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T.R.I.P. Travel Routes In Photography | L’antropologia fotografica di Pieter Hugo

Si parla di:

“È necessario sentirsi coinvolti in quello che si ritaglia attraverso il mirino [… ] Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un fatto e l’organizzazione rigorosa delle forme percepite visualmente che esprimono e significano quel fatto. È mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore. È un modo di vivere”. (Henri Cartier-Bresson)

Federica Angelucci, Cape Town, 2011 - Hell
Federica Angelucci, Cape Town, 2011 – Hell

 

Aprire un articolo o una recensione su personaggi, esponenti e avvenimenti legati al mondo dell’arte con una citazione estrapolata da un discorso di un grande artista non mi fa sentire sola davanti al compito che devo svolgere. È più che altro un modo per stabilire una connessione tra ciò che io vedo e percepisco e ciò che il soggetto discusso vede e percepisce prima che ci arrivi il mio sguardo attraverso la sua arte facendo però parlare un terzo interlocutore che ci permette di avvicinarci.

Pieter Hugo, Cape Town
Pieter Hugo, Cape Town – Hell

 

La citazione di Henri Cartier-Bresson, a mio avviso uno dei migliori fotografi dello scorso secolo, l’ho scelta tra tante che parlavano di fotografia e credo che le sue parole servano da cornice all’arte fotografica dell’artista di cui vi parlo in queste poche righe, ovvero il fotografo sudafricano Pieter Hugo, uno dei tre fotografi assieme ad Alessandro Rizzi e Narelle Autio coinvolti nel progetto T.R.I.P. Travel Routes In Photography ancora in mostra presso le Terme di Diocleziano e di cui vi abbiamo parlato qualche articolo fa.

Loyiso Mayga, Wandise Ngcama, Lunga White, Luyanda Mzantsi, Khungsile Mdolo after their initiation ceremony, Mthatha, 2008 - Kin
Loyiso Mayga, Wandise Ngcama, Lunga White, Luyanda Mzantsi, Khungsile Mdolo after their initiation ceremony, Mthatha, 2008 – Kin

 

Pieter Hugo ha fatto dell’arte fotografica il suo modo di vivere, compiendo di volta in volta un viaggio attraverso comunità di cui forse non sentireste mai la loro presenza se non tramite la sua raccolta di scatti, dei veri e propri documentari antropologici lungo il confine della crudeltà. Nelle sue opere la violenza la si avverte seppur mai rappresentata nel suo compimento:  viene percepita come la colonna sonora di un’azione all’interno di un film quando la musica in sottofondo annuncia ciò che si sta per compiere o qualcosa che è già avvenuto. I personaggi e l’ambiente circostante in cui vengono registrati dagli scatti di Pieter Hugo catturano la nostra mente che compie un viaggio verso la conoscenza dell’altro.

The Hyena and the Other Men
The Hyena and the Other Men

 

Pieter Hugo è nato nel 1976 a Città del Capo, luogo in cui risiede tuttora, e dopo la residenza d’artista durata due anni a Treviso presso Fabrica ha intrapreso un percorso costituito principalmente da reportage fotografici su gruppi di persone marginalizzate che vivono in Africa: nei suoi obiettivi sono finiti boy scout liberiani, bande di criminali nigeriani a caccia di debitori con iene al seguito, o i giudici del Botswana.

The Hyena and the Other Men
The Hyena and the Other Men

 

Molti sono i progetti fotografici finora raccolti dal fotografo sudafricano e suoi ritratti appesi lungo i soffitti delle sale delle Terme di Diocleziano per questa avventura di the trip sono un particolare esempio di come la fotografia riesca a raccontare, senza didascalie e premesse, un viaggio nella specie umana e nelle sue diverse attitudini alla vita quotidiana, le loro azioni.

Permanent Error
Untitled, Agbogbloshie Market, Accra, Ghana 2010 – Permanent Error

 

Ciò che Pieter Hugo ci fa vedere nei sui progetti, come per esempio in The Hyena & Other Men del 2003, in Permanent Error del 2011, in cui l’artista fotografava gruppi di persone con attorno cumuli di rifiuti tecnologici in Ghana, o in Portraits of Forgiveness in ricordo al genocidio del Rwuanda avvenuto nel 1994 a cui già l’artista sudafricano aveva dedicato un altro progetto RWANDA 2004: VESTIGES OF A GENOCIDE, la sua personale ricerca di determinate parti che compongono quel grande mosaico chiamato essere umano, ovvero uno studio che ho definito antropologico qualche riga fa proprio in virtù del suo modo di catturare il vivere quotidiano di alcune comunità ben specifiche.

Permant Error
Zakaria Salifu, Agbogbloshie Market, Accra, Ghana 2010 – Permanent Error

 

In altre parole il suo linguaggio fotografico si spinge oltre l’immagine dei ritratti e dei paesaggi per metterci di fronte alla diversità culturale di cui siamo fatti prendendo come punto di riferimento dei luoghi e delle persone ben specifiche, che gli appartengono: attraverso il suo realismo fotografico Hugo ci fa vedere da vicino una parte di mondo di cui noi siamo solo spettatori.

Ai confini della marginalità di cui parlano le sue fotografie, Pieter Hugo annulla le distanze geografiche, la geografia degli occhi è diversa da quella reale perché l’arte, e in questo caso la sua fotografia, riesce ad avvicinare le percezioni dell’artista a quelle dell’osservatore e quest’ultimo diventa custode di un’esperienza visiva di un modo di vivere.

Pieter Hugo | sito

Eva Di Tullio

scritto da

Questo è il suo articolo n°178

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