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Le palazzine hanno gli occhi

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In diversi anni di permanenza a Roma ho visto molti appartamenti universitari. Molto spesso luoghi precari, generalmente non molto curati eppure grondanti di un’atmosfera festosa, piacevole. Una delle cose che ha sempre destato in me una forte impressione è il contesto urbano nel quale la maggior parte di questi si trovano. Per chi vive a Roma, infatti, risulterà agevole richiamare alla mente l’immagine delle mastodontiche selve urbane che si stagliano lungo quei quartieri a grande prevalenza universitaria come ad esempio il Tiburtino o Casal Bertone. Di questi paesaggi infarciti di palazzoni Roma ne è piena. Cresciuti copiosi per lo più verso gli anni ‘60/’70, sull’onda del boom economico,  questi hanno dato un’identità a interi quartieri, senza seguire le più basilari norme urbanistiche, né tanto meno estetiche.

I palazzi hanno gli occhi

Il condominio in cui abito è un fulgido esempio di ciò che descrivo sopra.  Attorniato da alte facciate di palazzi che oscurano la luce del sole, l’appartamento si affaccia su di un perimetro fortemente irregolare in cui rampe, terrazzi, lenzuola e stracci si mischiano in un’impressionante mescolanza di vita urbana. Ma un paesaggio che agli occhi dei lettori può sembrare il più caotico e meno poetico in cui ci si possa affacciare, dopo anni di faticoso abituarsi alla sua presenza, può tirare fuori, un po’ come tante cose brutte, un suo lato che seppur recondito sa destare profonde osservazioni.

I palazzi hanno gli occhi

La sensazione è, infatti, quella di affacciarsi in un anfratto di vita vissuta, reale. Il senso claustrofobico può equivalere ad un senso di rara vicinanza. All’interno delle cucine la vita si spegne e riaccende scandendo con precisa regolarità le fasi del giorno, finestre lasciate aperte lasciano intravedere un ragazzo che, senza pudore gira per la sua stanza in mutande in cerca di qualcosa, con un immancabile laptop sul letto. La signora ai piani superiori stende le lenzuola mentre nel balconcino affianco una signora anziana, volgendoti uno sguardo interrogativo, pare chiedersi insieme a te cosa siano quelle impalcature che stanno prendendo forma, colossali, a ridosso della facciata del palazzo di fronte.  Il silenzio si staglia improbabile nell’area, cani abbaiano in lontananza e uccelli fischiettano indomiti volteggiando nel quieto pomeriggio.

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La calma di questa città si racchiude tutta in questo flemmatico muovere avanti. Una finestra decorata lascia intravedere i bambini che furono,  una moto di grossa cilindrata fa tremare il perimetro brutto. Parcheggi sotterranei entrano nelle viscere dei palazzi, un ufficio spunta nel bel mezzo di un groviglio urbano degno di un’opera di Escher. Ringhiere e balconi comunicano tra di loro, una signora avanza sul suo terrazzo per innaffiare una lunga fila di piante, il cielo volge all’imbrunire, le finestre riflettono gli ultimi scampoli di luce. Addirittura si intravede un gatto equilibrista e spericolato che cammina sul ciglio di una ringhiera, alla sua sinistra uno strapiombo di sei piani. L’immagine mi cattura e mi incute timore.

Ad un certo punto la calma apparente viene rotta per la seconda volta da un meccanico che come Caronte, è condannato a vivere la sua intera esistenza nel sottosuolo di uno dei due parcheggi immensi sopra descritti. La sua voce roca e senza passione  esprime risoluta comandi essenziali in perfetto dialetto romanesco.  I palazzi hanno gli occhi

La calma è rotta, almeno per un istante. Cala la notte. Un faro proveniente dalla costruenda impalcatura  rende ancor più irreale questo trionfo di cemento. Le cucine si illuminano tutte e le case prendono parte del festoso rito della cena. Affacciato dal mio balcone mi sembra di trovarmi in ognuno delle decine di balconi, lì a ridosso della cucina, ad osservare senza inibizioni.

 I palazzi hanno gli occhi

Ho scoperto recentemente che la cosa mi piace molto. Con un passo posso abbracciare una grossa fetta di vita reale, osservare accanto a me persone assorte nella loro vita. Una risorsa, una fonte di osservazione che mi riconcilia col mondo, rincuorandomi del fatto che l’invasione della tecnologia ancora non ha intaccato certa romantica semplicità del vivere.

Stefano Paris

scritto da

Questo è il suo articolo n°21

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