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La 56. Biennale di Venezia secondo ziguline

La Biennale è un esempio riuscito di non-luogo, un parco giochi tematico, con i suoi padiglioni sparsi tra i Giardini, l’Arsenale e le numerosissime attività. Vi abbiamo già parlato di una delle mostre collaterali dedicate alla street art The Bridge of Graffiti, una collettiva ben fatta in cui le opere hanno trovato modi differenti, non sempre coerenti con la loro natura urban, per armonizzarsi nel bellissimo spazio espositivo, appena ristrutturato, dell’Arterminal di San Basilio.

Tra le altre, non possiamo non citare la mostra dal taglio storico del movimento coreano Dansaekhwa, traducibile con la “Scuola del bianco”, i cui lavori sono caratterizzati da una grande unità e raffinatezza formale, tra monocromia e optical.

Turchia, Sarkis  Zabunyan, “Reinbow (Bing Bang)”, 2002

La 56. Biennale intitolata “All the World’s Futures” è curata da Okwui Enwezor che ha scelto un tema di ampio respiro, un fronte comune su cui artisti e curatori possono confrontarsi. Tra questi Adrian Piper, già prima della premiazione, ci era piaciuto. La sua opera relazionale “The Probable Trust Registry”, prevede il coinvolgimento del pubblico che, dopo aver scelto una frase che rappresenta una dichiarazione di intenti (“I will mean everything I say”; “I will do everything I say I will do”; “I will always be too expensive to buy”), riceve un attestato, una sorta di impegno preso con se stessi.

Padiglione Sud Africa

Tratto comune anche ad altre opere è l’utilizzo delle parole, per lo più in lingua inglese, dimostrando un’urgenza di comunicare e dichiarare qualcosa. Eppure, strano veicolo quello della parola come linguaggio universale! Invece, un’applicazione di assoluto rigore della parola scritta è nelle opere di Fabio Mauri, con le più diverse declinazioni di “The End” e ”Fine”.

Padiglione Centrale, Giardini, Fabio Mauri, “I numeri malefici”, 1978

Abbiamo cercato di identificare – in modo assolutamente disordinato e arbitrario – quali fossero altri possibili elementi ricorrenti in questa edizione della Biennale. Cominciamo col segnalare l’invasione di alberi, piante, foglie, fiori, di tutte le dimensioni e sfumature (padiglione Francia, Austria, Australia, Olanda, Egitto e lo spazio espositivo della Swatch, partener della mostra) e l’uso dell’acqua come elemento principale di molte delle opere (padiglione Messico, Tuvalu, Azerbaijan).

Padiglione Tuvalu, Vincent J.F. Huang, Crossing the Tide

Un’attenzione all’ambiente, ai cambiamenti climatici e all’azione dell’uomo sulla natura sono i temi più gettonati e sui quali si sono incontrati i lavori degli artisti. All’intensità del padiglione Giappone, affollato da un reticolato rosso dal quale pendono più di 50.000 chiavi, nell’opera “The Key in the Hand” di Chiharu Shiota, si oppone la leggerezza del padiglione olandese, con le opere del maestro Herman de Vries, pieno di roselline secche e profumate e di teche in cui sono selezionati diligentemente fiori e piante.

Padiglione Giappone, Chiharu Shiota, “The Key in the Hand”

La Cina ha presentato una collettiva di grande impatto visivo, in cui convivono lavori poetici con alcuni profondamente trash. Il padiglione dell’Estonia, curato dal giovane Eugenio Viola, affronta il tema dell’omosessualità come turbamento della quieta vita di un dirigente negli anni dell’URSS. Lo spazio dell’Angola esplode di colori, mentre il canadese si sviluppa come la ricostruzione di un supermarket, culminante nella parete trasparente che presto si riempirà delle monete che ogni visitatore è invitato a inserire.

Padiglione Azerbaijan, Chris Jordan e Helena S. Eitel, "Roundup”

Per il padiglione Italia il prof. di storia dell’arte Vincenzo Trione ha proposto un’operazione tutto sommato scolastica, andando sul sicuro, proponendo un’immagine dell’Italia rivolta al passato, con pochissimi elementi di sperimentazione. L’allestimento isola le opere inserendole in stanze raccolte, forse troppo.

Padiglione Australia, Fiona Hall, “When My Boat Comes In”, 2002

Ma la Biennale è anche una sfida contro il tempo e un esercizio fisico e intellettivo. Le scarpe affondano indifferentemente nella ghiaia dell’Arsenale per poi essere bagnate dall’acqua delle vasche dell’installazione del padiglione Tuvalu, diventando blu immerse nella sabbia dell’opera “Speculating of the Blue” del padiglione Kosovo.

Padiglione Centrale, Arsenale, Adrian Piper, “The Probable Trust Registry”

Ecco il momento della confessione: tra gli 89 Padiglioni sparsi tra i Giardini, l’Arsenale e il centro di Venezia, e i 44 eventi collaterali, ci è sfuggito il padiglione Armenia situato sulla piccola isola di San Lazzaro degli Armeni, premiato con il Leone d’Oro. Stiamo provando a non avere troppi sensi di colpa, consolandoci con le belle installazioni dell’artista armeno Sarkis Zabunyan, scelto per il padiglione turco.

 

La Biennale di Venezia | sitofacebook

Luciana Berti

scritto da

Questo è il suo articolo n°22

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