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Sesso spray, le Graffiti Girls

Non guardo granché la televisione. Ho una concezione del tempo che mi impedisce di perderlo dietro a gente che si concentra per aprire un eventuale pacco e la mia attenzione viene a stento attirata dalla possibilità che un ottuagenario signore della provincia di Cagliari, possa ritrovare la sua sessualità con una signora un po’ in carne che, essendo di Bologna, non lo capisce. Tuttavia, ho scoperto che alcuni canali (anche della TV di Stato, wow) possono riuscire, talvolta, ad azionare alcuni reconditi movimenti cerebrali. In una di queste occasioni mi è capitato di vedere su Rai5 un’intervista allo street artist francese Christian Guémy in cui egli confessava all’intervistatore il motivo del suo fare street art, ossia il semplice (?) fatto di poter offrire ai passanti la possibilità di evadere dal grigiore delle metropoli postmoderne: la città è brutta, la nostra vita fa schifo e per di più, la maggior parte dei tram puzza come il nascondiglio di Totò Riina e un disegno ben fatto può colpire la nostra attenzione e risvegliarci dal nulla in cui siamo caduti.

Ora non so se tutti i graffittari la pensino come Guémy: credo piuttosto che il graffitismo sia, come tutte le pratiche, nato da una molteplicità di fattori e che la sua esclusiva dimensione estetica sia una conquista piuttosto recente. Banksy, se da una parte dice che “Some people become cops because they want to make the world a better place. Some people become vandals because they want to make the world a better looking place”, dall’altra dice pure che “A wall has always been the best place to publish your work”. Non si lavora solo per il prossimo.

Ad ogni modo non so quale, tra l’impegno a migliorare qualcosa con un disegno o il bisogno di attirare attenzione sul proprio lavoro, stia alla base del fatto che un sacco – e dico un sacco – di gente abbia iniziato a sentire il bisogno, da qualche tempo a questa parte, di fare graffiti su procaci corpi femminili in piena povertà di indumenti. In effetti non c’è molto da dire, e tutto quello che sto dicendo è un palese riempimento alla galleria di ragazzine vestite solo di graffiti che starete vedendo tra i paragrafi (e a pensarci così mi viene in mente la mole di gente che queste parole nemmeno farà in tempo a leggerle).

Fatto sta che ho iniziato ad interessarmi (ahah n.d.r.) di questo fenomeno quando, cercando info su un graffittaro chiamato Tilt, ebbi modo di osservare che il ragazzo aveva un sacco di amiche che più che amiche sono stimolatori di onanismo ben felici di farsi mettere il suo pennarello addosso. All’inizio pensai ad una particolarità di Tilt, ad un suo estremo sex appeal o ad un sapiente uso di cloroformio, ma poi scoprii che il web è pieno di questo tipo di esperienze.

Ci sono persino un paio di siti dedicati, una sorta di Flickr dedicati ad utenti vogliosi di condividere le proprie ragazze graffittate. Uno di questi, SHR***MP, proprio in questi giorni presenta il suo calendario per il 2013 pieno zeppo di conigliette colorate. Sembrano passati secoli dal calendario di Paola Barale, un toccasana per rendere prolifiche le lezioni di educazione musicale alle scuole medie. Su questa cosa del calendario, oltretutto, Montana (uno dei più celebri brand di bombolette spray) ha pubblicato un video che vi linko qui sotto.

Per concludere, io non lo so perché la gente fa i graffiti, non so perché qualcuno dovrebbe farne su  delle ragazze nude e non so nemmeno trovare qualche tipo di somiglianza tra un vagone di metropolitana e un paio di tette (non di norma, quantomeno). Quello che so è che a me piacciono sia i graffiti che le ragazze nude e che vedere queste cose insieme è per me un passatempo migliore del vedere Daniele Bossari che intervista un fantasma millenario in un rudere sulle Alpi piemontesi.

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

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