Vuoi essere informato sui nostri Ticket Deals?
Iscriviti alla nostra newsletter.

* obbligatorio
Close

Intervista a Ivan, il poeta di strada

Si parla di:

Sapete com’è cantare le canzoni di un gruppo negli anni più hardcore della tua vita e poi, una volta grande ritrovarsi a conoscere chi ha scritto quelle canzoni e farci due chiacchiere sui piccoli grandi dilemmi del quotidiano?
Più o meno mi è successo questo qualche giorno fa. La rock star in questione non è conosciuta per le sue canzoni ma per le sue poesie, o meglio per i suoi assalti poetici. Parlo di Ivan Tresoldi, trentatré anni, milanese di origine siciliana come tanti, che con la sua vernice nero su bianco ha tappezzato Milano e tante città sparse o dimenticate in giro per il mondo con quelle che definisce frasi da “bacio Perugina”. E quelle frasi hanno riempito gli occhi di tanti passanti frettolosi, cittadini distratti e turisti stanchi e sono diventate parte di quelle città, enormi promemoria visivi per ricordarsi di avere gambe per camminare ma anche una testa che chiede di non smettere di funzionare e un cuore che ha bisogno di ossigeno. Ma Ivan non è solo quello degli assalti: istallazioni in spazi pubblici, performance con il pubblico nelle piazze italiane, pagine pubblicate sulla Smemo, spettacoli teatrali e la lista dei progetti non smette mai di crescere. Da una chiacchierata con Ivan escono fuori pagine su pagine di racconti, idee e frasi da appuntare. Esce fuori che metterci la faccia è l’unico modo per essere credibili, che i poliziotti sanno distinguere la bellezza dal vandalismo più di molti critici, che il fine giustifica i mezzi anche quando è difficile capirlo, che per fare un passo avanti a volte dovremmo ricordare cose che abbiamo lasciato alle spalle.

Ivan

Il tuo murales sui Navigli “Chi getta semi al vento farà fiorire il cielo” è tra le prime emozioni visive che ho di Milano. Cosa pensavi di suscitare nei passanti quando l’hai scritta?

 

Quella è stata la prima semente dell’assalto poetico. Prima di allora, nel 2002 avevo messo in ostensione un grande lenzuolo e lasciato e una serie di manifesti piccoli in a4 in giro per la città. Io non ho inventato la poesia di strada, la poesia in strada c’è sempre stata, io l’ ho solo rimessa in circolo ed ora ci sono tante realtà, penso ai Poeti del Trullo a Roma, Stefano e Marta a Varese, Mister Caos, Davide Casavola a Lecce, Francesca Pels a Milano, Il Mep in tutta Italia, che stanno dando un’identità al fenomeno, io ho solo organizzato delle pratiche dell’assalto poetico che, tra l’altro, sono tanto efficaci quanto banali. Certo quella scaglia racconta tanto circa una via “esemplare” di come intendo la poesia di strada e diffusa: io ho lasciato il seme, tu l’hai vista per strada quel giorno e ci hai fatto vento forte, solo insieme possiamo fare cielo fiorito primavera. Il poeta sei tu che leggi. Non è importante scrivere un parapetto, è importante la tensione collettiva delle persone che ci stanno intorno.

4111755171_bae6eac27d_z

Per scrivere una bella poesia cosa ci vuole?

 

Una buona emozione. Tutti siamo poeti. Si può rinchiudere un contenuto emozionale in un’élite che lo specializza e lo diffonde, penso a quella dei poeti, al mondo dell’arte, ad un certo “giro” della street art. Io penso che bisogna sempre mantenere la dialettica con l’altro lontano, la condivisione col diverso e popolare, rimanere “bassi per volare alto”. Il bacio migliore è il bacio che non pensi, se crei un’élite del bacio bacerai sempre peggio.

03.03 - Milano IT - Chi getta semi al vento farò fiorire il cielo

Il muro a cui sei più legato?

 

Quello che non ho ancora fatto.

06.08 - Milano IT - Poesia di strada

Una città in cui non sei ancora stato e in cui vorresti lasciare le tue parole?

 

Ho girato tanto per l’assalto poetico: sono stato in Palestina, Romania, Germania, Olanda, Haiti, Cuba…Vorrei tornare negli Stati Uniti e scrivere della pianura profonda americana, scrivere a Pechino e nei mondi asiatici, ritornare a scrivere in Africa. Poi, in verità, cerco di stare molto attaccato alla poesia nostrana, scrivo in italiano e la poesia ha una sola lingua, quella della tua emozione. Tradurre “chi getta semi al vento farà fiorire il cielo” in inglese non è la stessa cosa, quindi il vero viaggio che vorrei fare è ritornare a casa, vedere una Milano che vorrei e che ancora non esiste. Inventare noi delle città che non esistono, come direbbe Calvino. Lo scopo è la costruzione di un’identità condivisa per il futuro prossimo. I primi che ricevettero incarichi dai comuni fiorentini nel Rinascimento per far affermare le nascenti Signorie, non sono giudici o notai, sono pittori e artigiani, perché senza qualcuno che dipingeva le facciate non si creava memoria collettiva del presente. Anche per le produzioni che ho mandato avanti prima con Art Kitchen e ora con Superground (https://www.facebook.com/Superground),sono molto attaccato alla mia “famiglia”. Ci sono amici galleristi che stimo che hanno promosso festival di arte pubblica che spesso chiamano artisti dall’estero più che dall’Italia, ci sono loro a far quel lavoro e alcuni lo fanno bene. Purtroppo c’è da dire invece, per generalizzare e vale soprattutto per la musica, che poi chi è all’estero a noi italiani non ci chiama spesso, perché purtroppo siamo una periferia del mondo ed eravamo invece la capitale dell’arte pubblica europea nel 2000-2004. Poi è arrivata la repressione feroce a Milano, molti son andati lontano, il nostro esterofilismo galoppante ha fatto il resto. Penso a Tawa che lavora in studio con me in Superground: certamente un capo scuola europeo e uno dei più grandi graffitisti che abbiamo in Italia. Colleghi suoi inglesi o americani riescono molto più facilmente di noi e gli viene dedicata molta più attenzione a livello internazionale. Siamo Eveline a Dublino troppi anni dopo. Io credo nel mio paese, nelle persone che vivono affianco a me, preferisco mille volte produrre un ragazzo di Lecce che uno di Parigi che ha già visibilità, perché in realtà chiami quello di Parigi perché poi da lustro a te. Spero le cose lentamente possano cambiare e, comunque, la mia dimensione resta la nostra penisola, ora “pizza”, “mafia”, “mandolino”, ieri “poeti”, “santi” e “navigatori”. Ho, per esempio, ricevuto recentemente una commissione fondamentale insieme a Pao e Orticalnoodles: lavorerò sulla facciata degli archivi diocesani, Ortica sui muri del convento di clausura, Pao sull’Ospedale Gaetano Pini. Apparentemente i diavoli e l’acqua santa, finalmente non solo muri in periferia e in zone a fortissima marginalità (nelle quali lavoriamo sempre con impegno e felicemente da tanti anni), ma muri del 1100, nel cuore di Milano.

IMG_0907

Caravaggio è esistito perché ha avuto una dialettica con chi gli commissionava lavori pur la sua follia scapestrata, questo per dirti che potrebbero esserci delle città in Italia che ancora non esistono e persone che si potrebbero impegnare per l’arte pubblica che neanche immaginiamo, dove si smette di parlare di “graffitismo” sommariamente e in forma strumentale, e si riparla di memoria, spazi comuni, socialità reale. Io non sono un writer e non ho mai fatto una tag, ho tanti amici in quel movimento e da loro ho imparato tanto, io voglio parlare di una città che, così come ha gente che guida treni e aggiusta acquedotti, deve avere persone che la dipingono con una dialettica sul decoro urbano e su un discorso comune di significazione del visibile e pure dell’invisibile, mica repressione e basta o delirio indiscriminato. Io dipingo ancora illegalmente con regolarità anche se non considero lo la legge necessariamente “legale”, e la credibilità che ho messo da parte negl’anni la devo anche al fatto che ci ho sempre messo il nome e la faccia, nascondersi fa delle tue espressioni una velleità, il lavoro di affermazione di un contenuto è un lavoro di istanza sociale, di rivendicazione, di presenza, barricate ed assalto.

09.04 - Firenze IT - La pagina e la grande poesia nascosta

Il futuro non è più quello di una volta. Ci sarà un ritorno di tendenza o dobbiamo accontentarci di semplici revival nostalgici?

 

Come mi ha parafrasato Caparezza, il futuro non è più quello di una svolta. Secondo me bisogna costruire un futuro semplice per un passato imperfetto, come ho scritto per strada e accennato prima. Io voglio reinvestire tutto sulla qualità dell’emozione. Vedo che, per come è andato il mondo, le cose erano su un certo binario e negli ultimi trent’anni abbiamo avuto un’evoluzione che ha sconvolto il pianeta, vorrei vedere un nuovo che avanza e luccica. Come ti dicevo con Pao e Orticalnoodles abbiamo dipinto su commissione che ha visto coinvolti cittadini ricchi e poveri, istituzioni clericali e civili, fondazioni non profittevoli, due sovrintendenze, un ospedale, una piazza, muri antichissimi e occorrenti di sogni e di segni nuovi: al di là delle qualità dei lavori che ognuno giudica liberamente, abbiamo fatto un passo in avanti tornando indientro di 500 anni. Poi sta ai prossimi che verranno, io ormai ho quasi finito.

09.02 - scultura - lettere in polistirolo - 21x1,5 m - Chi getta semi al vento farÖ fiorire il cielo

Perché “hai quasi finito”?

 

Perché il mio l’ho fatto e per vari motivi: ho trentatre anni, la gente ti dice “sei un giovane artista” e non è vero; Apollinaire ha scritto tutto tra i sedici e i diciotto, per mio nonno siciliano se arrivavi a sessant’anni eri vecchio e stravecchio. In Italia se a quaranta anni riesci ad avere una posizione in un’impresa sei considerato ancora un bambino o un paraculo o un raccomandato. Poi vado a lavorare a Lugano (per Arte della Memoria n.d.a) conosco ragazzi che hanno la direzione dei posti vivono e lavorano, che hanno ventisei anni, mentre da noi a ventisei anni nessuno ti da le chiavi di niente, casomai ti devi armare di cacciavite e scassinare il lucchetto. A trentacinque anni vorrei chiudere, da noi, pur che ci lamentiamo sempre, si sta bene e ho avuto privilegi e fortune negate all’80% del pianeta. Con la poesia di strada ho ricevuto più di quello che avrei potuto immaginare: basterebbero solo i sei anni di poesia su Smemoranda e il suo milione di copie l’anno, ho una riconoscibilità pubblica ben oltre quel che avrei sperato, le mie “scaglie” son ormai diffuse e la gente le ha fatte proprie a livello di massa. E poi, anche se sono maggiormente conosciuto per le mie frasi da “baci Perugina” che amo definire così perché sono poesie popolari scritte da una persona media innanzitutto per gente popolare, ho ancora più di 4000 poesie che nessuno ha mail letto e credo di dover tener fede al mio cammino ed occuparmi di farle leggere al prima. Porto inoltre avanti progetti di musica a cui vorrei dedicarmi anima e corpo.
Ultimo motivo ci sono gruppi emergenti di ragazzi di vent’anni che fanno poesia di strada e sono molto più bravi di me alla loro età, quindi se io non mi levo da davanti con una cosa che faccio da ormai dodici anni, loro non avranno il lustro che meritano e non voglio fare a quarant’anni lo street artist con il rullo in mano, quello che dovevo dire l’ho detto. Pochi anni fa ho scritto fuori da San Siro “ci sono vite che capitano e vite da capitano”. Mesi fa durante l’addio a Zanetti i 40.000 tifosi dell’Inter (io sono antinterista ancor prima che milanista) hanno tirato fuori uno striscione di cinquantacinque metri per otto e si sono messi una t-shirt con quella frase scritta sopra. Lui (Zanetti n.d.a.) sa che è una mia frase, abbiamo lavorato insieme per la Fondazione Pupi che si occupa di ragazzi di strada argentini, alcuni tifosi dell’Inter forse lo sapevano ma la maggior parte delle persone no. Lo scopo è proprio quello, non essere famoso come artista, personalità o poeta, ma sapere che le tue frasi la gente le prende e le usa per sé, dissolversi negli altri. Non è importante sapere che “Soldati” è stata scritta da Ungaretti, serve sapere che quella è una poesia contro la guerra e che la guerra è una merda.

Quanta poesia serve per sopravvivere? Sapresti quantificarla?

 

Tutta. Tutta e di più. In questi momenti di emergenza la poesia è fondamentale. La capacità di emozionarsi ed emozionare è una dimensione fondamentale della vita. La poesia esiste da sempre e si rinnova, penso al rap e ai ragazzini che non potrebbero vivere senza; la poesia è trovare una parola dove il silenzio metterebbe un punto.

IMG_0917

E per chi la poesia non sa leggerla?

 

La saprà scrivere, altri ne faranno tesoro. Talvolta lavoro con i carcerati e con altri soggetti particolarmente disagiati, molti di loro sanno a malapena leggere o scrivere, ma la loro poesia è zeppa di emozioni e spine, la loro voce arriva perfino quando stanno zitti, i loro occhi sono fitti e le schiene ben diritte.

 

Per saperne di più:

Ivan | sitofacebook

la Germanz

scritto da

Questo è il suo articolo n°102

Sullo stesso genere:

Community feedback