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Sul futuro dei Breton

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Torino è sempre stata una città che ho considerato viva e pulsante soprattutto sotto l’aspetto musicale: ancor prima di trasferirmi qui frequentavo ogni anno il Traffic e lo Spaziale. Ma purtroppo in Italia si sa, ci sono sempre meno fondi da investire in attività culturali e a risentirne sono di solito festival che un tempo erano grandi. Stando a questo presupposto una rassegna come quella di Spaziale Emersione, che ha avuto in lista nomi quali Mogwai, Tame Impala, Sonic Youth e Wilco (e potrei citarne tanti altri) quest’anno ci propone una line up in cui si punta, oltre che ai nomi internazionali ma di richiamo minore, a tanti italiani. Tra gli stranieri al vertice della fama troviamo i Nouvelle Vague (9 luglio), Kurt Vile e Breton (5 luglio): interessanti scelte, che sicuramente non fanno perdere valore  a un locale come lo Spazio 211 che a Torino ha fatto la storia della musica alternativa.
Giovedi 5 arrivo tardi, giusto in tempo per sentire le ultime note della band di Kurt Vile: peccato, maledico la mia giornata sfortunata e mi preparo ai Breton, che a quanto pare sono una nuova, succulente band inglese fatta apposta per ballare.

 

Come al solito a me piacciono le novità, e quindi ben volentieri mi presto a sentire anche questo gruppo. Una nota positiva prima di addentrarmi nelle mie elucubrazioni: il fatto che un gruppo che all’apparenza fa semplice elettronica si presenti e suoni live con batteria, chitarra, basso e synth vari acquista decisamente punti. E i visual: se ci sono e sono fatti bene, e in questo caso erano prodotti tutti dagli stessi Breton che a quanto pare hanno un collettivo che si occupa anche di ciò, apportano valore ai fini dell’esperienza.
Il concerto per una buona metà è troppo piatto: loro sono così ordinati e statici che mi sembrano i figli di Maxwell della Tata più che un gruppo che sta sputando fuori bassi a ripetizione, ma gli ultimi 3 pezzi mi fanno risvegliare le gambe dall’intorpidimento: il ragazzino più perbene (sta suonando con una polo indosso) si scatena inizia a ballare si butta ad abbracciare qualcuno tra il pubblico. Insomma: inizia a far festa. Il mio ragazzo nel mentre mi domanda scettico dove stia l’influenza punk di cui aveva letto su una loro recensione. Come non detto: all’ultima canzone parte un pogo scatenato da parte di un gruppetto incitato a giungere sotto il palco per celebrare il degno finale. “Eccola, l’influenza punk.” Della serie se nel 1998 pogavi con i Punkreas oggi per questo c’è l’electroindie. Non stupiamoci se poi trovi il pogo anche per gli Arcade Fire (provato su pelle).
A parte la dubbia scelta di mettere il pezzo più riuscito, un crescendo ottimo che nel finale esplode in batteria e synth, a 20 minuti dalla fine, il concerto di per sé è orecchiabile nonostante lasci il tempo che trova a livello di contenuti.

Quindi passerò a illustrarvi i miei dubbi, sorti all’incirca dopo 4 minuti dall’inizio del concerto. Parliamo di questi ragazzi che hanno avuto la fortuna di crescere in un ambiente musicale florido come Londra e suonano bene, ma a conti fatti le loro canzoni sono la classica formula dell’electro indie che spazia e aspira a nomi come Bloc Party e Lcd Soundsystem. Che per carità, percorrere una strada perseguendo l’obiettivo di diventare il nuovo James Murphy mi sembra cosa buona e giusta ma il rischio è quello di cadere nel baratro della banalità. Del già sentito, del “assomigliano ai Bloc Party” ma che diamine, ci somigliano perchè fondamentalmente già esistono e quindi dove sta la novità con loro?
Tra quanti mesi potrò dire di essermi dimenticata del loro live? Sono un ottimo corredo a band come gli Hot Chip, assieme ai quali hanno suonato a Milano, ma come headliner un po’ stonano, la consistenza delle loro canzoni non mi sembra adatta a perdurare negli anni, così come ritengo che le hit di Grimes si perderanno nel vento della prossima moda. E quindi a quanti dischi sopravviveranno?
Nel 2005 c’erano i Klaxons, e di strada come ben sapete ne hanno fatta così tanta da trovarsi nel 2011 a suonare ancora gli stessi pezzi, incastrati in un loop di hype ormai passato da cui non si sono mai emancipati. E il loro tempo, si sa, è già finito.

Nel 2012 ci sono i Breton, che, nel calderone degli innumerevoli gruppi elettronici, indie o postindie hanno avuto modo di venire fuori perchè si, concediamoglielo, sono bravi a tenere insieme un concerto, ma tra quanto ci saremo dimenticati di loro? Li ritroveremo tra due o tre anni a fare la fine degli XX a cantare sempre la loro hit senza progresso alcuno? Staremo a vedere.

 

Claudia Losini

scritto da

Questo è il suo articolo n°175

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