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Work will make you free: Rub Kandy e l’Olocausto

Non credo che Rub Kandy si aspettasse di sollevare un polverone mediatico del genere mentre installava la sua ultima opera a Roma. Non credo neanche che questo fosse il suo vero scopo, perché seguo il suo lavoro da tempo ed ogni sua installazione è pensata seguendo quella stessa logica che traspare dietro la scritta “Work will make you free”. Credo invece che facesse comodo a qualche politico trovare un argomento per distrarre l’opinione pubblica dal misero spettacolo che la classe dirigente di questo paese mette ormai stancamente in scena ogni 25 aprile. La durezza delle accuse mosse all’autore della scritta è stata però tale da indurmi a scrivere questo articolo, se non altro per ricordare che nell’interpretare un’opera d’arte non si può prescindere dal significato che le attribuisce chi la crea.

foto Mario Proto (Corriere della Sera)

Andiamo con ordine. Rub Kandy installa la sua opera su un ponte pedonale che collega la Circonvallazione Casilina al quartiere Pigneto nella notte tra il 24 ed il 25 aprile. La scritta, lunga circa quattro metri, traduce in inglese e con un font moderno l’insegna che campeggiava all’ingresso di numerosi campi di concentramento nazisti “Arbeit macht frei”. La polizia interviene già di prima mattina, non appena l’installazione viene scoperta, e la ritira immediatamente. Nel frattempo, però, la notizia inizia a circolare sui siti internet di numerosi giornali. Tutti, nessuno escluso, vedono nell’opera una provocazione organizzata da un militante di estrema destra per contestare la festa della Liberazione. Uno striscione con tanto di stella a cinque punte, firmato “Comitato no morti lavoro”, che nulla ha a che vedere con l’installazione di Rub Kandy, compare sul ponte a complicare il tutto. Scattano, immediate, le condanne da parte dei politici. Tra i tanti, riportiamo il giudizio del sindaco di Roma, Gianni Alemanno : “Esprimo la mia solidarietà alla comunità ebraica e mi auguro che siano individuati subito i responsabili, che meritano tutto il nostro disprezzo”.
Posto quindi che per 24 ore si è sprecato fiato inutilmente, vale forse la pena adesso provare a parlare dell’opera e del rapporto che intrattiene con la memoria dell’Olocausto. Occorre infine valutare come la street art abbia messo a nudo il meccanismo perverso con il quale la classe politica italiana ha minato alla base, nel giro di pochi anni, il senso profondo della Festa della Liberazione.
La scritta “Work will make you free” diffama la memoria dell’Olocausto? Io dico di no o, almeno, non la diffama più di Inglourious Basterds, l’ultimo film di Quentin Tarantino, che alcuni hanno giudicato frettolosamente una parodia insensata della Seconda Guerra Mondiale. La scritta di Rub Kandy si riapproria di questa memoria, la distorce, ne fornisce una versione in inglese e con un font capace di catturare lo sguardo del passante contemporaneo. In pratica, “Work will make you free” riattiva la Storia, si interroga di fronte ad essa e non manca di rispetto all’Olocausto, perché è essa stessa una riflessione sugli Olocausti contemporanei, sui campi di concentramento nei quali si rinchiudono gli immigrati, sui carceri di Guantanamo e sui tanti altri Olocausti che neanche finiscono sulle pagine dei nostri giornali.

Alcuni lavori firmati dall’artista romano Rub Kandy

Inoltre, se è vero che la scelta del 25 aprile è stata casuale e dettata da problemi pratici nei quali gli street artists incappano un giorno sì e l’altro pure, è anche vero che la scritta “Work will make you free” mette a nudo il vuoto retorico dei tanti discorsi che la classe politica italiana ripete stancamente – salvo rare eccezioni – sui palchi allestiti in occasione della Festa della Liberazione. Quella scritta osa, come ha osato Tarantino con il suo film, ricordarci quanto sia urgente ripensare nuove forme di trasmissione della memoria dell’Olocausto. Ci ricorda che dobbiamo essere capaci di far percepire l’assurda crudeltà della Storia anche a quelle generazioni che non conosceranno mai un sopravvissuto di un campo di concentramento e che scopriranno l’Olocausto solo grazie ai libri di storia.
Ripetere stancamente ed a memoria la Storia, salendo su un palco una volta l’anno, è il modo migliore per dimenticare la sua lezione nell’arco di poche generazioni. Paradossalmente, è proprio questo che i politici italiani fanno ed è quindi normale che la via proposta da Rub Kandy li scandalizzi. La sua installazione è invece un’alternativa vera alla stupidità di un ceto politico cieco di fronte alle esigenze della Storia.

Testi di Christian Omodeo.

Per chi volesse saperne di più: rubinetto.blogspot.com/

Jacopo Manganiello

scritto da

Questo è il suo articolo n°5

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