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Inside the Festival | Gianluca Gozzi from TOdays Festival

Manca veramente pochissimo all’inizio della seconda edizione del Todays, che si svolgerà a Torino dal 26 al 28 agosto e che vedrà sul palco nomi d’eccezione come Jesus and Mary Chain, M83, John Carpenter, Soulwax, Goat, Local Natives, Crystal Fighter, Brian Jonestow Carpenter, affiancati dai migliori artisti italiani del momento.

Abbiamo fatto qualche domanda a Gianluca Gozzi, direttore artistico e organizzatore del festival, per farci raccontare qualcosa in più sulla sua idea di festival e sul suo percorso personale.

 

Gianluca Gozzi, foto di Matteo Bosonetti

 

TOdays l’anno scorso è nato come una sfida dopo anni un po’ bui per la Torino musicale: pareva che la città avesse perso quella voglia di sperimentare il nuovo che la contraddistingueva in Italia. Quest’anno, con una line-up così consistente, la sfida è diventata ancora più grande. Vuoi far tornare Torino un punto di riferimento centrale per la musica?

 

L’anno scorso Todays ha affrontato la sua prima edizione dopo che la città ha attraversato anni di festival gratuiti, in una piazza centrale: noi abbiamo sconvolto un po’ questo tipo di panorama andando in piena periferia, con un festival a pagamento e scegliendo artisti non così tanti patinati. In questo senso sì, è stata un po’ una sfida che si è rivelata vincente, il pubblico ci ha dato un riscontro positivo e quest’anno vogliamo continuare su questa linea, senza però replicare l’edizione passata,  mantenendo salda l’idea di festival come spaccato della realtà presente e di respiro europeo, con una line-up in cui anche un ragazzo che vive a Londra o a Berlino si possa riconoscere.

 

John Carpenter

 

Infatti, a proposito di respiro europeo, la line-up quest’anno è più che interessante. In particolar modo, nonostante io sia fan di M83 e Jesus and Mary Chain, più di tutto ho molte aspettative sulla giornata di domenica e non vedo l’ora di sentire i Goat dal vivo, gruppo che, sinceramente, conoscevo pochissimo prima del loro annuncio in line-up.

 

In realtà ho chiamato il festival TOdays proprio perché non ci sono aspettative, queste per me si creano nel momento stesso in cui avviene e si vive l’evento. Come dicevo prima, non mi piace né replicare le scelte passate, né d’altro canto pormi come anticipatore del futuro, perché il futuro lo creiamo oggi, il cosiddetto “qui e ora”. Per me il presente oggi è, per esempio, la nostalgia romantica dei Jesus and Mary Chain, ma anche la musica proveniente da tutto il mondo dei Goat. Mi piace l’idea che le persone vengano a TOdays per ricevere input molto diversi. La prima edizione ha visto Levante sul palco prima degli Interpol: poteva essere considerata una scelta un po’ azzardata, ma è stato bello vedere un pubblico così variegato apprezzare un live di una cantante che ha dato tutta se stessa sul palco, e viceversa.

Il festival per sua natura è molto diverso da un concerto o da una rassegna di concerti: si possono vedere, ascoltare e provare sensazione nuove e differenti, che non necessariamente ti piaceranno per forza, ma che comunque si fanno scoprire. La curiosità è l’ingranaggio che per me muove tutto, l’essenza di un vero festival.

 

Local Natives

 

Ho letto che hai già parlato della contrapposizione tra festival e rassegna di concerti e della situazione italiana. In TOdays però, devo dire che traspira lo spirito internazionale che lo anima.

 

L’ambizione di questo festival è di incidere sull’asseto culturale delle nuove generazioni, abituate ad ascoltare musica in streaming e a conoscere artisti attraverso social media. Naturalmente questo si scontra con il “paese del concertino” che è l’Italia, un luogo dove spesso e volentieri il pubblico non è abituato a fare una costante ricerca musicale durante l’anno (non la maggior parte di esso perlomeno) e quindi spesso i festival si riducono a essere una serie di concerti, dove si ripete sempre il ritornello “artista-cambio palco-artista”, ma che mancano di quella componente vitale che è il vivere l’esperienza. Io voglio che le persone che sono state a TOdays lo ricordino come una tre giorni di scoperta di luoghi nuovi, di parti della città che ancora non conoscevano. Per esempio quest’anno inaugureremo la galleria d’arte Gagliardi e Domke, dove si svolgeranno gli eventi di TO_lab, mentre al parco verde Aurelio Peccei, luogo dalle molte potenzialità e così poco conosciuto, domenica ci sarà la performance oscura e intensa di Theo Teardo ed Elio Germano, non di certo qualcosa che ci si aspetta in un parco frequentato da famiglie e bambini. Sarà molto interessante vedere come si amalgameranno gli spazi e gli artisti.

 

Soulwax

 

A proposito di location. Lo Spazio211 torna a essere il cuore nevralgico della musica in città, e insieme ad esso zone inesplorate della periferia, ma molto suggestive, come l’INCET.

 

Pensa che la prima volta che entrai all’INCET, questa era usata come deposito di vecchie auto degli anni 60/70 sequestrate dalla polizia. Appena entrai pensai subito al film di Carpenter Christie, la macchina infernale. È significativo che a distanza di anni da questo pensiero, proprio Carpenter salirà sul palco proprio lì.  L’INCET, così come le altre location del festival, sono luoghi che hanno molte potenzialità, dove, come in altre città europee, si possono organizzare eventi che vadano ben al di là dell’aspetto musicale, e secondo me vanno sfruttati proprio per mostrare queste potenzialità.

Inoltre, a differenza di quasi la totalità dei festival in Europa, TOdays nasce e vive senza sponsor privati, è sponsorizzato dalla città di Torino, quindi abbiamo voluto costruire qualcosa di partecipativo e organizzato, che potesse anche dare la possibilità di conoscere questi luoghi e di poterli portare a una nuova vita. Il festival per me è un abbattimento di generi nel rispetto del singolo, non nella scelta della proposta musicale ma anche dei luoghi, e la speranza è che questi continuino a essere nuclei vitali anche dopo il singolo evento. A volte si riesce, a volte no, ma, già dopo la prima edizione di TOdays, queste zone sono diventate centro di attenzione internazionale: Il NY Times ha citato Torino e in particolare il festival e le sue location tra i motivi per visitare Torino, e il Museo Ettore Fico è oggi uno dei musei di arte contemporanea più visitati.

 

Goat

 

Un paio di domande sul tuo percorso personale: prima del festival sei stato per anni allo Spazio211, e la tua pausa dalla scena torinese si è sentita, fino al tuo ritorno. Come hai iniziato a fare questo lavoro? Cosa ti ha spinto a decidere di organizzare concerti e arrivare a oggi, al TOdays?

 

Ti ringrazio, ma sicuramente a Torino non è stata tanto la mia mancata presenza a provocare un cambiamento, quanto piuttosto i tempi, le situazioni e il modo di fruire la musica. Come accennavo prima, la modalità di fruizione della musica è cambiata con l’uso sempre più massiccio dei social, e in una situazione in cui si può godere sempre più spesso e volentieri di musica gratis (anche live) quello che viene a mancare è il bacino di utenza di quei gruppi di portata media (quelli che usavano calcare i palchi di Spazio211), e il concerto diventa quasi qualcosa “di nicchia”: in quel momento bisogna capire come far evolvere la dimensione live verso un qualcosa di completante, un’esperienza più che un evento. In quel periodo ci ponevamo come “anticipatori del futuro”, ma ormai i tempi erano radicalmente mutati, ed era ora di ripensare alle modalità di organizzazione e all’idea stessa che era alla base di Spazio211.

Detto questo, quando ero all’università suonavo in un gruppo e due volte a settimana montavano e smontavamo la sala prove proprio lì in quel locale in via Cigna, un luogo dove tutt’intorno si muoveva la vita di periferia, con anziani che giocavano a bocce e spacciatori sulle panchine nel vicino parco Sempione.

Insieme ad alcuni amici decidemmo di iniziare a organizzare qualche concerto: eravamo tutti mossi dall’idea di fare di quel luogo un posto dove sentirci a casa, così è nato Spazio211.

Nel frattempo mi laureai, suonando conobbi altri gruppi: da lì le cose sono andate in modo molto naturale, e ho fatto della mia passione anche il mio lavoro e la mia vita. Certo, come lavoro non è tra i migliori: vado a letto quando gli altri dormono, non mangio quando gli altri mangiano, spesso non ho modo di vedere i concerti che organizzo. E pensa che sono un ingegnere, paradossalmente potrei fare quello e guadagnarci molto di più! (Ride NdA).

A me piace dire che nell’organizzazione di un festival si lavora in un certo senso per la propria “inutilità”, ovvero più un’idea funziona, più si sviluppa di modo naturale.

 

Jesus and Mary Chain

 

Se un ragazzo volesse intraprendere la tua strada, cosa per te non deve assolutamente mancare, passione per la musica a parte?

 

Innanzitutto in questo campo è necessario non confondere la passione con l’ostinazione: se cedi all’ostinazione spesso finisci per sprecare troppe risorse ed energie, in un Paese dove invece spesso accade l’esatto opposto, ovvero si lavora per avere il massimo con il minimo sforzo, andando sul sicuro e facendo cose scontate che garantiscono il successo. Ma mi chiedo se sia questa la modalità giusta, quella da “sagra di paese”  dove l’intrattenimento diventa cultura, non si rischia nulla e tutti sono felici, quando la propria passione è la musica, per questo per me bisogna sfidare questo assunto, osare e cercare di fare il proprio meglio, sfruttando al massimo tutte le risorse disponibili.

Partendo dal presupposto che non sono tra i promotori della democraticità del talento, ovvero, secondo me non tutti hanno un talento per diventare “qualcuno” in tutto, ma quando ce l’hai devi avere la voglia e la capacità di osare. Come dice De Niro, “nella vita la cosa più triste è il talento sprecato”, altrimenti, sempre citando l’attore, allevi solo pestilenza. È sempre meglio provare a mettere in pratica il progetto, cercare di realizzare un sogno, che abbandonarlo.

Ah, e ovviamente bisogna avere anche un sacco di soldi, a differenza mia. (Ride ancora NdA).

 

Trovate la line-up completa, tutti gli eventi  e le location su todaysfestival.com.

 

Claudia Losini

scritto da

Questo è il suo articolo n°175

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