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Baths | Ocean Death

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Niente a che vedere con il primo Baths. Dimenticate le atmosfere lucenti di “Lovely bloodflood”, “<3” e tutto il resto. Dopo il passaggio delicato di Obsidian, Will Wiesenfield oscura definitivamente i cieli limpidi di “Cerulean” e ci porta sulle rive di un mare nero, profondo e sconosciuto come la morte. “Ocean death” ha le onde nere di una tempesta in arrivo e la voce si perde nell’eco di una cavalcata sonora in bianco e nero, come la copertina.
Ed è proprio la morte che domina le atmosfere del disco. Non è più una morte individuale, come quella affrontata nel precedente e intimo “Obsidian”, scritto dopo aver scoperto di avere la E.coli: qui viene intesa come decadenza del tutto, come quella sensazione concreta del mondo che collassa e finisce. E Baths la affronta con i toni cupi di “Ocean Death”, con quelli delicati come un tocco sulla pelle di “Fade White”, con il calore di “Voyer”, con la rassegnazione di “Orator” e con la consapevolezza fredda e matura di “Yawn”.
Passando in rassegna le tre produzioni di Baths affronti un percorso verso l’infelicità, il dolore e la realizzazione dell’ineluttabilità del destino umano.
Non è un disco facile da digerire, se si è in un periodo sbagliato. Tuttavia, è tragicamente curativo e porta un sollievo inaspettato.

 

 

 

 

 

 

Baths | facebooksito

 

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Noi ascolteremo ogni beat, sentiremo ogni singola nota
e magari ci facciamo scappare un Beans.

Claudia Losini

scritto da

Questo è il suo articolo n°175

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