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Siamo stati a Fotografia, Festival Internazionale di Roma

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Il paradosso è il seguente: può la fotografia interpretare il futuro? Ma in quanto tale non allude a nessuna risposta, dal momento che qualsiasi risposta sarebbe non meno paradossale. Bisogna fare un passo indietro, mettere in gioco le proprie credenze, e cercare quei nuovi elementi che facciano intravedere delle possibili verità. Facciamo un passo avanti ed entriamo. Ma ci ritroviamo circondate dalla Roma del presente, ritratta dal fotografo americano Tod Papageorge (per la Commissione Romana) e dal panamense Jose Manuel Castrellon (premio IILA Fotografia). Le loro sono immagini fatte di gesti, frammenti di vita, dettagli fuggenti di una città non più rappresentata nella sua classica monumentalità ma da luoghi non immediatamente identificabili. Una città che si stenta a riconoscere: questa può essere una possibile interpretazione del futuro? Probabilmente sì, l’imminente, costituito da una contemporaneità drammatica che altro non è che una quotidianità vissuta nelle nostre metropoli anonime.

Come sarà invece il mondo nel 2025? La fantascienza, genere ben consolidato nel cinema e nella letteratura,che “aiuta il pubblico a riconoscere i segnali stradali indicanti la direzione degli eventi”, può includere la fotografia? Può la fotografia far profezie visive? Paul Wombell ci risponde con BUMPY RIDE, una sezione fotografica di otto artisti che utilizzano tecniche sia analogiche che digitali per sfidare le nostre aspettative su ciò che dovremmo vedere nell’immagine fotografica, portavoci di una visione utopistica che sconfina nel fantascientifico.
Una spettrale Londra avvolta nel fumo che lascia immaginare una catastrofe simile all’11 Settembre è la protagonista delle immagini visionarie di Ebru Erülkü; mentre Cédric Delsaux espone una serie di rielaborazioni al computer che mostrano le milizie di StarWars intente a colonizzare il paesaggio urbano di Parigi e Dubai. Sono immagini tra il reale e l’immaginario che rappresentano uno spazio visivo indefinito quindi altamente poetico.

Ilkka Halso prevede catastrofi planetarie, dove la natura verrà rinchiusa in gigantesche serre o musei per essere conservata. Il suo lavoro si basa su una visione pessimistica di ciò che sta accadendo sulla terra e si propone come dichiarazione politica visiva e non meramente estetica. Apparentemente più fiducioso è Kader Attia, che ritrae ragazzi algerini seduti in riva al mare intenti a guardare verso le navi che incrociano all’ orizzonte, quasi a programmare una fuga verso favolosi paesi dove la ricchezza e il benessere sembrano a portata di mano. Nonostante la realtà per gli immigrati illegali nei paesi ricchi sia una condizione insopportabile in continuo peggioramento, rimane per loro l’unico futuro possibile.

Peter Bialobrzeski presenta il suo lavoro su una bidonville situata alla foce del fiume Pasig vicino al porto di Manila, case effimere costruite con gli scarti dell’industrializzazione. La sua provocazione sul futuro della città è chiara: niente vetro e cemento come predetto da generazioni di urbanisti bensì abitazioni in legno,mattoni grezzi, paglia, plastica riciclata e legname di scarto. La doppia identità di Los Angeles, vista da Mirko Martin, è lo scontro fra finzione e realtà rappresentata da un alternarsi di foto di set cinematografici e scene di strada; una città dove si possono realizzare i più folli sogni come Hollywood ci insegna.

Ma i bambini non sono il nostro futuro? Meravigliose le foto a colori di Jill Greenberg, quattro macropiani di bambini che piangono per gli errori da noi commessi. Una sofferenza che preannuncia un futuro orribile prossimo alla fine. Al contrario, lo sguardo delle bambine ritratte da O Zhang è deciso e fiducioso, nonostante siano creature indesiderate di un remoto villaggio rurale della Cina centrale. Rappresentano la nuova generazione, il futuro rivoluzionario, la sfida futura al potere costituito.

Il primo padiglione della mostra termina con due esposizioni notevoli:
L’esposizione di Giuliano Matteucci che con il progetto Ecclesia ci descrive le chiese rurali dell’Africa occidentale. Fotografie panoramiche tradizionali che raccontano una fede profonda e a suo modo radicata, un lavoro che gli è valso il premio Internazionale Fotografia Baume et Mercier. Matteucci sceglie un’inquadratura quasi sempre frontale per i suoi paesaggi, o gruppi di persone, ed ogni spostamento è legato al precedente dall’uso spettacolare della luce, sempre molto forte, di una chiarezza accecante che avvicina alla visione.

A chiudere vi è l’esposizione del vincitore del PREMIO LIBRO 2009, Deformer di Ed Templeton, edito da Damiani Editore, scelto dalla commissione tra oltre 300 volumi di fotografia provenienti da tutto il mondo. Il catalogo in libera consultazione viene accompagnato da uno slide show delle immagini presenti in questo capolavoro grafico straordinario dove è stato selezionato il materiale prodotto nell’arco di trent’anni. E’ il periodo della formazione dell’artista nella periferia residenziale di Orange County,in California. Ed Templeton analizza il significato dell’essere giovani e pieni di vita in quella che definisce “incubatrice domestica della periferia residenziale”. Deformer intreccia fotografie, dipinti, disegni, schizzi,richiami disciplinari del nonno e appunti religiosi della madre in un superbo racconto di isolamento adolescenziale e critica sociale.

Il secondo padiglione raccoglie le ultime due sezioni del festival:
Valentina Tanni attraverso il suo lavoro di ricerca risponde alla domanda-paradosso con una mostra intitolata MAPS AND LEGENDS (Fotografia e New Media), un progetto che si pone come obiettivo la mappatura di un territorio in continua evoluzione. Una cartografia in progress sulle relazioni che la pratica fotografica sta intessendo con il mondo della rete, con la sua cultura, il suo linguaggio, il suo immaginario. L’incontro tra la fotografia e i nuovi media vive un eterno presente, è già avvenuto ma continua a succedere. La conseguenza più evidente è una disseminazione inarrestabile del fotografico resa possibile dagli innumerevoli supporti e mezzi. Dieci sono gli artisti presentati che sperimentano nuovi stili e linguaggi attraverso strumenti non convenzionali.
Jon Rafman presenta delle foto prese da Google street Views, Jaime Martinez delle gifs animate, Justin Kemp prende autoscatti di persone sconosciute da gettyimages, Marco Cadioli con Remap Berlin diffonde un sottile virus geografico all’interno di Google Earth inserendo fotografie in b/n di ricostruzioni virtuali in 3D della città di Berlino, ma qui spacciate per reali. Filippo Minelli con la sua serie Contradictions inserisce in modo provocatorio i loghi dei maggiori social network in realtà sociali del tutto contrastanti. Harm Van Den Dorpel manipola e sovverte immagini assemblandole poi in due collages.

Martijn Hendriks dopo aver scaricato da internet un’immagine di Michael Jackson la trasforma attraverso un software gratuito online di fotoritocco in grado di invecchiare un soggetto, e ce la mostra sia a colori che in b/n. L’americano Phillip Toledano porta una serie intitolata Days with my Father, testi ed immagini in un sito web, dove documenta la vita quotidiana accanto al suo anziano padre dopo la morte di sua madre. Gli scatti di Carlo Zanni cambiano in tempo reale con il flusso dei dati, quindi ogni volta che ci si collega ad internet si vede un’immagine differente aggiornata in tempo reale. Sascha Pohflepp inventa la macchina fotografica che cattura il tempo invece dello spazio.
In anteprima assoluta viene presentata anche la nuova produzione del Mese Europeo della Fotografia: MUTATIONS 3 – Public Image, Private Views, curata da Emiliano Paoletti, che include, tra l’altro, The Sochi Project di Rob Hornstra e Arnold Van Bruggen, un progetto di slowjournalism finanziato via web per documentare i cambiamenti nella regione russa che nel 2014 ospiterà le Olimpiadi invernali.

L’ultima sezione curata da Marc Prust riguarda il rapporto tra fotografia ed editoria ed è intitolata UNPUBLISHED – UNKNOW . Presenta una selezione di lavori ancora non pubblicati. “La domanda che è dietro l’indagine del curatore è: si può affermare che una fotografia che non è stata vista da nessun altro al di fuori del fotografo esiste? Possiamo parlare di un secondo “istante decisivo” dopo quello dello scatto di Henri Cartier Bresson, ovvero quello in cui la foto stessa viene pubblicata? Quindi, più che una mostra di lavori non pubblicati, si tratta di una mostra di lavori non ancora completati, perché dovrebbero ma non hanno ancora superato il passaggio di questo secondo decisivo momento: la pubblicazione”. Una foto viene creata da un selezionatore, un curatore, un blogger o un editore, che sono i decisori per la realizzazione di un progetto. Un progetto non pubblicato non è ancora finito, non ha contesto: esiste in uno spazio vuoto tra reale ed irreale. Tuttavia è la traduzione più diretta dell’affermazione dell’artista senza interferenze e compromessi, quindi la più reale.

Prust ha selezionato più di 90 progetti di diversi fotografi che non sono stati pubblicati per differenti ragioni tra cui i lavori di Sergio Ramazzotti, Alessandro Gandolfi, Alessandro Serranò, Donald Weber, Markel Redondo, Wei Ying Ang, Andrea Predescu, Filippo Massellani, Massimo Mastrorillo, Ann Ackermann, Freya Najade, Massimo Sordi, Anton Kusters, Gianfranco Maggio, Olivier Pin-Fat, Antonia Zennaro, Kosuke Okahara, Roger Guaus.

Per chi volesse saperne di più: fotografiafestival.it

testi di: Alessia Mastriforti

Il gran capo

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Questo è il suo articolo n°3459

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