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facebook e il referente perduto

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Divagazioni epistolari sull’eventualità di registrarsi sotto il falso nome di Giordano

Io ti accetto pure ma se hai solo un amico, cioè me, capisci poco. Senza nulla togliere all’amico, s’intende.
Ti consiglierei già da subito di rientrare nel tuo corpo, che se non ti va ti puoi sempre cancellare. Anche perché ti sei scelto un nome che ricorda il cristo, e non ti accetterà nessuno. Non è come lanciarsi col paracadute, tranquillo. Niente di irreparabile. La curva dello stress ci consente ormai di valutare cosa e quando è meglio per noi, una volta usciti dalle gambe delle nostre madri possiamo anche decidere di entrare in un social network. E visto che non c’è niente da capire: si combina che una serie di persone che si conoscono rientrano in contatto, ormai ci trovi chiunque. Solo allora si alimenta il beneamato voyerismo, circoscritto comunque alla cerchia di contatti che ti sei scelto (per cui discretamente morboso). È un buon modo per rintracciare le teste di cazzo, gli amici d’infanzia o il tuo portinaio che non si è lasciato intimorire dalla moglie coi bigodini e da quello che ha sentito dire al tg5. Fa potenzialmente male, certo. Come fa male la cocaina nelle narici dei quattordicenni col cervello ancora in progress. Ma è pur sempre uno spazio web aggratis, che volendo ti permette di elargire alla massa piccole perle di saggezza o sperimentazioni multimediali. Io ci faccio più o meno questo, con qualche frivolezza ogni tanto ma senza troppi sbattimenti sull’etica, la privacy e quant’altro. Tanto ci siamo dentro ugualmente, e stiamo fuori abbastanza da riuscire a farne un buon uso. Già lo facciamo col telecomando, o scegliendo un film, una band piuttosto che un’altra. Forse è un blog extra large, forse no. La gente la trovi con il loro vero nome (per cui puoi ancora decidere che non devi per forza non omologarti) e questo è utile perchè il coglione o la cessa restano tali anche nell’etere, e si firmano. Certo, come con tutte le cose cresciute negli anni duemila è facile degenerare. Qui le minchiate hanno la forma di quiz, di gruppi creati dagli utenti, di tag sulle foto, di regali e richieste varie che quelli che non hanno proprio un cazzo da fare ti girano e che tu puoi semplicemente ignorare, come il sottoscritto fa dall’inizio, indistintamente. Non mi sembra difficile. È come decidere di accettare o meno la caramella dallo sconosciuto, come indossare i panni del giovane rivoluzionario cosciente, che la guerra psichica si combatte con cognizione e non bevendo vino di marca che poi sa di tappo. Il portinaio aveva letto Luther Blissett, a proposito. Non è una sponsorizzazione, lungi da me. Facebook è una cavolata come tante, e puntualmente, forse, non ci guadagneremo niente. In conclusione il mezzo ha buone potenzialità. Detto questo, io ti accetto pure, ma chi cazzo sei?

Caro amico di facebook, quello che mi spaventa è la feroce entropia che i social network, come tutto il sistema basato sulla frastagliata e non per forza omologante rete, sta creando da qualche anno a questa parte. Qualcuno tempo fa mi diceva che la ragione principale per cui si era iscritto a facebook era di non poter fare a meno della devastante invasione che il mondo virtuale stava esercitando sulla sua vita reale, su quella in carne ed ossa. Al bar con gli amici, tra la doppio malto e l’amaro del capo, avvertiva nell’aria qualcosa di costrittivo, di doveroso, di indispensabile insomma. Ma quanto può essere importante e indispensabile qualcosa che senza chiedertelo forza le tue catene? Per cui, il sig. Carroll riteneva opportuno continuare a giocare deciso su questa entropia, iscrivendosi in incognito e dicendo comunque cose utili e ragionevoli per farsi apprezzare, indipendentemente dal giusto collegamento tra segno e significato della sua comunicazione. In questo modo lui era convinto di svelare la vera e utile ragione della comunicazione in rete: il significato abbandonato dal referente. Come quando ad un concerto il synth si svela in tutta la sua artificialità e innaturalezza, insinuandosi comunque nelle zone dell’udito più inconsce.
Come quando al cinema il fonico, con le mani ricoperte di sapone, fa scivolare la giraffa verso il basso fino a svelare la capocchia nera e spugnosa del microfono. E al circo dove il clown esclama: questo circo è una pagliacciata! No. Non si tratta di una pura e semplice retorica del metalinguaggio, caro amico di facebook.
È la morte della corporalità che cambia il significato, credo.
Mi piace come parli… se mi accetti così sono contento, altrimenti fai un po’ come cazzo ti pare.

Giordano

Chiaro, ma ti evolverai. Sarai stanco del profilo anonimo che un programmatore nerd statunitense ha scelto per te. Di base, per tutti. Credendo che sei come gli altri. Per dribblare le distinzioni di sesso ad esempio, come se una ragazza impacciata al computer non la si potesse riconoscere comunque dal profilo maschile che si ritrova, identico al tuo. Perchè non sa come fare ad uploadare la foto in cui è venuta meglio del solito. Ma la silhouette della sua testa con l’accenno di cresta male si accorda al suo nome di battesimo (al 90% terminante per a), vaglielo a spiegare. Poi le sbarbe punk coi capelli viola sono un’altra storia. È un’intenzione che ho superato anch’io, quella di restare visivamente anonimo. Come se in realtà più che davanti allo schermo aspettassi un costoso aperitivo seduto fuori, al tavolino del tuo bar. Che il servizio così costa di più, si sa. E come quando si decide chi paga il giro, esiste sempre un compromesso. Sarai stanco perché potresti voler risentire dentro “un anomalo istinto animale nato da una forza talmente grande che può solo perdersi in una insignificante espressione facciale”, volendoti parafrasare. Che sia un’espressione però. Certe cose non me le dimentico. Quando vorrai sarà facile ed istantaneo: impostazioni, impostazioni account, nome/modifica. Abbiamo bisogno di donne che rivendichino la propria faccia, che non la perdano sul più bello e ne facciano uno sfoggio consapevole. Come il portinaio fa delle sue rispettabili maniglie dell’amore, a cui i bigodini della moglie si abbinano alla perfezione. Abbiamo bisogno di donne che ben si abbinino a noi.
Abbiamo bisogno di soggetti cinematografici come Amici miei, e Amici miei II, con Firenze durante l’alluvione sullo sfondo. Rimpiangiamo commossi la supercazzola. Abbiamo bisogno della merda d’artista venduta a peso d’oro. Del caffè più la sigaretta per partorire un pensiero geniale…
Io ti aspetto, concettualmente tuo. E ‘stigrancazzi, abbreviabile in ‘stigra.

immaginario collettivo

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Questo è il suo articolo n°2

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