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Siamo stati al concerto dei Depeche Mode

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Sette mesi fa, luglio. Il mio ragazzo investe sul nostro futuro spendendo una cifra immane per due biglietti parterre del live dei Depeche Mode a Torino. Il 18 febbraio sembrava così lontano, quando ancora le vacanze estive non erano state programmate. Ma, a quanto pare, il tempo è tiranno ed è l’unica cosa che non puoi concederti di prendere con calma. Così il 18 febbraio è arrivato in fretta e furia, tra un brindisi di Capodanno e la consegna urgente di un lavoro.
Non ho avuto modo di sentire il brivido dell’attesa, troppo persa com’ero in futilità quotidiane che ti fanno dimenticare il senso di cose che per te in passato erano fondamentali. Per me in assoluto la musica ha sempre avuto la meglio su qualsiasi altro sentimento.

Stavolta l’emozione che non avevo sentito mi è crollata addosso durante il live. Ce la siamo presi comoda, mangiandoci pure una torta salata. Sarebbe da inserire nella lista delle cose che ti fanno capire che sei alla soglia dei 30 anni: non sfondarsi di hot dog ma gustarsi comodamente un piatto appena sfornato in macchina. La mia me stessa ventenne s’è quasi vergognata, lo ammetto.
E nonostante il break ci siamo trovati a due metri dalla passerella.

Premessa: non sono il tipo di persona che divora video su Youtube, in particolar modo i live, voglio arrivare vergine alla serata, quindi il fatto stesso della presenza di una passerella mi ha subito esaltata: vedere Mr Gahan esibirsi in leziosi balletti di fronte a me è una prospettiva molto allettante.

Intorno a noi l’età media di 45 anni ci fa sognare messaggi da bambini che domandano “Sei arrivato? Tutto bene?”, in un ipotetico mondo in reverse, dove i figli non sanno cosa stiano combinando i genitori. Un universo dove vai con tua mamma a cantare e strapparti i capelli per il tuo idolo. Ho sempre provato un po’ di invidia, per chi può farlo. Forse mia figlia non penserà la stessa cosa, quando mi vedrà pubblicare foto ai concerti dei Blur in prima fila, tra vent’anni. (Nel mio immaginario a 50 anni Damon Albarn sarà un po’ come Mick Jagger).

I The Soft Moon aprono l’evento. Un gruppo post punk da Oakland, che rivisita sonorità anni 80, tipicamente krautrock, in chiave contemporanea. Riempiono i suoni di corpo e aggiungono echi di urla. Vasquez, mente geniale dietro il progetto, ci porta alla scoperta del lato più scuro della luna, alla faccia del morbido. La loro performance è degna del prezzo del biglietto, la scelta di un gruppo spalla così promettente e sconosciuto (nonostante l’album risalga ormai a 2 anni fa) è lungimirante. Non sono dello stesso parere le mamme dietro di noi, loro vogliono le chiappe di Gahan.
Le quali, quando entrano in scena, provocano un boato di quelli che forse solo i boxer di Axl Rose ai tempi d’oro avrebbero provocato. Temo per la mia incolumità fisica, temo che alla prima nota parta il solito tran tran della spinta di massa in avanti.

Depeche Mode
Non succede nulla di tutto ciò. Il pubblico è composto, ondeggia, canta, applaude. La cosa mi strania, siamo sotto palco, dov’è il delirio? Poi sento la voce di quella che potrebbe essere mia madre commentare con un “Oh guarda che culo”, e mi ricordo che in effetti quasi tutti hanno una certa età, ma solo anagrafica.
I primi 40 minuti del live sono frammentati in risa, non avrei mai immaginato che Dave si lasciasse andare ai suoi fan così, ammiccando, lanciando baci, consapevole che ogni sua mossa provocasse sconquassi ormonali. Avrebbero dovuto mettere confessionali per tutti, all’uscita, per i pensieri sconci passati nella testa di donne e uomini. Penso di non essermi mai divertita così tanto a un concerto e per questo devo ringraziare non solo le mosse pelviche del frontman, le sue piroette o l’imposizione delle mani di Fletcher, ma soprattutto per lo scatenato signore che non è riuscito a trattenersi sulle note di Just can’t get enough.

Depeche Mode

Ringrazierei meno il tizio che, capisco le sapesse tutte a memoria e fosse anche intonato, ma mi ha cantato nelle orecchie per la bellezza di due ore. Vorrei spendere tante parole sull’intensità dei visual offerti dal fotografo Anton Corbjin, che ha progettato lo stage, vorrei dirvi che a me piaceva un sacco il bracciale di diamantini di Martin, vorrei parlarvi del fatto che a me non interessa sapere se la scaletta prevedesse novità o meno, perché era la mia prima volta e per la prima volta poter sentire la versione acustica di “Shake the disease” cantata da Martin Gore, così come “Slow”.

Depeche Mode

Vorrei farvi sentire quanto ho stretto il braccio del mio ragazzo su But not tonight, e del groppo in gola che difficilmente ho trattenuto sulle prime note di “Precious”. Vorrei dirvi che non ho urlato di gioia quando è partita “Just can’t get enough”, o che non ho sentito il mio ragazzo dirmi che no, non è tradimento ripetere che Dave è sexy, tanto lui era il primo a sbavare quando quest’uomo sfilava in passerella a petto nudo.

Depeche Mode

Ma vi lascio con una sola immagine.
Il momento in cui ho voltato la testa e ho incrociato il sorriso aperto e sognante di chi mi stava accanto. Ci saranno altre consegne, altri brindisi, altre vacanze, ma quell’istante per me è unico. È la felicità.

Claudia Losini

scritto da

Questo è il suo articolo n°175

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