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Live report: Late of the pier, circolo degli artisti, 8 novembre 2008

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Il Circolo degli artisti non ha di certo bisogno di presentazioni: la qualità dei live, la scelta sempre conveniente dei gruppi, l’arguzia nello scovare le band emergenti con un futuro assicurato, un calendario ricco, eterogeneo e mai banale, lo rendono una delle location più ambite dai gruppi italiani e non. Suonare al Circolo è una sorta di consacrazione, una tappa fondamentale per entrare a far parte del “ristretto” cerchio degli artisti, appunto.
Proprio questa fiducia “a prescindere”, a braccetto con tanta curiosità, mi hanno accompagnata al concerto dei Late of the pier, band inglese rivelazione degli ultimi mesi.

Ciò che mi aspettavo non era di certo una fila così lunga all’ingresso, un locale gremito, per lo più di ragazzini, e un supporto canoro da parte del pubblico per tutta la durata del live.
E’ evidente che sono la sola ad aver visto un solo video del gruppo e a conoscere al massimo due motivetti.
Purtroppo mi perdo il gruppo spalla, il parcheggio a Roma il venerdì sera è una piaga.
Quando i quattro ventenni iniziano a suonare si scatena letteralmente l’inferno: ai primi suoni delle tastierine e a supportare i giri di basso dall’andamento punkeggiante, un pogo impetuoso travolge immediatamente i quattro metri adiacenti al palco!
Frequenti cambi di tempo, sfuriate che durano meno di un minuto, accostamenti strumentali tanto improbabili quanto riusciti (sintetizzatori ribelli e percussioni di legno appese a fili volanti!), sono gli ingredienti fondamentali di un sound ben studiato ed innovativo.
Considerati da molti i diretti discendenti dei Klaxons, i Late of the pier, nonostante la giovanissima età, hanno fatto tesoro delle esperienze post-rock degli anni ’70, hanno studiato bene i primi connubi tra musica elettronica e rock, reinterpretando il tutto con la freschezza, la grinta e l’entusiasmo propri della loro età.

La poca esperienza si nota, ma, a mio avviso, va considerata come un elemento vincente e genuino; la presenza scenica dei quattro inglesini infatti non prevede atteggiamenti da star forzati e studiati per ore davanti ad uno specchio o ad un esperto di comunicazione visiva, ma sembra davvero di assistere ad una performance in sala prove ideale per scaricarsi e scatenarsi.
Rispetto all’album il live concede sfumature più punk e ritmi più incalzanti, mentre nel disco i suoni elettronici fanno da protagonisti.
Unico neo la brevità della scaletta che non copre un’ora di spettacolo, effettivamente i Late of the pier possono contare su un solo album uscito da poco, così che dopo 40 minuti lasciano il palco impossibilitati a concedere bis.
La franchezza e la sincerità con cui lasciano lo stage piace sicuramente più di una cover forzata e banale preparata tanto per allungare il brodo!

– Giuditta Albanese

Il gran capo

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Questo è il suo articolo n°3459

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