Vuoi essere informato sui nostri Ticket Deals?
Iscriviti alla nostra newsletter.

* obbligatorio
Close

Tracey Emin a Roma

Si parla di:

La storia è questa: nel 1988 Damien Hirst è ancora al Goldsmiths College e organizza una mostra coinvolgendo i suoi compagni di accademia. La mostra si chiama Freeze e diventa l’evento artistico più importante degli ultimi 30 anni, dando vita a quelli che sarebbero rimasti gli Young British Artists pure all’età di 50 anni. Gli yBa – si racconta – sono ragazzacci rudi e maneschi cui piace fare arte perché è un modo per fare un sacco di soldi, essendo questo a sua volta un modo per divertirsi a suon di coca e cadaveri.

Tracey Emin

Nel 1997 gli yBa fanno una mostra alla Royal Academy of Art, che è tipo come essere retwittato da Jovanotti: se succede vuol dire che sei uno di quelli che contano. La mostra si chiama Sensation, fa 300.000 visitatori solo a Londra (viaggia in tutto il mondo) e viene recensita dal Corriere della Sera con “Che schifo quest’arte”. L’opera che sembra far discutere di più è però una tenda da campeggio al cui interno sono cuciti dei nomi di donne e di uomini. Si intitola Everyone i have ever slept with, e l’artista è Tracey Emin.

 

Da allora Tracey Emin è diventata una superstar dell’arte, ha curato il matrimonio di Kate Moss e ha esposto il suo letto – si, quello vero – ornato di preservativi usati e assorbenti colorati e tutte quelle altre cosine che servono alle ragazze punk per eccitare i rugosi mercanti d’arte (My Bed, 1999). Eppure Tracey Emin non è solo una ragazza punk, e la mostra alla galleria romana di LorcanO’Neill lo dimostra bene. Piuttosto che esaltarne i lati estremi, infatti, la mostra offre i lavori più recenti della Emin, opere che se da una parte si pongono in continuità con la crudezza e le tematiche (l’unione di sessualità e fragilità) del passato, dall’altro fanno a meno del medium di uno stile provocatorio ed estremamente spettacolarizzato e si mostrano in quella che potrei definire una completa nudità.

A parte per i neon (bellissimo quello intitolato The kiss was beautiful), infatti, proprio la nudità è al centro dell’esposizione: che sia cucita su enormi composizioni di tessuto o schizzata su piccoli fogli di carta, la figura di nudo femminile resta protagonista. Spesso sdraiate, ancora più spesso allusive ad una possibile sessualità privata di ogni pretesa disneyana, le donne della Emin dimostrano una fragilità che poco ha a che fare con quello stile da Renegade lesbo che si è sempre preferito disegnare addosso all’artista britannica: “Molti credono che io lavori soprattutto sul dolore e la paura,
 ma non è vero. In realtà io odio la paura e l’oscurità. Sin da quando ero bambina sono stata perseguitata dall’oscurità. Ora la paura mi appare come un’immagine alla quale mi sento fortemente attratta”.

C’è un’opera, in particolare, che ho notato: è un piccolo disegno su cui è schizzata, in blu, la pietà di Michelangelo. E’ l’unico disegno in cui compare un uomo, ad eccezione di un altro in cui c’è una figura che piange sulle ginocchia di un’altra titolato You Cried. Ora, io non sono un criminologo a Porta a Porta, dunque posso esimermi dal cercare delle motivazioni psicologiche ma è difficile non notare che le uniche figure maschili siano un figlio morto e un tizio sofferente e la donna associata ad essi sia madre e consolatrice. La donna, nelle opere di Tracey Emin, può permettersi di soffrire solo quando è sola: “C’è violenza nel mio lavoro, soprattutto violenza contro le donne. Molti sono stati crudeli con me perché sono donna. Sono stata violentata a tredici anni da un ragazzino poco più grande di me. Si dovrebbe parlare più spesso di queste cose”.

Ma c’è dell’altro: c’è che la donna Tracey Emin può permettersi di soffrire attraverso l’arte. Le sue creazioni le danno modo di esprimere ciò che i servizi di Nonsolomoda non permettono mai: smettere di essere punk, essere sincera, essere indifesa come può esserlo una donna e un’artista, una donna artista. Fare arte è un modo di parlare di quelle cose di cui non si può parlare altrimenti, fare arte può salvare. La mostra, naturalmente, si chiama “You Saved Me”.

Per saperne di più:

 

www.traceyeminstudio.com

 

www.saatchi-gallery.co.uk/artists/tracey_emin.htm

 

 

 

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

Sullo stesso genere:

Community feedback