grandi mostre romane con un personaggio molto noto nel mondo della street art che sono andata a conoscere di persona in un ancora caldo pomeriggio di settembre mentre tutto lo staff era al lavoro per l’apertura della sua mostra. È un artista che ama raccontare le sue passioni, le sue esperienze, le sue emozioni, anche quelle più toccanti e lo fa con quell’inconfondibile modo inglese di spiegare in poche parole l’ essenza delle cose. Ed ora ho finalmente il piacere di farvi leggere quello che ci siamo detti quel pomeriggio io e lui, ovvero Pure Evil. Buona lettura!

Come è nata questa mostra alla Wunderkammern?

 

Questa mostra nasce dall’esigenza di sopravvivere alla perdita di mia figlia, un’esigenza emotiva che ogni volta si presenta nella mia vita viene colmata dall’arte, dalla mia voglia di esprimere quello che sento attraverso di essa. Ho lavorato molto nel mio studio, ho creato opere quasi senza accorgermene. Molte di queste rappresentano dei coniglietti perché io e mia moglie chiamavamo nostra figlia Bunny poiché avevamo creato un gioco tra di noi con coniglietti e draghi che a lei piaceva molto. Dopo la sua morte io e mia moglie siamo stati nello Sri Lanka dove abbiamo visitato molti templi, avevamo bisogno di meditare e soprattutto cercare un legame spirituale con nostra figlia, la sua energia e gli influssi, quell’esplosione di colori che ho poi riversato nelle mie opere e in questi lavori, la serie Nightmare per esempio, testimoniano la mia reazione al dolore. L’arte è la mia terapia.

C’è un legame tra le opere esposte in questa mostra e i lavori che in questi giorni stai realizzando sulle facciate esterne dei palazzi circostanti?

 

Sì, nel senso che ho sempre questo istinto di disegnare tanti coniglietti colorati ovunque la mia mente mi porti soprattutto perché sono molto facili da realizzare su qualsiasi supporto e soprattutto sui muri. Non viaggio con degli stencil preparati in studio e quindi mi riesce molto facile realizzare questi soggetti colorati, soprattutto perché amo divertirmi mentre faccio questi lavori in strada, non sono quel tipo di artista che fa un lavoro da tipico graphic designer prima di applicare i suoi lavori sui muri. Vado molto a mano libera. E mi fa molto piacere sapere che i primi stimatori delle mie opere che sto realizzando qua a Roma sono proprio coloro che gestiscono i locali che si affacciano sulla parete sulla quale sto lavorando e mi ringraziano per aver dato un pò di colore e vivacità ai loro spazi. Ne realizzerò uno con la scritta Love e tanti conigli che girano intorno, è ovviamente un lavoro dedicato a mia figlia, un’esplosione di colore in una sola scritta, un inno all’amore contro la tristezza, la rabbia e la paura.

Hai iniziato a fare graffiti molto tempo fa, quanto è cambiata secondo te la scena della street art da allora?

 

Quando io ho iniziato si faceva graffiti per dire qualcosa, lanciare un attacco alla società o semplicemente dire a tutti che tu esistevi e lo facevi scrivendo il tuo nome in una tag che poi diventava il tuo segno. Era una pratica che andava di pari passo con l’uso dello skateboard, il mezzo con il quale noi ragazzi di allora ci muovevamo anche solo per andare al supermercato e magari provare qualche tricks. In modo molto simile queste due cose hanno avuto la loro trasformazione nel corso degli anni, passando dall’illegalità ad una moda legata a concorsi, sponsorship e notorietà. Inoltre, con l’avvento di internet gli artisti e le loro opere sono conosciute in tutto il mondo in tempo reale grazie alle foto caricate sui social media e ai seguaci che rimbombano con i loro like e sharing. Non è cambiata tanto la sostanza quanto il modo di concepire la street art perchè poi ci sono artisti che si sono evoluti ma hanno continuato a fare arte secondo la loro modalità. Banksy e i suoi lavori ne sono un esempio.

Continuiamo allora a parlare proprio di Banksy e del suo ultimo progetto di cui si si sa molto, Dismailand, nel quale hai partecipato anche tu. Quale è stato il tuo supporto?

 

In questo progetto di Banksy mi è stato chiesto di utilizzare i miei poster propaganda 1968 con altri lavori che si intersecano alle stesse tematiche, quindi un modo per legare la rivoluzione culturale parigina di quell’anno all’attualità. E’ in sostanza un invito alla riflessione sulla condizione economico e sociale che stiamo vivendo in questi anni. Nonostante Banksy sia un artista che lavora molto singolarmente credo sia stato molto generoso nell’invitare altri artisti a partecipare in questa sua nuova impresa che è davvero impressionante.

Hai vissuto a San Francisco per un lungo periodo, come la città ha contribuito alla tua formazione?

 

Ha abbandonato il Regno Unito quando Margaret Thatcher ha preso il sopravvento e allora ho deciso di trasferirmi a San Francisco. Vivere a San Francisco è stato molto bello, facevo skateboard, mi dedicavo alla musica, c’è stata una vera e propria esplosione di magazine, c’erano molti altri inglesi come me con i quali abbiamo fatto molte cose ma anche feste, ci siamo divertiti in quel periodo. Tutto mi piaceva di San Francisco, i paesaggi, le spiagge, le persone. Sono tornato a vivere a Londra quando George Bush è stato eletto perché avevo capito che la sua politica avrebbe cambiato molte cose e quello non era più il luogo adatto per me.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

 

Sto lavorando ad una serie di mostre come quella che terrà nelle Filippine, un’altra è prevista nello Sri Lanka a gennaio. Poi quando sono nel mio studio compongo musica. Staremo a vedere.

 

Pure Evil | sito

 

Eva Di Tullio

scritto da

Questo è il suo articolo n°178

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