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TOdays Festival, un week-end da raccontare

Questo lunedì ci si è svegliati frastornati parecchio: come se si fosse corso per chilometri e chilometri, come se si fosse urlato fino a perdere la voce, come se si fosse saltato come mai prima. A guardarsi allo specchio c’è la conferma: sì, il TOdays è appena finito e si portano ancora i segni di polvere tra i capelli e trucco sciolto sulle guance.

Ma che week-end! Uno di quelli che si racconterebbe con entusiasmo nelle prossime settimane, mesi, fino a togliere il fiato agli altri.

 

 

Venerdì 26 agosto il TOdays apre le danze con il meglio della scena torinese, i Pugile e i Niagara, si arriva poi a Spazio211 in tempo per assistere al live di IOSONOUNCANE, che, accompagnato dalla band, ha un effetto ancora più potente e scuro. Che la musica sia una valvola di sfogo si sente, trapela da ogni nota vibrante, e non si può rimanere indifferenti di fronte a tale passione così violentemente espressa sul palco.

L’headliner della serata è uno degli artisti preferiti di questa redazione: M83. Anthony Gonzales e band iniziano con Reunion e Do it, Try it, incastrano alla perfezione i suoni di “Junk” con i vecchi pezzi shoegaze, attaccano con una cassa dritta che scuote il pubblico e lo prepara per una danza, che però non arriverà mai. Purtroppo, diciamolo a malincuore, la stanchezza del gruppo arrivato a fine tour, si nota, in particolare su Anthony, mentre J Laser tiene il palco come un animale dall’inizio alla fine (d’altronde è giovane, si diverte e si vede) e un’ora sola di live, per quanto intensa, spezza l’entusiasmo del pubblico, che se ne va sconsolato dopo parecchie urla di bis.

 

 

Ci spostiamo all’INCET, una ex fabbrica che si trasforma in un grande schermo per la performance di John Carpenter. Impeccabile, un maestro sia nel cinema che nella composizione, ma la parte più interessante è il pubblico, in visibilio su tutti i brani: il boato che esplode su Grosso guaio a Chinatown  e su Essi vivono risuona su tutte le pareti della fabbrica.

Sabato è il giorno della resa dei conti con i Jesus and Mary Chain. Il live del 2013 al Primavera Sound aveva lasciato l’amaro in bocca, per quanto avessero suonato tutti i più grandi pezzi, vedere il gruppo così spento, trafiggeva il cuore. Queste sensazioni contrastanti vengono spazzate dalla potenza sonora degli Stearica, uno dei gruppi più preziosi della scena torinese. Piace tutto degli Stearica: la batteria aggressiva e prorompente, le cavalcate sonore, anche l’ironia di Davide Compagnoni che con le sue battute rende il live più “umano”. Per la carica, la potenza espressa senza troppi fronzoli e la bravura con cui si esibiscono sul palco meriterebbero un posto d’onore in line up subito prima dei Jesus.

 

 

Sale sul palco Motta, che per quanto abbia un grande impianto sonoro al seguito non convince pienamente. Un cantautore deve parlare al cuore per colpirmi, e lui vorrebbe, ma non ci riesce pienamente.

Ed eccoli. I Jesus and Mary Chain. Un inizio spaventoso con Reid che non riesce a sentire la sua voce, si teme il rischio abbandono palco, si scappa dalla zona fotografi quasi in lacrime, sigaretta accesa, si trema anche un po’. Il live comincia, il gruppo si riprende, due signori stanno ballando felici e urlano ogni strofa. Forse stavolta è la volta buona, ci si  abbandona ai suoni devastanti del gruppo. E su Just like Honey si è in pace con gli scozzesi e si può volare al museo Ettore Fico per la performance di Atom e Mr Fox, Double Vision, un gioco di luci che si spande a 180° su tutte le bianche pareti del museo, incantando il pubblico seduto a terra.

 

 

Si arriva all’INCET per sentire l’ultima parte del concerto de ICani: l’accoglienza la fa un coro unico, stanno cantando Le coppie, ragazzini limonano senza sosta, Contessa si lancia sul pubblico, due ragazzi urlano “i dischi i videogiochi e basta!”, guardandosi intorno, e improvvisamente è tutto chiaro. Le sue parole, il suo successo, tutto. Bevendo un vodka lemon ci si ubriaca come se si fosse astemi, in tempo per il live dei Soulwax. Un allestimento simile sul palco non si era ancora visto quì, per un gruppo che fa elettronica, soprattutto tre batterie. Tre. E capiamo subito il motivo: Igor Cavalera è sul palco con i fratellini belgi, e comincia un live mostruoso composto, tra le altre cose, di sfida  a colpi di rullante tra le batterie. Non sono i Soulwax che ricordavamo, battono ogni più lontana aspettativa, il pubblico poga! E quando parte NY Excuse si ha la netta sensazione che i pilastri dell’Incet possano cadere per la foga del pubblico.

Domenica pomeriggio il sole picchia sulle teste, mentre, in silenziosa processione, ci si reca al parco Aurelio Peccei. Un posto che sembra provenire da un film: una costruzione desolata circondata da prati, bambini che giocano e ragazzi che fanno attività fisica. Intorno, i condomini e i Docks Dora. Elio Germano legge passi di Viaggio al termine della notte, Teho Teardo lo accompagna insieme a due violiniste e una violoncellista. La folla, stretta nelle zone d’ombra che questa desolata casupola offre, è ammutolita. Dei ragazzini in lontananza ridono e non ascoltano. La voce di Elio crea un’eco assordante e non fa più così tanto caldo. Un’ora e mezza che dura un momento, e che termina con una standing ovation per gli artisti.

 

 

Allo Spazio211 invece l’atmosfera si surriscalda quando sul palco salgono i Crystal Fighters. Un vero e proprio show dove un santone a piedi nudi, sonagli alle caviglie e incenso tra le mani canta con la chitarra insieme a due coriste che fanno anche da portabandiera su un palco riempito di edera finta e fiori. Ma non era un gruppo che faceva un’altra elettronica? (Dal brano “I love London” si presupponeva altro) e invece ci si ritrova in quest’orgia di pace, amore universale, cori e tanto, tanto divertimento. Qui sudano anche le sopracciglia, mentre si salta fregandosene del fatto che, a chi vi scrive, si vedano le mutande!! Urlando e alzando le mani a forma di cuore per questo gruppo che per un’ora fa dimenticare tutto e fa ricredere sulla cattiveria umana.

In tutto questo delirio, i Local Natives purtroppo scivolano lentamente nel dimenticatoio. Un live che fa lo stesso effetto dei Temper Trap: carino, pop, un bel finale distorto che però non basta a farci cambiare idea sul fatto che manchi quel qualcosa in più per renderlo ben riuscito.
Una menzione d’onore spetta invece al tamburellista dei The Brian Jonestown Massacre: abbiamo speso i primi 20 minuti ad aspettare che facesse qualcosa, come cantare, suonare  qualcos’altro, e invece si scopre poi che il suo ruolo è proprio quello. Psichedelici al punto giusto, per rimpiangere di non essere hippie come la ragazza che balla a fianco…

 

 

I Goat chiudono il festival, e non potrebbe esserci chiusura migliore. Dalla Svezia all’Africa, un viaggio mistico guidato dalle due cantanti in tunica e maschere ipnotizzano il pubblico che balla come in trance. Il loro live è un vero e proprio rituale sciamanico che fa credere di essere su un altro pianeta, o di essere impazziti, tutti. Seguendo le movenze delle braccia che stringono tamburelli, sonagli e maracas: un’esperienza così surreale non si vivrà ancora tanto facilmente. Se sono una setta religiosa, hanno appena conquistato una nuova adepta, che firma questo articolo! Il live finisce e si abbandonerebbe tutto, quasi con certezza, per  per suonare con loro.

 

 

Quindi capite, se c’è un po’ di frastornamento: in tre giorni si scopre musica nuova, si stravolgono convinzioni musicali personali, importanti! Si è vissuto in svariati film e s’è ballato sfogando tutta la negatività. Domani si torna alla solita routine, ma oggi ci si sveglia felici. Todays Festival, continua così e diventerai qualcosa di davvero grandioso, come stai già dimostrando di essere.

 

TOdays Festival | sitofacebook

Claudia Losini

scritto da

Questo è il suo articolo n°175

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