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È ora di dire: pasta!

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È cosa  risaputa ai piú che attualmente l’italiano all’estero venga etichettato con la sequenza stereotipata: pasta (o piú semplicemente spaghetti…), pizza, mandolino e mafia. Tralasciando gli ultimi tre fattori che alimentano il giudizio esterno nei nostri confronti, vorrei soffermarmi un attimo sull’elemento che più caratterizza la fantasia dell’altro per ciò che ci riguarda: la pastasciutta.

Pare proprio che lo sguardo alter abbia trovato nella pasta una maniera simpatica ed esilarante per stabilire un primo contatto comunicativo: “Ahahah, voi italiani mangiate pasta anche a colazione, ahahaha”. Che ci sarà da ridere non so. È ora di restituire la dignità e orgoglio al pasto che più ha contribuito alla nostra crescita e maturazione come cittadini italiani. Se la globalizzazione ha portato un sacco di benefici alla società moderna, sicuramente non ha giovato alla principale portata delle nostre tavole.

 

E ci troviamo di fronte a un disastro past-umanitario: la violentano, cucinandola più del dovuto e mutandola in plastilina. La profanano, lasciandola raffreddare per dopo mangiarla quando è già divenuta chewing gum. La tagliano con il coltello come se fosse una bistecca. Non se ne può più veramente. La trattano e la cucinano come fosse un pasto qualsiasi, e la mangiano come un panino di una qualsiasi catena di fast-food. Vergognoso.

La pasta è la nostra vera religione, e di fronte al “dio-piatto di pasta” ci prostriamo per rendergli omaggio, ma sopratutto per ripulirlo. A questa gente che crede di fare del facile sarcasmo diciamo che non sanno che significa svegliarsi una domenica mattina tutti impastricciati dalla serata precedente e sentire il profumo del sugo che viene preparato sin dalle prime luci dell’alba e immaginarsi, sempre da sotto le coperte, quella salsa di pomodoro accoppiarsi con della pasta fresca.

Non sanno del benessere psico-fisico che si può provare nell’accorgersi di aver macchiato di salsa la maglietta della salute o al fare “Sluuurrrrp” ripetutamente magnando un buon piatto di bucatini all’amatriciana. È tanta la riverenza e il rispetto che sentiamo nei suoi confronti che abbiamo inventato “la scarpetta”; che è forse l’ultimo disperato tentativo delle nostre papille gustative di rimanere aggrappate al sapore squisito di un buon piatto di gnocchetti al ragù (o meno sbattimento nel lavare i piatti? Ai posteri l’ardua sentenza).

Se abbiamo la fortuna di poterla preparare è come se andassimo al primo appuntamento con una persona che ci piace tantissimo. Non lasciamo nulla al caso. Stiamo là a fare il sofritto di cipolla come se stessimo dipingendo la Cappella Sistina, e quando là giriamo nella pentola non vediamo dei semplici fusilli fluttuando nell’acqua che bolle bensì tanti piccoli cavalieri pronti a immolarsi per noi. Per questo è arrivato il momento di proteggere la pasta da tutta questa faciloneria sempliciotta che la relega a banale costume alimentario, e motivo d’ironia nei nostri confronti. Ci feriscono profondamente con tutto ciò.

Dal novembre 2010 la dieta mediterranea è stata dichiarata patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco e quindi anche la pasta è entrata di diritto nel gotha alimentario mondiale. Questa potrebbe essere un’ottima giustificazione e una storica opportunità per scansare l’amico straniero di turno che ti voglia cucinare una pasta “a modo suo” con una paternale (ma non troppo) pacca sulla spalla.

Insomma, addurre la scusa che una pasta scotta è come profanare la tomba di Cleopatra. Troppe volte hanno sfidato la nostra educazione di fronte a una poltiglia di semola con un’idea approssimativa di sugo.

É arrivato il momento di difendere a spada tratta uno dei tratti saliente della nostra identitá. É giunto il momento di dire :”Pasta!”.

Salvatore Cattogno

scritto da

Questo è il suo articolo n°28

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