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Quattro chiacchiere con Giulio Vesprini

Qualche giorno fa si è conclusa la sua personale a Milano dal titolo Cosmometrie, una mostra che pare abbia ricevuto molto successo e noi ne siamo davvero felici perché l’artista di questa intervista è davvero molto bravo, uno di quelli da tenere sempre sott’occhio. Il suo impegno, la sua dedizione e la passione con la quale mi ha raccontato della sua formazione e dei progetti che lo vedono coinvolto è qualcosa di straordinario che mi ha davvero emozionata tanto che credo di poter affermare che questa che state leggendo sia una delle più belle interviste che io abbia realizzato per ziguline. E proprio a noi di ziguline ha svelato l’origine della firma delle sue opere, un fatto che ci rende molto onorati. È un tipo molto sveglio, estroverso, molto tagliente quando serve e particolarmente incline allo studio dei dettagli e degli artisti che hanno influenzato il suo modo di operare. Uno studioso dell’arte, un grafico eccezionale e un amico delizioso. Cos’altro aggiungere? Godetevi questa fantastica intervista a Giulio Vesprini.

Giulio Vesprini

 

Parlaci della mostra Cosmometrie che si è da poco conclusa.

 

Cosmometrie rientra nel progetto Parentesi Aperte, curato da Alessandra Ioalè, ovvero un ciclo di mostre personali che hanno avuto inizio nel novembre 2014, nel quale ci sono anche io e ne sono davvero onorato. All’interno di questo progetto Alessandra credo abbia voluto tracciare una sorta di linea stilistica che coinvolge tutti gli artisti partecipanti, CT, 108, Aris e Gio Pistone. Io mi sono anche prestato nella parte grafica del progetto e l’ho fatto con molto piacere, ho creato il logo ed ho contribuito in tutta la parte comunicativa, quindi in questo progetto mi sono mosso sia come artista che come grafico.

 

 

Entriamo nello specifico delle tue opere. Come hai concepito la serie presentata per la mostra?

 

Anche in questa mostra ovviamente è preponderante la figura geometrica del cerchio soprattutto su base rossa, cosa che non è stata pensata sin dall’inizio ma è venuta fuori durante la fase di allestimento quando mi sono accorto che il coloro rosso è prevalso su tutto. Diciamo che mi sento di affermare di essere uscito dal confine della circonferenza e riesco a lavorare anche con il collage, applico sopra altri tipi di stampa. Tranne le due tele il resto l’ho preparato con il mio tirabozze perché la mia vena grafica ritorna sempre, difatti oltre ai materiali da grafico ho utilizzato anche gli inchiostri da grafico, nonché le lettere della tipografia, non a caso io mi firmo g con a fianco il progressivo dei numeri delle opere, poiché vorrei evitare di contaminare lo spettatore con un titolo ma creare quindi una sorta di viaggio tra chi guarda le mie opere e le stesse. Poi in parte mi rifaccio a quello che facevano gli astrattisti con la firma delle loro opere. C’è molta grafica anche negli interventi che io apporto con la matita, con l’inchiostro, con la china, altri pezzi li ristampo sopra con la tecnica del linoleum. Mentre per le tele ho utilizzato la pittura classica, l’acrilico su tela. Poi ho utilizzato diversi tipi di carta, anche antica, di diversa grammatura, ovvero tutto ciò che riesco a recuperare nelle tipografie finisce nelle mie opere.

 

 

Quanto è cambiato il tuo modo di lavorare dai primi anni?

 

Sono molto cambiato. Ho iniziato a fare arte immergendomi nel mondo dei graffiti e del writing degli anni ’90 in una realtà di provincia che viveva diciamo un pò nell’ombra delle opere realizzate per esempio sui muri e sui treni nelle grandi città come Roma o Bologna e più passa il tempo e più mi rendo conto di quanto sia cambiato davvero il mio stile e di quanto io sia cresciuto. Durante il biennio dell’Accademia mi sono dedicato allo studio su Mondrian e realizzando una tesi sul sabotaggio del linguaggio pubblicitario dei cartelli stradali, quindi tutto ciò che concerne la scena di Seattle e Vancouver. Proprio in concomitanza di ciò ho capito che il mondo dell’arte di strada ritornava a distanza di tanti anni e quindi la sua importanza nella mia formazione. Nell’ultimo periodo degli anni dell’accademia poi mi sono dedicato allo studio del minimalismo e al video ed è stata un’esperienza che mi piace definire “bastarda” ma necessaria poiché mi sono accorto che c’era un rimasuglio di quell’antica esperienza del passato. A seguito di questa ho realizzato un progetto dal nome duecento control zeta, portato avanti per cinque o sei anni in cui facevo figure cartoon che tendevano molto verso la caricatura degli ambienti spaziali, quasi alieni. Poi un giorno mi sono trovato in un evento a Milano ed stato la che è iniziata la mia crisi che nel 2010 mi ha portato a stare fermo per un anno ne quale ho maturato l’idea che sia inutile partecipare ad eventi se poi dici delle bugie a te stesso perché quello che fai non ti appartiene più.

 

GVesprini-StudioDArs-72

 

La trovavo una scorrettezza nei confronti dell’arte e anche nei miei. Da quel punto in poi c’è stato lo scatto, ciò che io chiamo un’onestà intellettuale che mi ha fatto tornare alla mia prima ricerca, allo studio dei maestri, mentre nel frattempo vedevo che il mio lavoro da grafico amava lo studio del carattere, della font tipografica ed è capito che forse era quello il mio essere. Allora iniziano le prime istallazioni, lo studio della land art americana e a fine 2010 ho rimesso in campo le vecchie tele bianche rosse e nere, lo studio di Mondrian, tutte le foto di Documenta del 2001, una parte importante della mia formazione che non avevo capito: è stato in quel frangente che ho capito l’importanza dello studio dei segni. Poi ho conosciuto un pittore, Carlo Giusti, friulano, legato a Civitanova Marche, ho visto questo suo studio sul cerchio e la mi sono ispirato. Un giorno mi hanno chiesto di fare un omaggio ai suoi cerchi e io ho accettato ma a patto che si facesse direttamente su una parete. Feci il primo cerchio gigante e nonostante l’omaggio è uscito un cerchio totalmente diverso dal suo percorso poiché è stato proprio in quell’istante che ho capito che la mano va da un’altra parte e fa un suo percorso. Ora sono cinque anni che continuo questa ricerca, non so quanto possa durare perché io sono un tipo che deve fare cose diverse, l’artista secondo me è colui che evolve, attraverso soprattutto il suo mettersi in gioco con cose diverse. Un esempio per tutti: l’evoluzione di Sten&Lex.

 

 

Parliamo di “Vedo a colori” e di come si inserisce questo tuo progetto nel mondo dei festival di arte urbana in giro per l’Italia.

 

Vedo a colori è un non festival, poiché un festival prevede una data e una line up, inoltre deve esserci molta pubblicità volta a promuovere lo stesso. A me questo tipo di festival non piace e difatti Vedo a Colori non ha date e nemmeno una line up. All’interno di questo progetto io e i le persone che mi hanno aiutato alla sua realizzazione abbiamo trovato i muri, i colori e gli artisti che di volta in volta hanno partecipato con tempistiche diverse. Con l’aiuto di alcuni collaboratori sono riuscito sempre a trovare delle risorse senza chiedere nulla al Comune, realizzando un museo a cielo aperto, forse il porto più colorato d’Italia dove anche i pescatori sentono le opere parte del loro territorio imparando che anche in provincia si può creare questo.Tutti gli artisti, anche quelli più famosi come Gola Hundun o Run hanno lavorato in un ambiente che li metteva a loro agio, molto allegramente, senza trabattelli ma con delle scale costruite in modo artigianale perché questo vuol dire lavorare per strada. È stato emozionante. Ogni week-end in cui un artista è stato chiamato a partecipare ho notato che la città rispondeva positivamente. Poi lo scorso anno si è evoluto, somigliando un pochino ad un evento e io ho cercato di arginare questo dando i nomi degli artisti dopo la realizzazione delle opere per non creare disparità tra gli artisti perché la cosa che più importa è il progetto.

 

Secondo Giulio Vesprini in quale direzione sta andando la street art?

 

Sta andando?

 

 

Artista con il quale vorresti collaborare?

 

Sten+Lex e Momo.

 

 

Cosa prevede il tuo futuro?

 

Il mio futuro prevederà un periodo di riposo e nel frattempo preparo la mostra di Vedo a colori con delle opere fotografiche scattate in analogico da un ragazzo che è venuto a riprendere i lavori durante tutti i week-end del progetto e la mostra si terrà in un cantiere navale, giusto per rimanere nel tema del progetto. A settembre poi farò la seconda personale a Bologna e poi forse un intervento al Quadraro.

 

Foto di Livio Ninni & Urban Lives.

Giulio Vesprini | sito

 

Eva Di Tullio

scritto da

Questo è il suo articolo n°178

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