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L’insostenibile pesantezza della conversazione post-amplesso

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È inevitabile che succeda, prima o poi. La falla, la crepa si formano quando meno te lo aspetti, quando pensi ad altro, quando dimentichi il bollitore acceso, perché magari sei alle prese con quella parola da tradurre, che dentro ha un mondo.

Ci siamo, il primo appuntamento. Ma no, non è detto che sia il primo, magari è il terzo. È quello giusto, lo sai, lo senti nell’aria, lo conosci bene quel clima, nevvero?

Nan Goldin, Couple in Bed, Chicago, 1977
Couple in Bed, Chicago, 1977, Nan Goldin

 

Il gioco della seduzione non segue regole precise o tempistiche predefinite; ognuno ha il suo modus operandi, ognuno danza a ritmi personalissimi e diversi, che se si osservassero dal di fuori farebbero ridere chiunque. Due goffissimi individui che cercano di mostrare, condensate in poche battute, le loro bellezze, la loro ilarità, il tutto condito da sguardi languidi, battute con qualche grano di malizia rosa dell’Himalaya e poi loro, quei tocchi lievi, calibrati, da pianista esperto che della tastiera fa il corpo dell’amante e dello spartito il copione da portare in scena. Revenons à nos moutons, torniamo a noi, anche se mi piace di più “torniamo ai nostri montoni” (famoso detto del tale Maître Patelin, autore (sconosciuto ndr) della famosa Farce, da cui la suddetta frase “fatta” è tratta). Ore 18.15, di un sabato qualunque, di una stagione x, in un quartiere y, di una città omega. Sbrigate le sempiterne incombenze quotidiane, che nel fine settimana raggiungono dimensioni epiche e strati di polvere da fare invidia ai sarcofagi, ricevo il sospirato invito formale. “Ore 20 J (ma veramente queste faccine “sfacciatamente” anni ’90 vanno ancora di moda?) (…) “credevo ricordassi come ci si arriva” (segue indirizzo). Scatto immediatamente sull’attenti, stilo la lista dei trattamenti estetico-ristrutturanti da eseguire, attivo il timer e via. Riemergo dal bagno dopo un’ora abbondante, la porta si spalanca con effetti speciali di vapori e fragranze indistinguibili che, se inalate per troppo tempo, provocano strane visioni e magnifiche allucinazioni.

Dopo essermi, non a fatica, considerato il numero di cambi e di accostamenti che manco la Settimana della Moda vede avvicendarsi in una frazione di tempo così ristretta, vestita, sono finalmente pronta. Soprabito, passata di rossetto e via. Per strada mi sento tronfia d’orgoglio su quei miseri 6 cm di tacchi, che mi sono concessa. Sento gli sguardi dei passanti addosso e sorrido compiaciuta.

Eh, no, caro imprevisto. Non riuscirai a farmi capitolare! Nemmeno tu, coda umana in fila davanti all’unico sportello elettronico attivo e atto all’erogazione di titoli di viaggio, riuscirai a farmi innervosire. E nemmeno tu, misera cinque euro spiegazzata e maltrattata da tante, diversissime mani, mi farai vedere la “vie en noir”.

Nan Goldin Empty beds Lexington Massachussetts 1979
Empty beds Lexington Massachussetts 1979, Nan Goldin

 

Il tempo in metropolitana sembra infinito, passo da una canzone all’altra, senza trovare la colonna sonora che più si confaccia al momento su cui, nel frattempo squadre di registi, sceneggiatori, scenografi, drammaturghi e speculatori vari ed eventuali sono già all’opera e quei minuti, che mi separano dalla meta, sono un pendolo che oscilla tra l”andrà tutto bene” e il “non ce la posso fare”. Arrivo a destinazione. Sospiro profondamente, chiudo gli occhi e suono al citofono. Stacco definitivamente quel 5% di cervello ancora attivo e salgo.

Il resto potete immaginarlo. Nella perfezione più totale i baci si alternano a forchettate condivise, a litri di vino bianco (“mi raccomando, eh, secco!”) in puro stile Bianca e Bernie. Anche l’amore è perfetto. Finché, dopo l’amplesso, lui decide di parlare. Perfetto, ottimo, lusingata, onorata, tante grazie. Già pronta a discorsi sui massimi sistemi, gli occhi in technicolor persi tra il soffitto e l’Iperuranio, mi preparo all’ascolto. “È strano – dice – fino a dieci giorni fa stavo con una persona, con cui pensavo di passare il resto della mia vita”. Crack, sbam, dum-dum-tcha. Lo stomaco stretto in una morsa, frutto della frase e della colata di alici che ho dovuto pure mangiare, condita da 200 gr. di pasta, che, si sa, la pasta alla sera è inammissibile per qualsivoglia bipede di sesso femminile cresciuto dalle Alpi in giù. Soprattutto se terrone (come me), soprattutto se mediterraneo (o curvy, che fa più scena) come me.

Tutto il resto è noia. E non serve a nulla dormire abbracciati, rifare l’amore il giorno dopo, colazione, doccia, colazione, amore, baci, doccia, insieme. Caro il mio maschio dominante/intellò-esistenzialista, la prossima volta ti consiglio di impegnarti di meno. Perché la pasta era un po’ una colla. E perché, anche se non mi avessi intasato la casella vocale per una settimana di frasi ad alto tasso glicemico, te l’avrei data comunque.

Giuliana Pizzi

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Questo è il suo articolo n°28

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