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L’Optimus Primavera Sound è il profumo della vita

Che la prima edizione dell’Optimus Primavera Sound, versione portoghese del favoloso festival di Barcellona, fosse segnata da un po’ di sfiga già me n’ero accorta. Con le cancellazioni prima di Bjork poi degli Explosions in The Sky mi rimangono giusto tre gruppi che desidero tanto vedere live. La cornice in cui si svolge il Primavera è quella del Parque da Cidade, a mezz’oretta di metro dal centro di Porto, quindi facilmente raggiungibile (un po’ meno via bus, dato gli orari più che flessibili delle varie linee), e costeggiato dall’oceano. Non posso che ben sperare da una tal premessa: sole, un prato su cui stendersi e il mare all’orizzonte.

 

foto di Hugo Lima

 

Si capisce subito la dimensione umana del festival: l’orario è dalle 17 in poi e i palchi sono piccoli e stranamente molto vicini tra loro, questo ci spiega come mai gli headliners suonino a ore di distanza: dei due principali, un palco deve essere per forza di cose spento mentre l’altro è in funzione, ma questo ti permette di non fare kilometri per spostarti.

 

The Right Ons- foto di Nuno Fangueiro

 

Il giovedi dobbiamo fare la spola tra i due palchi principali ed è buffo vedere mandrie di persone spostarsi continuamente da destra a sinistra. Yann Tiersen vince il premio di giovane dentro e fuori, con un live molto più elettronico di quanto pensassi. Atlas Sound è malato abbastanza da farti capire che potrebbe benissimo essere nella sua stanzetta a giocare con le loop machine piuttosto che di fronte a un pubblico. I Mercury Rev riempiono a dovere il vuoto lasciato dai texani Explosions e i Rapture possono dirsi i veri rocker della serata. Una nota per gli Stopestra: un’orchestra di non ho idea quante persone tutte coordinate alla perfezione e assurde.

foto di Hugo Lima

 

Il venerdì un elenco di nomi: Yo la tengo, definito da molti il miglior live a cui abbiano mai assistito e in effetti è qualcosa di fenomenale; Rufus Wainwright che si conferma una diva d’altri tempi; i Flaming Lips, per i quali ogni commento è superfluo; e gli M83, sarò di parte ma sentire come rivoluzionano i loro pezzi in chiave elettronica mi ha aperto il cuore.

Vorrei spendere un paio di parole sui Beach House, i fenomeni dell’anno si rivelano noiosi e piatti ma nonostante ciò il club stage è saturo di teste; e sui Neon Indian che, con tanti problemi tecnici e un live meno entusiasmante di quel che ho sentito a Torino, mi fanno perdere i Wilco.

 

Atlas Sound foto di Hugo Lima

 

Il sabato una torrenziale e annunciata pioggia abbatte il morale generale, nonostante questo trovo molto divertenti gli spagnoli Mujeres, fortunati a suonare nell’unico palco coperto da un tendone e quindi sorpresi per l’enorme pubblico radunatosi lì sotto.

Questa condizione meteorologica abbatte anche l’organizzazione: alle 8 di sera il palco “Primavera” è un lago. E io, insieme a una ormai gremita folla, stiamo attendendo con ansia l’inizio dei Death Cab For Cutie. Ora mi chiedo io: in un festival che comincia alle 5 del pomeriggio, quando sta diluviando dall’1, devi proprio aspettare 6 ore prima di mettere in salvo gli impianti ormai zuppi e farlo nel bel mezzo del programma? Risultato: il concerto dei suddetti inizia a ritardare prima di un quarto d’ora, poi di mezz’ora, infine alle 9 c’è l’annuncio del forfait della band. Quindi tanta carogna per me, che nel mentre ho perso Tennis e gran parte di Spiritualized, ma soprattutto verso l’organizzazione che non può imbastire un festival e incrociare le dita sperando che non piova o che un gruppo non abbia aerei da prendere se si ritarda il tutto. Ovviamente per la legge di Murphy dopo l’annuncio ha smesso di diluviare.

 

Best Youth - foto di Hugo Lima

 

Mi consolo con gli I Break Horses, un live emozionante e intenso, seguito poi da un meno intenso live dei Weeknd (il genere proprio non fa per me). I Kings of Convenience vincono il premio dei più antipatici del festival e alla loro battuta “potete spegnere l’altro palco che non riesco a suonare?” decido che è ora di andare giust’appunto dai disturbatori Dirty Three che suonano in contemporanea. Washed out, che depressione: pensavo di non trovarmi di fronte a un gruppo synth pop anni 80 dopo aver sentito il disco. Torniamo al palco principale per gli XX, che violentano i loro pezzi rendendoli sì ascoltabili, ma troppo lenti per l’orario (le due del mattino). John Talabot chiude il mio festival facendomi sognare tantissimo, un live durato troppo poco e ottimo.

 

The Drums - foto di Hugo Lima

 

Saltiamo la domenica, perchè essendo a numero chiuso il sabato avremmo dovuto fare una indicibile coda (sotto la pioggia) per accaparrarci i biglietti: avrebbero potuto completare la serata di giovedi con questi gruppi invece di costringere la gente a perdere in fila parte del sabato e a una scelta obbligata di ciò che avresti sentito il giorno successivo onde evitare l’esaurimento immediato dei posti. Altra pecca in un festival che ha un sacco di potenzialità, ma deve indiscutibilmente migliorare questi aspetti per il prossimo anno.

Claudia Losini

scritto da

Questo è il suo articolo n°175

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