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Lovely Planet | Londra

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Si dice molto sulle contraddizioni che animano il presente dell’evoluzione umana ma, se c’è una situazione in cui esse rischiano di venire a galla in modo quanto mai vivace, questa è la preparazione di un viaggio. Ognuno di noi, infatti, conta di:

1) un’innumerevole quantità di amici e conoscenti che hanno abitato e visitato tutte le località provviste di un ostello con camerate da 8.

2) un altrettanto vasta quantità di amici che hanno avuto fidanzate in quelle stesse località, a seguito di quegli stessi viaggi.

3) un compendio di argomenti efficaci per ingaggiare conversazioni-lampo con studentesse Erasmus. Una sorta di Bignami personale che permette di fare l’osservazione giusta ad una ragazza proveniente da quasi tutto il mondo conosciuto. Es.: Austria: ‘I’ve heard something about the balls of Mozart“; Canada: “is Jimm Carrey from Canada?”; Australia: “when I was a child I used to love a Kohala puppet“.

E’ un bagaglio che il web, la televisione e l’esperibile quotidiano fornisce a qualsiasi post-adolescente che abbia mai giocato a Trivial Pursuit, o frequentato i locali notturni di Trastevere (ma per questi ultimi il range di argomenti è limitato ai paesi anglofoni, ossia tutte quelle popolazioni che nel 2013 usano ancora calzature infradito di plastica con ogni condizione metereologica).

Quello che la vita non fornisce, però, è una vera e propria conoscenza dei paesi stranieri che possa essere d’aiuto nell’organizzazione di un viaggio. Non ho mai visto nessuno fare un viaggio, minimamente preparato a quello che avrebbe dovuto visitare oppure in grado di gestire il tempo a disposizione in modo intelligente. Quante volte, al loro rientro, ho visto persone piangere davanti a quell’individuo di amicostronzo che fa la prevedibile domanda: ‘Ah, sei stato a..? Allora avrai sicuramente visto il...”. Nessuno, che io sappia, ha finora mai visto quello che gli si sta indicando come la cosa più fantastica da visitare nel paese in cui si è appena stati.

Quello che segue è dunque un diario/guida per passare tre giorni a Londra senza tornare con possibili rimpianti. Attenzione, questo non significa che abbiamo visitato la città come piacerebbe a un freelance di Lonely Planet, né che abbiamo speso i nostri soldi adeguatamente. Può significare anche – solo – che non torneremmo là nemmeno se la regina in persona ci prendesse per le palle. Può essere un guida in grado di scoraggiare chiunque dal fare quel viaggio. Potrebbe significare anche questo, dico, il fatto d’essere un guida contro i rimpianti.

Giorno 1.

Il risveglio. Si viaggia in RyanAir. Questo significa: 1)si è poveri 2) si viaggia ad orari degni del passaggio in clandestinità della dogana statunitense 3) l’atterraggio sarà, nel migliore dei casi, accompagnato da un applauso.

L’arrivo. Con RyanAir i tempi sono lunghi. Aeroporti lontani, code infinite, passeggeri che impiegano mezz’ore per mettere un bagaglio nello scomparto. Arrivi con due sole necessità: quella di trovare velocemente il tuo autobus e quella di fumare. Dovunque, le due cose sarebbero conciliabili ma non all’aeroporto di Stansted, dove per ragioni che richiederebbero una laurea in Teoretica della Giurisprudenza puoi emettere fumo solo da postazioni ben precise.

Prima tappa: Camden Town. E’ il quartiere giusto per iniziare il tuo viaggio: simboleggia tutta la squisita capacità anglosassone di inglobare in uno squallido commercio tutti i fiori nati dalla ribellione dello spirito umano. Impari anche che qui i tamarri si vestono come Pete Doherty, che in effetti – comprendi, infine – non è molto lontano da un tamarro. Impari anche che dovunque nel mondo ci sia la statua di un leone c’è una persona pronta a farsi una foto mentre lo cavalca.

Il Cyberdog. Strepitoso. Quelle persone in foto le ho ritrovate dentro mentre guardavano incuriosite il Fist, un giocattolo sessuale di gomma a forma di braccio amputato.

Zù.

Lui è il mio amico Zù e sta osservando il suo pranzo (che sarà anche la sua cena). Un doppio cheeseburger con patate per 4 pounds. Mangiare a Londra è semplice: fa tutto schifo e probabilmente fa tutto male, dunque ti basta andare dove costa meno.

Verso le 20.00 Londra è come le feste di laurea che raggiungi dopo aver finito di lavorare: tu hai voglia di bere qualcosa ma intorno a te sono tutti completamente ubriachi. A quel punto entrare in pista non è facile. Noi optiamo per una soluzione molto curiosa: spendere buona parte della serata a discutere su cosa fare nella serata.

Giorno 2

Bruss

La scelta dell’ostello è fondamentale. Il nostro, a Camden, ha delle tipiche finestre a scorrimento verticale (si aprono a metà) e non ha il bidet. Questo significa che la nostra stanza è una rappresentazione olfattiva di un olocausto umano dovuto ad un’epidemia zombie, il tutto svolto dentro lo spogliatoio di un centro sportivo dopo un torneo di calcetto di magazzinieri.

Zù e Cecca.

Londra ha una quantità impressionante di monumenti inutili. Le statue dovrebbero servire a glorificare l’eccellenza della storia inglese, ma si riducono a pretesto per delle foto che nessuno vedrà mai. Attenzione: nella foga di scegliere l’angolazione per fare una foto straordinaria di una cosa poco interessante, ricordatevi che qui si guida al contrario.

Bruss.

Le libertà civili sono tenute in grande considerazione dagli inglesi. Quello che da noi si chiama pazzia – urlare ai passanti, parlare da soli, sedersi su un marciapiede con cartelli raffiguranti il volto di un imam impiccato – qui è rispettato come espressione della propria libertà di manifestare. Consiglio fotografico: una protesta panaraba è molto meglio di un leone di bronzo o la statua di Churchill per l’immagine del Facebook.

Shoreditch è il quartiere giusto per chiunque non abbia votato Scelta Civica. Un sacco di gallerie, un sacco di street art, un sacco di ristoranti alla moda e di ragazze vestite come da noi solo le superstronze fanno per andare al Circolo degli Artisti e rifiutare le avances dei fuorisede con le Gazzelle e il giubbotto di pelle. Se hai culo ti capita pure il Graffiti Removal, che ai tempi in cui Banksy lo trovi pure sui manifesti elettorali di Gasparri è una cosa immensamente indie da fotografare.

La serata. Come per i ristoranti, la scelta non è difficile. Basta bere per bene e poi ficcarsi in qualsiasi locale sia ancora aperto. E’ lì infatti che si rifugiano tutti coloro che sono ancora in piedi (sia che gli altri siano collassati, sia che stiano facendo ciò che vorremmo fare tutti). Consiglio: cercate di accompagnarvi a qualcuno del luogo. Il nostro nuovo amico si chiama Dexter, è un musicista e veste una giubba vittoriana rossa. Ai piedi ha un paio di Clark’s, una marrone e una celeste. Mentre camminiamo per strada fa il verso del gorilla.

Le guide turistiche ortodosse dicono che a Londra l’ordine pubblico stia molto a cuore alla polizia. Si dice anche che quest’ultima sia molto presente e, usi metodi molto poco carini laddove sia costretta ad intervenire. Mah.

Giorno 3

Bruss.

A questo punto sarete davvero molto stanchi. Avrete dormito male e mangiato peggio. Londra è davvero molto grande, ma i suoi bagni sono così piccoli. Consiglio: l’hangover in queste condizioni diventa un ottimo metodo di sopravvivenza: tutte quelle energie inutilmente dedicate a mantenere un decoro potete utilizzarle per tenervi in piedi e continuare il vostro viaggio.

Richter.

La Tate Gallery è quello che fa per voi: niente di meglio di un sacco di roba incomprensibile ai più, per risvegliare la vostra incazzatura per l’attuale società umana e darvi nuove energie. Consiglio: portatevi sempre qualcuno che millanti di comprendere e apprezzare quella roba, e godetevi interminabili battaglie a suon di “lo potrebbe fare anche un demente” e “come fai a non capire…”. Divertitevi ad urlare e profanare così un sacco di visitatori nel pieno di un’estasi intellettuale.

Vi hanno detto spesso che a Londra nulla, nel modo di vestire, può destare clamore. Una società così abituata alla tolleranza e alle stravaganze, ecc ecc. Consiglio: in effetti, è vero per quella classe di stramberie che arrivano a vestirsi da pollo gigante e andare nei giardini della Tate agitando le ali…

 …ma nulla vi salverà da un giudizio impietoso laddove il vostro amico della provincia di Viterbo deciderà di dare sfogo al suo mal di piedi mentre sonnecchia in uno spartitraffico.

L’ultima cena. Ricordatevi sempre che andare in bagno sull’aereo necessita di un fisico che voi non avete. Questo perché, nonostante la lancinante gastrite, la vista di un ottimo piatto di Fish’n’chips resta misteriosamente attraente. Consiglio: siete molto stanchi e dovete continuare a camminare, non complicate le cose con estremi tentativi di frenare lo sfintere.

Finalmente il primo club. Si dice che all’interno del London Bridge si trovino i gioielli della corona, ma a giudicare dall’illuminazione questa dev’essere una metafora per indicare delle pasticche di anfetamina. Si dice anche che dentro ci siano dei corvi e che delle persone siano incaricate di mantenerli vivi, e questo rafforza la mia impressione rispetto ai ‘gioielli’.

Il vostro viaggio è finito, e a voi non resta che sognare il passato e il futuro. Il presente lo state passando sui sedili sudici di un aeroporto londinese, con un cappello da tredicenne che avete deciso di comprare ad una cifra spropositata sotto consiglio di un video di MTV.

 

 

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

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