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Berliner Kunstsalon, cronache da una fiera d’arte berlinese

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Quante cose può contenere un capannone appena fuori dal centro di Berlino? Tante. Siamo a Wedding, quartiere dove si impara la dipendenza dall’estatica zuppa di lenticchie alla turca ed il grigio dei palazzi mette in risalto i veli colorati che coprono i capelli delle ragazze.
L’Uferhallen è nascosto tra edifici ed alberi, bisogna sapere dov’è altrimenti non lo trovi. Come tanti posti qui a Berlino.
E’ qui che si è tenuta l’ottava edizione del Berliner Kunstsalon, una fiera di artisti emergenti basati a Berlino, che ospita di tutto.

foto di Maria Josè Germano

Il vernissage è forse il momento migliore per cogliere lo spirito di un evento d’arte, sbirciare attraverso i bicchieri le opere esposte, il modo in cui la gente vi si approccia ed in molti casi la gente stessa, che può essere un’attrattiva non inferiore alle istallazioni appoggiate a terra. La gente qui è assurda e meravigliosa. Come tante cose qui a Berlino.
Giovani mamme con carrozzine vintage, coppie bohémien con cani al seguito, hippies sessantenni con bottiglie di birra semivuote al seguito. Perché dopotutto “dopo la seconda birra è tutto più interessante” (cit.).
Non c’è un percorso da seguire né un ordine tematico, 2550 metri quadrati per un totale di sessanta artisti, espressioni accostate l’una all’altra come i bastoncini dello shangai.
Due dj si danno il cambio alla consolle difronte all’entrata ed inizio a praticare un po’ di sano bighellonaggio tra gli espositori. Ma proprio di tutto.

foto di Maria Josè Germano

Le foto notturne di Matthias Schade, a metà tra still life e fotografia di architettura, gli altorilievi di carta ritagliata di Anett Lau, le pin up ignare e provocanti immortalate nella casa di bambola di Torsten Solin.
Poi le immagini della performer Chiara Mazzocchi, dove il viso nascosto da indumenti femminili coincide con l’alienazione del quotidiano. Le istallazioni di Nina Schoenfeld che assembla pezzi di mobili vecchi creando monumenti commemorativi per la società degli sprechi. Artisti provenienti da Germania, Polonia, Italia, Corea che vivono a Berlino o espongono nelle piccole dinamiche gallerie della città.

foto di Maria Josè Germano

Una tra queste, l’italiana Cell63, propone un ventaglio di artisti tra pittura, grafica e illustrazione tra cui spicca Francesco D’Isa, il santo patrono dei Pornsaints. Continuo lo slalom tra gli hipsters fluorescenti e attraverso le istallazioni-labirinto di fili di lana e luci al neon di Jeongmoon Choi, i collage di stoffa di Ulrike Stolte, le maxi tele di Raymond Unger, ritratti sorridenti con teste spaccate da asce.
E se mancano concettualismi c’è Paul Rascheja che sminuzza in microstrisce 2.000.000 euro (pare vere banconote), li infila in una colonna di plexiglas e la intitola “2.000.000 euro”. Nel frattempo un tipo con occhiali da sole ed elmetto giallo sormontato da videocamera si aggira tra la gente, è Berliner Kunstkontakter aka Konstantin Schneider, documentarista dell’arte divenuto famoso per le interviste e gli outfits poco discreti. Ma proprio proprio di tutto.
Con la borsa zeppa di bigliettini e brochures come uscita da un negozio di caramelle esco nel buio dello spiazzo che ora è color ruggine. Un gruppetto seduto per terra organizza un vodka orange fai-da-te per continuare la festa fuori. Doveroso.

la Germanz

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Questo è il suo articolo n°102

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